Razzi su Israele dal Libano

Gaza dietro la collina

Toni Capuozzo

Ashkelon. E' difficile raccontare com'è una guerra vista da vicino, quando sei lontano. Le colline intorno a Gaza sono affollate da piccoli accampamenti di giornalisti, e tra l'erba alta emergono i trespoli delle telecamere e le sagome concave delle parabole.

    Ashkelon. E' difficile raccontare com'è una guerra vista da vicino, quando sei lontano. Le colline intorno a Gaza sono affollate da piccoli accampamenti di giornalisti, e tra l'erba alta emergono i trespoli delle telecamere e le sagome concave delle parabole. Tutte le strade di accesso a Gaza sono sbarrate, ed è impossibile avvicinarsi alle postazioni di artiglieria annidate tra le colline. Sentiamo i colpi, potenti, e pochi secondi dopo lo sbuffo silenzioso tra le case di Gaza City: devi immaginare i rumori, le urla, l'odore. La guerra che facciamo noi è quella con la polizia che controlla gli accessi, è quella delle sirene d'allarme. Ieri stavamo mangiando un panino a Sderot, le sirene hanno suonato, il bar si è svuotato. Il cassiere è rimasto sorpreso quando sono andato a pagare, c'è un'abitudine fatalistica anche agli allarmi, e probabilmente si stava chiedendo quanti dei clienti sarebbero tornati indietro a fare il proprio dovere. Il missile è caduto a trecento metri, davanti a una fermata d'autobus deserta. Stamattina un altro è caduto a duecento metri dall'albergo, ad Ashkelon: siamo corsi, e abbiamo visto da vicino il terrore di due donne, illese.

    Il nostro riposo è una stazione di servizio, dove si mangia la sera, condivisa con i soldati israeliani che affollano il take away. Ragazzi, ragazze, riservisti con la pancia dei quarant'anni. I militari nostri vicini di tavola, ieri sera, dovevano essere drusi, per come parlavano fluentemente l'arabo con gli inservienti della cucina: una scena che da sola spiegava della guerra molto di più di tanti servizi ed editoriali. Le televisioni sono sempre accese, e ieri sera uno speciale ha ricordato i militari caduti: il filmato di quando il ragazzo biondo si era sposato, l'intervista alla giovane vedova, il pianto di un fratello, il dolore sobrio di un padre che ha combattuto troppe guerre, ed ha perso quest'ultima. Se conosci Israele, li capisci. Ma se conosci Gaza, sai che cosa sta succedendo.

    Ne conosco le strade, il mercato del pesce, i campi profughi, la moschea dove predicava Yassin, la casa di Rantissi, i campi sportivi delle parate, le sedi politiche: Gaza sembrava bombardata anche nei momenti migliori, è facile immaginare cosa sia adesso. Dai suoi bordi, o dai bordi di Israele, hai la sensazione di raccontare sempre la stessa storia. Mi ricordo in queste ore dei palestinesi che sparavano dal tetto della Basilica di Betlemme, usando il luogo della cristianità come scudo, ed esca invitante. Mi ricordo il rapimento della pattuglia ai confini del Libano, l'estate di tre anni fa, e la strage di Cana, e le tattiche di Hezbollah: è facile fare resistenza quando anche i tuoi stessi morti sono una vittoria. I Qassam adesso, e allora i missili di Hezbollah, sono soltanto un pretesto, un sovrappiù, facciano morti o non ne facciano, il segreto della vittoria amorale sta nella reazione che provocano, e nei guasti utilissimi che la reazione procura.

    Conosco anche l'Italia, che sussulta per Jabailya ma ignorò Srebrenica, e non si scompose per Milica Rakic, la bambina di tre anni uccisa a Belgrado (per non dire dei morti nella televisione di stato e dell'ambasciata cinese, e delle bombe a grappolo su Nis), e solo perché eravamo noi a bombardare – e un governo presieduto da D'Alema –, senza che nessuno lo avesse fatto prima contro di noi. Racconto quello che vedo senza speranza, ma anche senza abitudine. Perché mi pare che Israele non abbia appreso davvero la lezione del Libano, e questo mi sorprende. Mi sembra sia caduta in una trappola. Ad Hamas bastano una dozzina di missili al giorno per dimostrare che c'è, e il piombo dei Qassam non si fonde. Israele, in cambio, assesta colpi duri ma nel dedalo di Gaza è un gioco tremendo da ragazzi farsi scudo dei civili. La tregua, assaporata per tre ore al giorno, arriverà, ed è una corsa a raggiungere i propri obbiettivi, prima. Hamas può essere indebolita, ma non cancellata, l'unica sconfitta possibile è quella che può venire dal rifiuto della sua stessa popolazione. Allora, più che gli obbiettivi militari, Israele farebbe bene a lavorare alla propria immagine, anche nella Striscia, e forse a lavorare su se stessa. Un'organizzazione non governativa israeliana, i Physicians for human rights, ha lanciato una raccolta di fondi per gli ospedali di Gaza. Servono 700 mila dollari per tutto: gas medici, anestetici, guanti da chirurgo, cateteri, letti per rianimazione, ossigeno.

    Sono stati raccolti 100 mila dollari, principalmente tra gli arabi israeliani. Il governo dovrebbe mettere i 600 mila che mancano, e dovrebbe spingere l'esercito ad aprire i propri ospedali da campo alle vittime civili. Non basta cercare di evitare i danni collaterali quando si sa che è impossibile. Occorre uno sforzo umanitario più grande che può non oscurare la legittimità dell'autodifesa – quanti nel mondo presero i Qassam come una minaccia, o almeno come un campanello d'allarme ? Convivesse pure Israele con le sue paure, come una colpa da pagare, ma bisogna medicare la sua inevitabile prepotenza, davanti a un nemico che proprio questo cerca. Perché per un paese democratico e per una forza armata che non deroghi, neanche nei conflitti più brutali, ai principi morali su cui si fonda, la difesa dell'onore è anch'essa una difesa collettiva della sopravvivenza dei propri cittadini, minacciati dai danni collaterali quanto e più che dai Qassam. Meglio non ci siano guerre, ma se vi si è costretti, mai assomigliare al nemico, specie se quella è la trappola cui il nemico ti invita. Quando l'orrore ti contagia, ad Abu Ghraib come in un villaggio afghano, a Guantanamo come a Jabailya, conta poco che per la ragione quell'orrore sia un errore, una vergogna da giustificare o dimenticare, mentre invece per il nemico il proprio orrore, l'attentato suicida o l'esecuzione di un ostaggio, sia da esibire compiaciuto. Il risultato è che il terrorismo vince, quando ti obbliga a giocare sul suo terreno, usando i bambini come un nascondino innocente e tremendo.