Voci dal tribunale delle curve lese

Moggi, sì, colpevole. Però sempre meglio delinquenti assolti che borghesi

Alessandro Giuli

E adesso chi li tiene più fermi i collitorti juventini nostalgici dei bei tempi andati in cui Luciano Moggi era lo scudo sul quale la Signora veniva portata in trionfo almeno una volta ogni due anni?

    E adesso chi li tiene più fermi i collitorti juventini nostalgici dei bei tempi andati in cui Luciano Moggi era lo scudo sul quale la Signora veniva portata in trionfo almeno una volta ogni due anni? Ora che su Moggi cade il verdetto di assoluzione per le accuse peggiori, quelle di associazione a delinquere. Ora che Moggi, secondo i giudici, è soltanto un ex potente con il viziaccio di minacciare al dettaglio i calciatori altrui per farli entrare nel gregge d'oro della sua agenzia di procuratori, la Gea. Adesso Moggi non è più un delinquente ma un guitto con la fedina penale ingrigita. In linea di massima non c'è tifoso anti juventino disposto a mutare parere sull'uomo e sull'opra moggesca. Il tribunale delle curve lese non conosce gradi di giudizio ulteriori rispetto al “ladri-ladri-ladri” che ogni tifoseria coscienziosa riserva da sempre ai bianconeri. E tuttavia la novità merita d'essere considerata.

    Agli occhi dei tifosi, la fedina penale non c'entra nulla e anzi l'indulto di cui l'ex dg della Juve beneficia è più che sacrosanto. Oltretutto non è che il mondo pallonaro sia così cambiato, una volta costretti all'esilio Moggi e il suo clan: a quel potere si è soltanto sostituito un contropotere in attesa di guadagnare la prima linea. Il tutto in forma perfettamente legale. Il potere di cui si dice – da molti specialisti definito come “condizionamento psicologico” – è qualcosa che sta al confine tra la seduzione magica e la piccola mascalzonata. E' l'immagine carismatica di una società sportiva che irrompe nel nanosecondo in cui un arbitro deve decidere se un rigore c'è o meno. Ed è la medesima forza per la quale un fuoriclasse poteva essere corteggiato con qualche atout non soltanto finanziario: la bacheca colma di trofei, la chiccheria degli Agnelli, l'influenza della suddetta famiglia in Confindustria, l'influenza della suddetta Confindustria nell'azionariato di certi quotidiani influenti, l'influenza dell'azionariato di certi quotidiani influenti sui propri direttori, e così via a discendere.

    Ecco, se abbiamo capito bene, nella notte dei tradimenti giallorossi, in fondo Moggi non faceva altro che ricordare tutto questo al nostro Emerson. E quello se n'è andato da Roma ebbro di condizionamento psicologico. Dice: di che ti lamenti, giallorosso, non è stato forse Andreotti a far rimanere Falcão alla Roma, negli anni Ottanta? Forse, ma anche allora quel nanosecondo in cui l'arbitro decideva sui rigori fruttava alla Juve caterve di scudetti. Certo poi le cose cambiano, il tempo edace travolge quelle creature di un giorno che sono i mortali (compresi i ricchi) e un pullover blu non varrà mai quanto l'orologio sul polsino o una compagnia petrolifera. Allora, Moggi… colpevole, sì, ma come si diceva: sempre meglio delinquenti (e assolti) che borghesi.

     

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