Le lacune senza tregua degli anglo-francesi (e di D'Alema) su Hamas
Raramente l'Europa ha dimostrato tanta inettitudine politica come nella crisi di Gaza. La solita, trita richiesta di tregua – ogni volta che scoppia un conflitto, l'Ue sa solo chiedere una tregua – è infatti fallita per una ragione molto semplice: l'Europa – Sarkozy in testa – è prigioniera di schemi d'analisi inerziali ed errati.
Al direttore - Raramente l'Europa ha dimostrato tanta inettitudine politica come nella crisi di Gaza. La solita, trita richiesta di tregua – ogni volta che scoppia un conflitto, l'Ue sa solo chiedere una tregua – è infatti fallita per una ragione molto semplice: l'Europa – Sarkozy in testa – è prigioniera di schemi d'analisi inerziali ed errati. Uniche eccezioni: Angela Merkel, il governo italiano e quelli dell'est europeo – Repubblica ceca in testa – che però ben poco possono, a fronte di un blocco franco-inglese (i due soli paesi europei membri permanenti del Consiglio di sicurezza) che dall'avventura di Suez del 1956 in poi ha dato il peggio di sé sul quadrante mediorientale. Uomo simbolo della marginalità e del cinismo europei – a fianco di Sarkozy – è quel Tony Blair che da due anni finge di fare il rappresentante del Quartetto, fa occupare un piano intero del lussuoso American Colony di Gerusalemme da un suo poderoso staff… e intanto passa il suo tempo a tenere lucrosissime conferenze in giro per il mondo, tanto che, scoppiata la crisi di Gaza, non ha trovato nulla di meglio che tacere.
Questo giudizio impietoso è legato a un dato di fatto innegabile: dal 20 novembre era chiaro che Hamas puntava a far deflagrare la crisi a Gaza, e nel modo più sanguinoso, ma l'Ue non se ne è neanche accorta. Quel giorno, infatti, all'improvviso, Hamas rovesciò il tavolo delle trattative con Abu Mazen che la mediazione egiziana era certa di avere ormai concluso positivamente. Fare saltare la pacificazione ormai quasi raggiunta con Abu Mazen e contemporaneamente riprendere il lancio dei Qassam su Israele: Hamas – è chiaro – lavorava a un'escalation drammatica. Ma Sarkozy, presidente dell'Ue, non ha fatto nulla, non ha dato segno di cogliere l'emergenza incombente e meno ancora ha fatto l'evanescente Blair.
Il punto di estrema gravità politica è che questo ennesimo episodio di ignavia franco-inglese nei confronti dell'estremismo palestinese non è affatto congiunturale, non è legato alla personalità di Sarkozy o di Blair, ma ha radici profonde nella storia politica del Novecento dei due paesi, tanto che ha sempre funzionato da sponda per le posizioni palestinesi più irresponsabili. Un radicamento che va al di là dell'opportunismo petrolifero e che è conseguente a una radicale incapacità ideologico-politica di cogliere i termini della questione israelo- palestinese. Per l'Inghilterra, gioca un vecchio retaggio imperiale: come è noto – a eccezione dell'isolato Winston Churchill –- Londra, potenza mandataria in Palestina, fece di tutto nel 1948 – favorì anche la fondazione della Lega araba – per contrastare la nascita di Israele. Anthony Eden, nel 1956, tentò poi di ribaltare questa strategia, alleandosi con Israele, ma l'umiliante sconfitta subìta restò a monito di tutti i governi successivi a mai più sfidare in campo aperto estremisti arabi alla Nasser.
Anche la Francia, dopo il 1956, ha sempre sottovalutato il ruolo strategico di Israele quale avamposto di democrazia, in un mondo arabo sempre più jihadista (fulcro della posizione americana da Truman in poi – con l'eccezione di Eisenhower, nel 1956, appunto), che invece è chiarissimo oggi a Merkel e al governo italiano. Fu De Gaulle, nel 1967, a tracciare le linee di “alleanza critica” con Gerusalemme di cui ancora oggi il neogollista Sarkozy è prigioniero. Dopo la Guerra dei sei giorni – combattuta da Israele con armi francesi, va detto – il Generale – che aveva risolto la crisi algerina cedendo al nazionalismo terrorista del Fln – ruppe con un Israele che si rifiutava di accettare l'egemonia politica dell'Europa (cioè, della Francia). Egemonia politica che l'Ue – su impulso francese – impose alla crisi mediorientale nel 1980, quando nel vertice di Venezia, rifiutò di accettare la logica degli accordi Sadat-Begin (che non riconoscevano la filoterrorista Olp e puntavano alla creazione di una dirigenza palestinese attraverso elezioni amministrative nei Territori) e riconobbe invece l'Olp come unico interlocutore.
L'uccisione di Sadat a opera dei futuri fondatori di al Qaida tolse di mezzo l'unico ostacolo all'imporsi di quella scelta, e diede via libera alla sciagurata leadership di Yasser Arafat, con conseguenze nefaste. Sarkozy oggi, dunque, è prigioniero di uno schema – condiviso anche dal postsovietico Massimo D'Alema – che vede nell'estremismo arabo palestinese, non un avversario da battere, ma una forza “nazionale” con cui interloquire. Da qui le ambiguità e le sottovalutazioni nei confronti di Hamas. Da qui le irresponsabili aperture alla Siria che, a sei mesi dai trionfi parigini tributati da Sarkozy a Bashar el Assad, appaiono sempre più velleitarie.
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