Il grande silenzio laico/3

E' come in una coppia: chi non reagisce e sta zitto alla fine è quello che perde sempre

Claudio Cerasa

C'è ancora chi crede che quelle lunghe preghiere sotto la Madonnina del Duomo, di fronte al sagrato di San Petronio e ai piedi della stazione di Milano siano state un semplice atto dimostrativo, un modo come un altro per far capire che i luoghi di liturgia sono prima di tutto luoghi dove tutti possono esprimere il proprio culto.

    C'è ancora chi crede che quelle lunghe preghiere sotto la Madonnina del Duomo, di fronte al sagrato di San Petronio e ai piedi della stazione di Milano siano state un semplice atto dimostrativo, un modo come un altro per far capire che i luoghi di liturgia sono prima di tutto luoghi dove tutti possono esprimere il proprio culto, e che sarebbe così un grave errore confondere la parola manifestazione con la parola provocazione. Il fatto è che oggi il discorso è un altro, e qui non si tratta di considerare la chiesa come il pilastro dell'occidente: si tratta di una cosa più semplice. Si tratta di osservare dall'esterno un rapporto, una forma particolarissima di condivisione dello spazio, tra due culture e due religioni diverse e accorgersi all'improvviso che in quella condivisione la coppia sta cominciando a prendere una forma sospetta: che si sta trasformando in una di quelle coppie dove c'è una metà più comprensiva – una metà che capisce tutto, che sorride sempre, che non si arrabbia mai, che offre l'altra guancia e che a volte, pur di non rompere, pur di non alzare le mani, pur di non provocare, sopporta il carattere tosto dell'altra persona solo per non creare ulteriori problemi – e un'altra metà a cui invece è concesso di fare più o meno tutto, e che considera intollerante chi non le permette di fare le stesse cose che lei non ammette.

    Tutto questo, visto con gli occhi di chi non ha grande affinità con quello che vuol dire la parola religione, significa che dalle nostre parti in questo momento è come se ci fossero luoghi meno sacri rispetto ad altri – luoghi dove tutto è permesso e luoghi dove è permesso un po' meno – è come se ci fossero dunque alcuni simboli – simboli culturali, religiosi e persino politici – che hanno una negoziabilità sempre minore rispetto a quelli dei vicini. Come in ogni rapporto tra due persone, come in ogni condivisione di uno spazio, il silenzio in questo senso è un voler negare un problema, il voler negare l'esistenza di un aggressivo elemento di novità. Perché non è un gesto di maturità l'ascoltare sempre, il capire sempre, il non dire nulla per non peggiorare le cose. E' un atto di debolezza.

    Perché quando c'è chi può fare una cosa e chi no, chi può pregare di fronte a un luogo sacro e chi no, chi deve sempre capire, chi deve sempre “accogliere” e chi dall'altra parte deve essere sempre e costantemente capito, allora significa che il rapporto è viziato, e il rischio è che per accettare l'altro uno dei due alla fine sia disponibile a trasformare se stesso, e ritrovarsi così nella condizione di confondere le uniche parole che mettono a rischio la stabilità pacifica di una coppia: la parola comprensione e la parola sopportazione. Perché in fondo non bisogna essere né leghisti né intolleranti né estremisti per capire cosa sarebbe successo se la condivisione dello spazio a Milano fosse avvenuta nel modo opposto: e se invece che una preghiera islamica di fronte a una chiesa fosse stata organizzata una preghiera cristiana di fronte all'ingresso di una moschea.

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    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.