Anticipazione dal Foglio del 16 dicembre

La ritirata non strategica sulla vita finirà male. Molto male

Giuliano Ferrara

Ormai la ritirata è dispiegata. E non ha nulla di strategico. Un anno fa abbiamo detto: se la vita è sacra, e solennemente si decreta una moratoria per la pena di morte, si decreti una moratoria anche per l'aborto.

Leggi: Vita, disporne liberamente; Avanza una nuova stagione eticamente (molto) insensibile; Questo articolo è una svolta radicale

    Ormai la ritirata è dispiegata. E non ha nulla di strategico. Un anno fa, tirando le conseguenze di una robusta stagione di battaglie culturali in cui laici e cattolici si erano uniti, abbiamo detto: se la vita è sacra, e solennemente si decreta una moratoria per la pena di morte, si decreti una moratoria anche per l'aborto. Altro che scarpe ci hanno tirato. Ma noi non volevamo rendere l'aborto illegale, punire penalmente le donne a trent'anni dalla legge 194. Era chiarissimo, ed è stato fatto di tutto per oscurarlo. Noi volevamo solo dire la verità, e spingere tutti a comportarsi secondo verità, sapendo che la verità è la vera modalità dell'abusato concetto di “amore”, l'unica possibile carità.
    Il maltrattamento manipolatorio della vita umana, per così dire “in entrata e in uscita”, è infatti la frontiera culturale, civile e giuridica della nostra epoca. Niente di più rilevante, di più triste, di più diabolico accade nel nostro tempo. Un miliardo di aborti in trent'anni. Cinquanta milioni di aborti l'anno. Aborti forzati e programmati in Asia, con esclusione dalla vita delle inutili bambine. Aborti selettivi che dilagano in occidente come scelta eugenetica. Aborti per cause materiali, per debolezze sociali di vario ordine e genere.

    Il cuore della protesta, che a elezioni convocate si trasformò in una iniziativa elettorale gratuita, la lista pazza, e sboccò in un clamoroso e significativo insuccesso, con pochissimi benedettissimi voti raccolti, non era nemmeno l'aborto, che a certe condizioni non si può scongiurare, e che non si può eliminare con la persecuzione penale delle donne che abortiscono. Il cuore della protesta era la trasformazione dell'aborto in un avvenimento ordinario, moralmente indifferente, seriale, ormai classificato e gestito come una occorrenza qualunque, come un omicidio legittimato dall'uso sociale e dalla cultura soggettivista e utilitarista del tempo, anche tradendo l'impostazione originale della legge di compromesso “per la tutela sociale della maternità” voluta in Italia dai cattolici e dai comunisti al culmine di quel decennio dei Settanta, maledetto, che deformò con violenza le nostre vite e la vita della Repubblica.

    Il programma di quella battaglia che continua e che non è italiana ma globale, di cui il capitolo politico-elettorale fu solo la conseguenza dovuta, era semplice e immenso: emendare l'articolo 3 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo di sessant'anni fa, e definire dunque il diritto alla vita come diritto alla vita “dal concepimento alla morte naturale”. L'idea di fondo era: promuovere ovunque politiche pubbliche antiaborto, nell'interesse della vita non nata e delle donne, con risorse adeguate e certezze culturali e buonumore sociale. Ma sale adesso prepotente un riflusso di marea che sta travolgendo piano piano le basi di quella generosa e alla fine isolata protesta fondata sui diritti umani costruiti dalla ragione liberale e illuminista, in alleanza con il fervore e la luce della fede cristiana non ottenebrata dalla violenta secolarizzazione in corso.

    Domenica abbiamo pubblicato lo scritto di uno stimabile filosofo cattolico, Vittorio Possenti, che argomentava dall'interno di un establishment intellettuale solitamente disciplinato, e non con le libertà tipiche del pensiero di un Mancuso o di una De Monticelli, il suo sonante “sì” all'idea che una norma pubblica deve incardinare nelle nostre vite un principio di libertà moderna: la vita è mia e la gestisco io, anche delegando ad altri il compito di sopprimerla quando non è degna di essere vissuta. Nello stesso giorno Eugenia Roccella, sottosegretario del governo Berlusconi per le questioni etiche, ha alzato bandiera bianca: habemus la Ru486, un nuovo veleno per le donne che uccide la vita nascente nel loro seno con una procedura solitaria e casalinga che deresponsabilizza definitivamente la società e la medicina, e si fa beffe delle attenzioni e della cura previste dalla legge per la “tutela sociale della maternità”.

    Restano in vigore, a molti mesi dall'insediamento del governo “eticamente anarchico”, il “governo senza cattolici” che va d'accordo con il Papa ma non con le sue idee, le linee guida di applicazione della legge sulla fecondazione artificiale approntate dal ministro Livia Turco, nemica della legge 40 nella lettera e nello spirito, combattente referendaria, fiancheggiatrice delle sentenze dei giudici avverse al legislatore e al suo testo di legge confermato dalla volontà popolare. Il premier, in un momento di grave debolezza che avrà avuto modo in seguito di rimproverarsi, disse che era favorevole alla moratoria e che si sarebbe impegnato all'Onu perché si iniziasse l'iter procedurale dell'emendamento all'articolo 3 della Dichiarazione: nulla, naturalmente, è avvenuto. Intanto il prestigioso cardinal Martini intensifica la sua alta predicazione in favore di un'idea di libertà di coscienza e di relativismo cristiano che stupisce per la sua volatilità etica, in particolare sui temi del maltrattamento della vita umana. L'offensiva contro la chiesa arcigna dei divieti continua martellante nei giornali del mainstream ultrasecolarista, che adesso rivalutano Pio XII (buona notizia) per dare addosso a Benedetto XVI. I vescovi italiani, nel frattempo, hanno pensato che per scongiurare la cultura eutanasica che si affaccia nelle sentenze della Cassazione, le quali almeno sono sentenze su casi singoli e non norma generale, è meglio fare una legge sulla fase finale della vita. Tremenda illusione carica di cattivi presagi. Finirà come è finita con la legge sulla fase iniziale della vita. Cioè, male. Molto male.

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    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.