Bilancio di guerra
Che la quarta settimana di guerra sarebbe stata differente, lo si è capito nel weekend. La stazione di servizio che è il retrovia di tutto quanto si è riempita di parenti in visita al fronte. E una buona parte erano parenti di riservisti. Hanno fatto dei pic nic sui tavolini all'aperto.
Confine di Gaza. Che la quarta settimana di guerra sarebbe stata differente, lo si è capito nel weekend. La stazione di servizio che è il retrovia di tutto quanto si è riempita di parenti in visita al fronte. E una buona parte erano parenti di riservisti. Hanno fatto dei pic nic sui tavolini all'aperto, perché c'era il sole e i posti all'interno erano tutti occupati dalla solita clientela di giornalisti, producer, abitanti dei dintorni. E anche perché erano, quei gruppi familiari, gli unici disinteressati alle notizie che la televisione snocciolava, all'interno. Volevano stare per conto loro, attorno a grandi contenitori di plastica con il cibo portato da casa.
C'erano madri, padri, sorelle, fratelli, figli, fidanzate, fidanzati. E da come si sono salutati si capiva che era giunto il momento dei riservisti. Ho cercato di rimanere freddo, e di pensare che qualcuno di quegli uomini andava a macchiarsi di qualche morte di civile, e che non vuol dire nulla se hanno volti per bene e buone maniere, anche i nazisti stavano ad ascoltare musica classica accarezzando un cane lupo. In realtà li conosco abbastanza per sapere che faranno di tutto per evitare morti civili, anche se in guerra poi comanda la paura, l'incertezza, la fretta.
E rimane, pur nell'orrore che noi anestetizziamo quando parliamo di “danni collaterali”, una bella differenza tra il colpo sbagliato da un carro, da un elicottero, da un aereo, e il colpo sparato a vista, deliberatamente, alla morte del civile come obbiettivo, come succede per i terroristi suicidi, o per i Qassam. Una cosa è chiara, nei mozziconi di parole che scambiamo: che vanno al fronte per difendere le loro vite, e quelle di chi gli è caro. Messi tutti insieme, quei mozziconi di parole dicono che Israele non si fermerà fino a quando la capacità di lancio dei Qassam non sarà azzerata, e fino a quando la capacità di rifornirne gli arsenali non sarà distrutta. Sono obbiettivi chiari, ed elementari. Il bilancio che noi facciamo è innanzitutto il bilancio delle vittime. Il bilancio che Israele sta facendo è un altro: oggi, martedì, a metà giornata i missili caduti su Israele sono 6. Non so quale sarà il bilancio a fine giornata, ma il numero dei missili, tre settimane fa, era di 50/60 al giorno. Ed erano lanci più precisi.
Hamas li lancia di giorno, perché di notte sarebbero più facilmente individuate le postazioni di lancio, e perché di giorno è più facile colpire i passanti israeliani. Ma adesso ha dovuto arretrare le proprie postazioni, e cambiarle. Spara – l'ho visto con i miei occhi – da zone abitate, e cambiando postazioni ogni volta. Ciò vuol dire che deve cambiare ogni volta le coordinate di lancio, rinunciando al know how consolidato da correzioni che aveva accumulato prima del conflitto.
E deve farlo in fretta: si calcola che adesso i lanci vengano effettuati in 91 secondi, e poi, via, corrono al riparo: l'imprecisione è massima. Quanto agli arsenali, sono molti i tunnel bombardati, ma ne restano decine e decine. Da quando gli israeliani hanno abbandonato la Striscia – nessuno lo ricorda, ma è successo, no ? – quella dei tunnel è diventata una vera industria. C'è chi ne ha scavati gestendoli come si gestisce un ponte privato: ogni kalashnikov passato costava cinque dollari, ogni stecca di sigarette tot dollari, ogni gallone di benzina tot dollari (l'unico prezzo che mi ricordo, nelle fluttuazioni di mercato era quello dei kalashnikov, appunto). C'è chi si è rifatto dell'investimento in pochi giorni, chi è diventato ricco e poi ha dovuto pagare tasse ad Hamas, chi si è specializzato in certi articoli, chi ha venduto il tunnel a qualche fazione combattente, e chi se ne è visto espropriare dal più forte. E le armi da dove venivano? Dall'Iran, attraverso le rotte dei beduini. E i funzionari, e le frontiere? I soldi comprano tutto.
A proposito di frontiere, e di ipocrisia delle guerre: in questo conflitto senza profughi, poco rilievo al fatto che l'Egitto non ha aperto la sua frontiera alla popolazione di Rafah. A proposito di ipocrisia delle guerre: nessuno ha raccontato che due terzi dei coloni che dovettero abbandonare i settlement della Striscia – sì, se ne andarono, torno a ricordarlo – non hanno ancora ricevuto una sistemazione abitativa, in Israele. Se ne andarono spesso distruggendo quel che si lasciavano alle spalle, perché non ne godesse più nessun altro. Mi è tornato in mente quando ho sentito di case, nella Striscia, abbandonate dagli abitanti in fuga, con il rubinetto del gas aperto, perché i soldati di Tsahal esplodessero, entrandovi. Ma credo fossero i miliziani di Hamas ad averlo fatto, perché gli abitanti se ne vanno sperando di tornare, diversamente dai coloni. La domenica è stata animata, a Sderot, dall'arrivo di uno strano cronista.
Vi ricordate Joe the Plumber, l'idraulico che animò per un po' le presidenziali americane? E' arrivato qui, da inviato di un network dell'Ohio. Non si è smentito: ha visitato i luoghi colpiti da Qassam, ha assistito a qualche allarme (io ci sono abituato, quello cui non riesco ad abituarmi, nonostante pensi continuamente a Gaza, è che gli alunni di Sderot, diversamente da quelli di Ashkelon ed altri, sono recordman della corsa nei rifugi: loro hanno fatto l'abitudine, sono bravissimi) e ha rimproverato la stampa internazionale di non capire nulla, di fare propaganda, di castigare il diritto all'autodifesa. In Israele c'è un bel dibattito, le Israel Defence Forces sono al terzo posto su You Tube, nel mondo, per clic sui loro filmati, Amira Hass racconta le sofferenze dei palestinesi, la designazione di un corrispondente di guerra di Al Jazeera come “eroe” personale di Gideon Levy ha suscitato reazioni. Da quel che riesco a vedere io, al Jazeera si trova la propaganda servita sul vassoio d'argento, e più in là non sa e non vuole andare. Ma può darsi che invece abbia dato notizia, e a me sia sfuggito, dei volantini distribuiti a Ramallah in cui si denuncia l'esecuzione sommaria di membri di al Fatah nella Striscia in questi giorni, come della richiesta di un dirigente palestinese di processare Hamas per “crimini di guerra”.
Credo che i riservisti andranno a presidiare quella linea che dal confine porta a Netzarim, ex settlement, e al mare, che taglia la Striscia in due e impedisce il rifornimento degli arsenali. Impiegarli significa che ci sarà anche una quarta settimana. Perché sono professioni, posti di lavoro che restano vuoti, e il loro impiego significa che il paese, pure in misura minima, è entrato in guerra. Avrebbero potuto finire il lavoro con la grossolanità dell'aviazione, degli elicotteri, dei tank. Avrebbero potuto fare il lavoro sporco come fecero i libanesi attorno al campo profughi palestinese, o i siriani per reprimere un complotto sannita fondamentalista in una loro provincia. Se ci mettono i riservisti è per tentare di fare le cose con minuzia, senza fretta. Con la consapevolezza di un paese democratico: lo sanno tutti che i riservisti sono i primi a denunciare qualcosa che non va, a raccontare ai reporter, a fare foto e filmini. Molte cose non sono andate, finora. D'ora in poi sapremo meglio, se, quali e come. Quando, nel piazzale della stazione di servizio, hanno salutato le famiglie sono stati saluti sobri, senza lacrime. Ma la cura che le donne mettevano nel confezionare quel che era avanzato, del pasticcio o del dolce, perché venisse portato al fronte, diceva tutto.
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