Risposta agli intolleranti di Repubblica
Quei preziosi divieti che non vanno giù all'arcigna chiesuola laica
Repubblica è particolarmente impegnata, di questi tempi, in un legittimo ma arcigno attacco intellettuale alla chiesa di Ratzinger.
Repubblica è particolarmente impegnata, di questi tempi, in un legittimo ma arcigno attacco intellettuale alla chiesa di Ratzinger. Il suo vaticanista Marco Politi rimprovera il Papa di saper solo erigere divieti etici, lui che altrimenti avrebbe il passo dolce della tenerezza pastorale, beniamina di un cattolicesimo conciliarista al quale Politi appartiene. E si guadagna una risposta elegante e misurata, forse troppo difensiva, dell'Osservatore romano. Gad Lerner asseconda questo attacco in nome della lotta al neodogmatismo, e registra con soddisfazione proteste contro il Papa nelle assemblee parrocchiali alle quali partecipa: come dire “guarda, caro capo della chiesa di Roma, che se non ti comporti come vogliamo noi martiniani della chiesa di Gerusalemme (con sede a Milano), per te saranno guai”. I superlaici da sempre vogliono guidare la chiesa, in accordo con i preti che gli tengono bordone. Ma non siamo in Cina, dove da mezzo secolo è il potere a nominare i vescovi della chiesa patriottica: qui la chiesa è ancora libera di autodeterminarsi. Lerner aggiunge un tentativo sinistro di seminagione zizzaniosa, che ha molte diramazioni interne ed esterne alla chiesa, fin dai giorni della rappresentazione del dramma di Rolf Hochhuth contro Pio XII: l'obiettivo è di riappiccicare alla chiesa di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, chiesa pellegrinante di sinagoga in sinagoga sulla scia gloriosa del documento conciliare Nostra aetate, l'etichetta dell'antigiudaismo cristiano, che fu una tremenda realtà storica ma non è una realtà ecclesiologica o teologica o liturgica della chiesa di oggi, con il suo tentativo generoso di purificazione della memoria.
Questi ultimi segni di una campagna che dura da anni in varie forme hanno il sapore di una speciale intolleranza. Intolleranza è quando tu, invece di comprendere le ragioni dell'altro e cercare di convivere con esse, neghi perfino il suo diritto a esporle e a farle valere. Ecco, questo è il caso per i fanatici dogmatici della lotta contro il fanatismo neodogmatico. La chiesa infatti agisce legittimamente in base a una verità che considera rivelata, vetero e neotestamentaria, e a una prassi apostolica che dura da duemila anni: di questo bagaglio fanno effettivamente parte alcuni comandamenti, molti positivi (ama il prossimo tuo, onora il padre e la madre) e molti anche negativi (non uccidere, non fornicare, non desiderare la donna d'altri e via negando). Cristo perfezionò la legge, s. Paolo compì con furia rabbinica l'opera di devastazione teologica della sua pretesa di essere l'alfa e l'omega della vita secondo lo spirito. Ma un codice etico ha sempre fatto parte, nel bene e nel male, della vita cristiana. E' appena comprensibile, in un tempo in cui i divieti sono socialmente squalificati e l'educazione fa ridere invece di incantare i fanciulli e le fanciulle, che l'attività apostolica contrasti gli effetti non già del libertinismo individualistico, che aveva qualcosa perfino di santo, ma quelli del conformismo permissivo di massa, che ha sfigurato le scuole, le famiglie, e tanta parte della società moderna nell'ultimo mezzo secolo. Senza dire che è in gioco non solo il banale fare-come-ciascuno-crede, ma la natura profonda dell'essere umano e la considerazione kantiana della persona come fine anziché come mezzo: roba molto forte, caro Gad. L'idea di base, primitiva, elementare, semplificatoria, è sempre la stessa per i laicisti indemoniati. Nessuno – dicono – è obbligato a divorziare, ad abortire, a subire o a comminare l'eutanasia, e nessuno è costretto a fabbricare bambini in provetta, a fare diagnosi prenatali eugenetiche, a selezionare la razza a piacimento e con il sigillo della ricerca moderna del benessere, e nessuno che non lo desideri ha da manipolare embrioni e staminali embrionali, costruire ibridi, produrre baby-farmaco, commerciare in ovuli, affittare uteri. La società desiderante desidera, e quella ascetica si purifichi pure nel frattempo.
Ma tutto questo è quasi comico: lo riconoscerete anche voi, cari liberal-proceduralisti. Una società in cui quel che ho citato prima, dall'aborto in giù, è considerato moralmente indifferente non è uguale a una società in cui tutte quelle belle cose sono messe in discussione, combattute e, in qualche caso, proibite. Sì, avete sentito bene: proibite. Proibite con tutta la tenerezza pastorale del caso, e con tutta quella magnifica composizione di amore e verità che è l'essenza razionale, modernissima, del magistero teologico di Joseph Ratzinger e della sua idea di dignità della persona.
Perché, invece di continuare a ripetere banalità neutraliste sul pluralismo dei comportamenti, e magari dei comandamenti (“non uccidere, con qualche eccezione”), non provate a fare come Marcello Pera? Un lavoro onesto di scavo nelle fonti del liberalismo classico non vi farebbe male. Scoprireste che John Locke ed Immanuel Kant sono parenti dell'antropologia cristiana moderna e non del vostro andante laissez-faire morale. Come ha detto il vescovo anglocattolico di Rochester, Michael Nazir Ali, il mondo nell'ultimo mezzo secolo è radicalmente cambiato, più di quanto non fosse cambiato nei cent'anni precedenti. Per certi aspetti, andiamo forte. Per altri aspetti, andiamo troppo forte, in direzione troppo vaga, e con una eccessiva libertà da preziosi divieti.
Il Foglio sportivo - in corpore sano