Plutarcheggiando sulle facce bifronti del potere romano
Le vite più o meno parallele di Vittorio Ripa di Meana e Claudio Vitalone
Ora muoiono nello stesso giorno Vittorio Ripa di Meana, avvocato d'affari vocato al bene quand'anche al servizio del male o del così così, e Claudio Vitalone, magistrato e politico in sospetto di malaffare quand'anche al servizio del bene o del benone.
Copiando dallo scrittore del Primo e Secondo secolo Plutarco (perché i giornali maturi copiano, quelli immaturi imitano) istituimmo fin dal primo numero del Foglio una rubrica intitolata Vite parallele, affidata a un magnifico scrittore, Sandro Fusina. Ora muoiono nello stesso giorno Vittorio Ripa di Meana, avvocato d'affari vocato al bene quand'anche al servizio del male o del così così, e Claudio Vitalone, magistrato e politico in sospetto di malaffare quand'anche al servizio del bene o del benone. L'essenza delle vite parallele plutarchesche è la comparazione, gli eroi dello storico e filosofo sono spesso un greco e un romano. Invece l'essenza della nostra copia è sempre stata il caso, l'azzardo cronologico, lo scherzo del tempo che delle tortuose vite sante e dannate fa associazione capricciosa numerandone i fatti nel corso degli anni che incomprensibilmente le vite hanno in comune. Fino al convergere della notizia della morte nella settimana che precede il sabato della rubrica (popolarmente detta, in redazione, “i morticini”).
Con Ripa di Meana (deceduto ieri alla clinica Mater dei a 81 anni) e Vitalone (morto nello stesso giorno al Policlinico Umberto I a 72 anni) ci toccherebbe plutarcheggiare, paragonare, ma non è detto che sia conveniente o necessario. Sono vite molto diverse, personalità separate da radici e impegni e parabole professionali incomponibili anche solo nella comparazione. Ripa di Meana avvocato, Vitalone magistrato e politico; l'uno saldamente collocato a sinistra, nell'area del repubblicanesimo laico e democratico, l'altro piuttosto definito a destra, una destra cattolica tuttavia propriamente indefinibile, un centro democristiano immerso nella nebbia dell'andreottismo e nei turbamenti che portarono alla catastrofica caduta (tra loschi processi) della Prima Repubblica.
Eppure quelle di questi due ausiliari di rango dell'economia e della politica gestite nei tribunali sono vite che hanno la stessa faccia bifronte di Roma, del potere politico, giudiziario e finanziario esercìto nella Capitale, in contatto con altri e diversi poteri di diverse latitudini. Clientele e presunte mafie tra la Calabria di Vitalone e la sua Sicilia, dove la storia del giudice e poi del politico si intreccia con quella quantomeno presunta del famoso Giulio, compreso però l'edificante episodio anni Settanta della gestione dell'accusa contro Junio Valerio Borghese per tentato golpe (tutti assolti, alla fine), per non parlare della collaborazione con Giovanni Falcone al ministero di Grazia e Giustizia. Clienti e corporazioni finanziarie presunte onnipotenti, poteri forti se mai ce ne furono, tra il Piemonte e la Lombardia e la Trieste di Ripa di Meana, storico brasseur d'affaires di Carlo De Benedetti e negli ultimi anni amministratore di rango delle autorevolissime e internazionalizzate Generali Assicurazioni.
Ripa di Meana non ha conosciuto l'onta, e poi il sollievo per la piena riparazione assolutoria, di un processo per omicidio, ciò che invece capitò a Vitalone nel caso di Mino Pecorelli, il giornalista di notizie riservate che fu ucciso sotto la propria abitazione nel marzo del 1979, trent'anni fa. Ma ha seguito con apprensione le vicende del suo cliente più illustre, che fu accusato di corruzione nel pieno di Tangentopoli per una faccenda di telescriventi inservibili vendute alla pubblica amministrazione, e poi fu accusato di relazioni pericolose con il banchiere Roberto Calvi, ma sempre uscendone dignitosamente, anche con l'ausilio del suo splendido avvocato. Che negli ultimi anni fu consacrato nel santuario della grande finanza italiana, il Leone di Trieste, come un onesto consigliori e amministratore. Mentre il pm e senatore amico di Andreotti, nonostante la malignità del Consiglio superiore della magistratura, organo di gestione dell'ordinamento giudiziario accusato spesso di politicizzazione e di pregiudizio contro il “porto delle nebbie” del palazzaccio romano, che gli negò il rientro al suo grado in Cassazione, ebbe infine partita vinta dal Tribuale amministrativo regionale del Lazio e dal Consiglio di stato, ed è morto presidente della settima sezione della Suprema corte di cassazione.
Le eulogie delle personalità pubbliche spesso decidono la partita, quella estroversa e che in fondo conta meno, quella delle apparenze e non degli affetti o del finale giudizio della storia. Nel nostro caso Ripa di Meana vince tre a zero. Oltre al sindaco di Roma Alemanno, che lo ha pianto con parole accorate, e a Walter Veltroni, che lo ha ricordato con affetto, il presidente della Repubblica lo ha così elogiato, secondo le agenzie di stampa parallele: “Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha indirizzato ai famigliari di Vittorio Ripa di Meana un messaggio di commossa e affettuosa partecipazione al loro dolore, ricordando dell'amico scomparso la finezza e gentilezza umana, la qualità dell'impegno culturale, la profonda fede democratica e repubblicana, la passione e probità professionale. Ne ha dato notizia un comunicato del Quirinale. Il capo dello stato ha concluso il suo messaggio parlando di una grave perdita per quanti credono nei valori ideali e morali con cui Vittorio Ripa di Meana si e' identificato in tutta la sua vita.”
Misurato fino all'eccesso, e significativamente scabro, il messaggio della seconda carica dello stato, senza echi bipartisan, come reca il testo delle agenzie di stampa parallele: “Importante esponente della Democrazia cristiana, ha dedicato tutta la sua vita alla magistratura e all'impegno politico”. Così il presidente del Senato, Renato Schifani, ricorda Claudio Vitalone in un telegramma inviato alla famiglia per esprimere il cordoglio dell'assemblea di palazzo Madama. “Senatore della Repubblica per quattro legislature – si legge ancora nel telegramma – e capogruppo della Democrazia cristiana nella IX legislatura, ne ricordiamo i numerosi importanti incarichi di vicepresidente della Commissione parlamentare antimafia, sottosegretario agli Esteri e ministro del Commercio estero. Rientrato in magistratura, da ultimo era divenuto presidente della settima sezione penale della Cassazione”.
(Piuttosto che guadagnarsi un simile epicedio, chiunque abbia svolto un ruolo nella vita pubblica farebbe qualsiasi cosa, figuriamoci vendere l'anima al diavolo, per procacciarsi l'immortalità).
Il Foglio sportivo - in corpore sano