Un cuore d'Oréal
Non pensiate che Liliane Bettencourt, la donna più ricca d'Europa, 86 anni, una fortuna familiare alla testa del gruppo L'Oréal stimata intorno ai 18 miliardi di euro, si sia fatta abbindolare da uno scroccone paparazzo.
Roma. Non pensiate che Liliane Bettencourt, la donna più ricca d'Europa, 86 anni, una fortuna familiare alla testa del gruppo L'Oréal stimata intorno ai 18 miliardi di euro, si sia fatta abbindolare da uno scroccone paparazzo, aduso a vessarla come i figli riottosi e viziati fanno coi loro genitori deboli, incapaci, quando costoro si fanno obnubilare dalla senescenza. Ci sarà pure del vero in ciò che trapela dall'inchiesta giudiziaria aperta da quando la figlia di Mme Bettencourt, Florence Meyers, studiosa biblista, ha sporto denuncia per circonvenzione di incapace, per sapere a quanto ammontano le elargizioni materne a favore dell'amico fotografo. Magari saranno pure attendibili le sfuriate riferite dai domestici della vecchia, che raccontano come l'amico le ingiungesse di togliersi il rossetto dalle labbra perché sembrava “un mostro”, o dei modi bruschi e violenti in cui il profittatore esprimeva le varie gamme del ricatto affettivo, puntando sugli stati altalenanti di salute della sua benefattrice. Resta il fatto che François-Marie Banier è un artista, dotato di una forza di seduzione incommensurabile al soldo o al favore da scucire, se è vero che la stessa Mme Bettencourt lo difende a spada tratta come un liberatore – “grazie a lui non sono rimasta prigioniera nell'ambiente convenzionale al quale mi destinava la mia fortuna” – e minaccia di diseredare la figlia.
Snob, mitomane, funambolico, cinico, narciso, romantico, disperato ma rampante quanto basta per sperimentare il mecenatismo più avventuroso, e spregiudicato quanto serve per fare dell'arte un'impresa profittevole, Banier è un mito in sé. Figlio dissestato di una coppia di alieni, suo padre, di professione manager pubblicitario, era un ebreo ungherese che non faceva altro che punirlo e umiliarlo: la madre era un'italo-francese che compensava la sua fragilità col mito di Proust. “A tre anni scoprii che il mondo dei miei genitori era vuoto, controllato da regole assurde”, ha confessato due anni fa a Vanity Fair. “Credevano nel nulla, ma ci credevano fortemente. A sei anni capii che potevo dipingere, a sette che potevo scrivere. Loro però volevano distruggere la mia singolarità, mortificare il mio talento. Così, io volevo morire. Ho conosciuto la morte all'inizio della vita”.
“Gioco con gli altri come Faust col fuoco”
Da allora, Banier che preferiva fare sega a scuola e andare a vendere i suoi disegni per le strade della Parigi bene, si è ricostruito una famiglia a sua immagine e somiglianza, fatta di grandi eccentrici come Salvador Dalì, conquistato giovanissimo andandolo a importunare in un grande albergo parigino, e grandi bellezze, come Silvana Mangano che ai suoi occhi era la donna più bella del mondo dopo Nefertiti, e che è diventata la sua “madre ideale”. E poi, dopo i surrealisti, le dive del cinema, le grandi aristocratiche come Marie-Laure de Noailles, la trasgressiva musa che scoprì Man Ray, Buñuel, Cocteau, vennero i comunisti romantici come Louis Aragon, che ne fece un figlio, e i russi mistici come il pianista Vladimir Horowitz, che da anni non si esibiva in concerti e che Banier fece tornare a suonare. E i creativi come Pierre Cardin, che gli aprì le porte del jet set, e gli scrittori benedetti come Françoise Sagan, che in lui vedeva molto più di un amico, un antidepressivo in carne ed ossa. “Gioco con l'energia degli altri come Faust gioca col fuoco”, ha detto Banier di se stesso. E si capisce, allora, come è nato l'artista versatile che lotta contro il nulla giocando su vari piani: la mattina scrive, ha iniziato giovanissimo con romanzi a sfondo autobiografico e il suo diario, di cui Gallimard promette da anni un'edizione, pare sia una miniera fantasmagorica della società contemporanea. Nel pomeriggio, inforca il motorino e passa alla fotografia, girando per la città in cerca dello straordinario quotidiano. Le sue foto, esposte in grandi mostre in tutto il mondo, sono vendute a caro prezzo da Larry Gagosian, da quando un'eccentrica miliardaria gli offrì una cifra inverosimile per averne le prime lastre. La sera torna a casa e si mette a dipingere. Dipinge spesso le stesse foto, versandoci sopra la vernice colorata e spennellandola alla maniera di Jackson Pollock. E a volte ci scrive anche sopra, piccole prose poetiche, versi, pensieri e racconti. Ha cominciato giovanissimo, a vent'anni, quando vestito di bianco come un paggio del duca di Guermantes si fece fotografare intento a scrivere con una Monblanc in una sala da tè della rue de Rivoli. Da allora, certo, la bellezza è svanita. Ma il fuoco interiore brucia ancora.
Il Foglio sportivo - in corpore sano