“Il bipartitismo dipende dalla resistenza del Pd, il Cav. aiuti W.”
Il già debole Pd trema sotto i cannoni delle inchieste giudiziarie, l'opposizione appare sempre più debole, quasi assente. Così nel Pdl c'è chi comincia a preoccuparsi, perché se la costruzione di Veltroni crolla su se stessa potrebbe finire col trascinarsi dietro anche il bipartitismo, il Pdl.
Il già debole Pd trema sotto i cannoni delle inchieste giudiziarie, l'opposizione appare sempre più debole, quasi assente. Così nel Pdl c'è chi comincia a preoccuparsi, perché se la costruzione di Veltroni crolla su se stessa potrebbe finire col trascinarsi dietro anche il bipartitismo, il Pdl, il partito unico del centrodestra e dunque la spinta riformatrice della politica che anima molti dirigenti berlusconiani. Per questo “è il momento che il presidente del Consiglio tenda una mano al Pd”, dice al Foglio il professore Angelo Panebianco. “E' evidente che nel breve periodo la crisi di Veltroni favorisca in termini di consenso il centrodestra. Ma alla lunga – spiega il professore – questo apparente successo diventerà controproducente, destabilizzante. Se Di Pietro acquisisce la leadership del centrosinistra, imponendo al paese i suoi temi, non ci guadagna nessuno. Prima tra tutti l'Italia”. Tocca davvero al Cav. venire in soccorso di Veltroni? “Veltroni per prima cosa deve salvarsi da solo. Quanto accade, compreso il riflusso della ‘questione morale' discende tutto dall'errore iniziale di essersi alleato con Di Pietro. Poi, è chiaro, Berlusconi può aiutare l'opposizione dialogando. Ma senza esagerare nelle aperture, perché – sembra un paradosso – parte dell'elettorato ex diessino vede il dialogo col centrodestra come ‘il patto della morte'”. Difatti, ieri, Rosy Bindi spiegava preventivamente che il Pd non si farà “stritolare tra il giustizialismo di Di Pietro e la proposta di un patto improprio con Berlusconi”. Che fare allora? “Il premier dovrebbe solo evitare di bastonare il Pd e rifiutare la logica della questione morale – dice Panebianco – Dovrebbe rimangiarsi le battute violente, adesso non deve infierire ma mettersi ad ascoltare l'opposizione, legittimarla”. Nel partito berlusconiano, alcuni sono d'accordo. La tentazione di dire “visto che non siete diversi e migliori?” è forte e ieri si è manifestata in molte dichiarazioni. Ma non è condivisa da tutti. “Non dobbiamo infierire e non lo faremo, continueremo a perseguire il dialogo per le riforme e sappiamo bene che Pd e Pdl sono legati da un destino speculare: se il bipartitismo crolla da una parte, finisce anche dall'altra”, così dice al Foglio Gaetano Quagliariello. Il professore, e vicecapogruppo del Pdl al Senato, spiega anche che il centrodestra dovrà evitare di fare propria l'espressione questione morale. “Ha ragione Panebianco quando sostiene che i problemi politici non si risolvono con i grandi richiami etici”.
“La questione morale è un'espressione da seppellire – dice Quagliariello – perché contiene in sé un'idea di delegittimazione della politica: il pensiero espresso da Gustavo Zagrebelsky pochi giorni fa sul Corriere. Veltroni commette un errore quando la individua come la soluzione. La politica, secondo questa nozione, nel migliore dei casi, si fa per coltivare clientele e nel peggiore per compiere azioni illegali. E' una logica masochistica dalla quale il Pd deve liberarsi. Noi di certo non l'abbracceremo”. Ieri il comitato bipartisan costituito per la riforma del federalismo ha accettato il principale assioma del centrosinistra: la Bicamerale. Il dialogo adesso, almeno sul federalismo, sembra funzionare. Ma la Giustizia? “Noi ci impegniamo – dice Quagliariello – speriamo solo che non sia il Pd a farsi male da solo. Perché indebolendosi ulteriormente rischia di scardinare la novità politica emersa alle ultime elezioni, la dinamica di una moderna alternanza democratica”. Saltasse il Pd salterebbe il Pdl? “E' evidente che più il progetto del Pd a vocazione maggioritaria s'indebolisce tanto più anche la nostra idea riformatrice, il progetto di istituzionalizzare il bipartitismo, si fa complicata”. Il vicecapogruppo del Pdl al Senato avverte però il rischio che, pur aiutando adesso il Pd, “tutto si risolva nel tendere una mano verso il nulla”. Perché Veltroni – spiega – “in questi mesi ha già abdicato al progetto sostenuto ai tempi del suo insediamento. Non ha voluto riformare la legge europea che avrebbe confermato la semplificazione, ha riaperto alla logica delle coalizioni e non è riuscito a fare i gruppi unici di Camera e Senato. Insisto, noi non infieriremo ma la grande novità politica delle ultime elezioni rischia di naufragare comunque”.
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