Per il Guardian si dice “schadenfoer”

Due o tre prove che dimostrano l'invidia (meritata) per Safran Foer

Mariarosa Mancuso

Se tutti gli abitanti della terra volessero recitare Amleto con un vero teschio nella parte del fu buffone di corte Yorick, non ci sarebbero abbastanza attrezzi di scena. Fa il macabro calcolo un ragazzino newyorchese di nove anni, Oskar, dopo aver letto sul National Geographic la notizia che oggi vivono più persone di quante ne sono morte nei secoli passati.

    Se tutti gli abitanti della terra volessero recitare Amleto con un vero teschio nella parte del fu buffone di corte Yorick, non ci sarebbero abbastanza attrezzi di scena. Fa il macabro calcolo un ragazzino newyorchese di nove anni, Oskar, dopo aver letto sul National Geographic la notizia che oggi vivono più persone di quante ne sono morte nei secoli passati. Anche per i lettori appassionati di “Molto forte, incredibilmente vicino”, secondo romanzo dello scrittore prodigio Jonathan Safran Foer (il primo, “Ogni cosa è illuminata”, uscito nel 2002, fu il più strepitoso esordio dopo Dave Eggers con “L'opera struggente di un formidabile genio”), era difficile immaginare che qualcuno lo avrebbe fatto davvero (nella foto, Jonathan Safran Foer). Rivelando la verità solo alla fine delle repliche, per non distrarre gli spettatori. Il teschio fu donato per testamento dal pianista russo André Tchaikowski alla Royal Shakespeare Company nel 1982. Fino allo scorso novembre nessuno aveva avuto il coraggio di usarlo in scena: ci ha pensato l'attore David Tennant, che non cita Safran Foer tra i suoi suggeritori (e recita la scena con moderno berretto di lana calato sugli occhi, giaccone impermeabile, scarpe da ginnastica).

    Intanto il trentenne scrittore – nato a Washington, sposato con la scrittrice Nicole Krauss, villetta a Park Slope, Brooklyn, come Paul Auster, Rick Moody e Jhumpa Lahiri – sta sperimentando le sue prime invidie pubbliche (essendo quelle private materia per coniugi e analisti). Dà il cattivo esempio l'ex fidanzata di Jonathan Franzen su Granta. Quando vide crollare le Twin Towers, il giorno in cui “Le correzioni” usciva in libreria, si rallegrò: “Ora nessuno parlerà più di quel maledetto romanzo”. Fa da sfondo l'atroce sincerità di Gore Vidal nell'autobiografico “Palinsesto”: “Non basta avere successo. Bisogna che i tuoi amici falliscano”.
    Un milione e mezzo di dollari incassati con il primo romanzo, più le lodi universali della critica: basta molto meno per suscitare rancori che durano una vita intera. Si mangiano le dita quelli che facevano la gavetta con te, e sono stati meno fortunati. Su un blog letterario del Guardian, Sarah Weinman ha coniato qualche giorno fa il neologismo Schaden-Foer (da Schadenfreude, la gioia che si prova in fondo al cuore per le disgrazie di amici e conoscenti, ben espressa anche dalla più crudele variazione della legge di Murphy: “Se qualcuno ascolta i tuoi guai, è contento che tu ne abbia”).

    Le prove a carico elencate da Sarah Weinman, che ha studiato Medicina legale e recensisce thriller sul Los Angeles, sono schiaccianti, anche se i presunti colpevoli minimizzano. Itamar Moses, drammaturgo trentenne (non del tutto sconosciuto ai critici, lo recensisce anche Variety), ha scritto “Four of Us”, atto unico – off Broadway, neanche ci sarebbe bisogno di ricordarlo – che racconta l'amicizia tra uno scrittore con anticipo a sei zeri e uno scrittore di teatro che fatica a campare. Si incontrano a diciassette anni, a venti vanno per qualche mese a Praga. Quando Benjamin il romanziere comunica all'amico la bella notizia, David sputa rumorosamente l'acqua che sta bevendo (si chiama spit-take, nei manuali americani per l'attor comico). Poiché non esiste peggior sadismo di quello esercitato a fin di bene, l'amico spiega: “Ma no, non è mica tanto, sono compresi anche i diritti internazionali e cinematografici”. David mette in bocca un pretzel per darsi un contegno, e borbotta qualcosa sul colpo di fortuna inaspettata che corrompe gli animi.
    Sigillata nella plastica la prova numero uno, ecco la prova numero due. Nel suo racconto “The Nurse and the Novelist”, l'emigrata russa Anya Ulinich descrive un romanzo che somiglia terribilmente a “Ogni cosa è illuminata”, comprensiva di realismo magico e di frecciatina agli scrittori americani che si arricchiscono raccontando gli ebrei sovietici. Sono ucraini, nel romanzo di Safran Foer, ma allora sarebbe scattata la querela. Non è querelabile invece Malcolm Gladwell, che in un articolo sul New Yorker smonta i luoghi comuni sui talenti precoci, citando Jonathan Safran Foer tra quelli che appassiranno presto. Per zittirlo, serve al più presto un terzo romanzo, che però non spunta all'orizzonte. Utile anche per dirimere la questione: il grafico che va da “Ogni cosa è illuminata” a “Molto forte, incredibilmente vicino” sale oppure scende? (scende, spiace dirlo, per un sovrappiù di autocompiacimento). Nel frattempo lo scrittore, conclusa la campagna per Obama, continua la battaglia per una meno cruenta macellazione kasher.