Mutande rosse & scudo crociato

Il mistero della popolarità di Casini, il solo dc che sta bene all'opposizione

Stefano Di Michele

Un gran bel democristiano e soprattutto da qualche ora un gran bel mistero e basta, Pier Ferdinando Casini. Il fatto di aggirarsi, esteticamente parlando, dalle parti di George Clooney, mentre la concorrenza veltronian-berlusconiana arranca tra i Blues Brothers e Danny De Vito, avrà pure il suo peso.

    Un gran bel democristiano (a detta di tutti, e una volta pure a detta del Cav., “è il più bello tra i politici europei”, nientemeno) e soprattutto da qualche ora un gran bel mistero e basta, Pier Ferdinando Casini. Il fatto di aggirarsi, esteticamente parlando, dalle parti di George Clooney, mentre la concorrenza veltronian-berlusconiana arranca tra i Blues Brothers e Danny De Vito, avrà pure il suo peso – che chissà se gliene può importare qualcosa, all'italica massaia, del pensiero di don Sturzo – ma mica può spiegare tutto. Ora, siccome l'idea centrista non è, a memoria d'uomo, tra le più appassionanti, né un leader di partito come Cesa tra i più carismatici, né la presenza sul globo terracqueo dell'Udc un pensiero costante – per dire: è risultato di troppo persino a Pionati – benissimo ha fatto ieri la Stampa a titolare “Sondaggio choc” quello che assegna proprio a Casini il 46,7 per cento del gradimento, appena dietro Berlusconi ma davanti a Veltroni.

    Ecco, come può accadere una cosa del genere – e s'intende che non sono in discussione le capacità politiche del diretto interessato – quando uno è fuori dalla grazia del premier (che proprio mentre quelli dell'Ipsos facevano i conti temerariamente avvertiva Fini: “Così Gianfranco farà la fine di Casini”, adesso praticamente un augurio) e non del tutto nelle grazie del capo dell'opposizione, è il cuore del mistero casiniano. Randagio rispetto ai due massimi schieramenti, un democristiano da opposizione quando strutturalmente i democristiani (quelli di conio forlaniano in particolare) per l'opposizione non sono tarati, uno che aveva un inno del partito che quando glielo intonavano (“sciogli la vela, la rotta c'è già/ è stata tracciata duemila anni fa”) invocava dall'interlocutore “un po' di misericordia divina”; canto che adesso è stato sostituito da un elaborato di Luca Sardella che scandisce “stringiamo le nostre mani e giù dal cielo uno gran pioggia di serenità/ pace e libertà e il nostro sogno diventa realtà”: onestamente, tutto concorreva a rendere difficile la resistenza. Ieri, al partito, si leccavano i baffi soddisfatti: “Lo tsunami è passato”. Le divisioni nella maggioranza, le vicende di Di Pietro, lo sconquasso nel Pd. E così, mentre la tempesta infuriava, Casini se la godeva dalle spiagge di Miami, e ieri sorridente e abbronzato se ne andava vagando tra buvette e Transatlantico, “ha rifatto pace pure con Fini, dopo quello che Fini gli ha fatto”. I suoi notano la felice coloritura e il felice esito del sondaggio, e ne traggono fenomenali conclusioni: “Pier è un po' come Highlander, l'ultimo immortale”.

    Certo, il disappunto di Walter nel vederselo davanti non deve essere stato minore di quello di Silvio nel vederselo alle spalle. Da quella volta in cui, ammonitore, gli fece trovare un cactus sulla poltrona – e non produssero apprezzabili effetti né il cactaceo nel complesso né le sue spine in particolare – Pier si è rivelato insolitamente coriaceo. Sarà l'abbondanza della fioritura democristiana del periodo – dai novant'anni di Andreotti alle esondazioni di Rotondi – sarà che l'uomo è assistito, oltre che dal fiuto politico, forse da una certa fortuna derivante dalla mutanda rossa. Questa storia dell'inquietante tendenza marxista nell'underwear (come direbbero i più avvertiti stilisti mutandari) del bel democristiano, che potrebbe accrescere i sospetti berlusconiani – pur celato, sempre di rosso si tratta – merita di essere rievocata. Il buon cuore di Anna La Rosa gli fece dono una volta di un paio di vistosi boxer. “Li ho anche portati. Erano rossi, il mio colore preferito”, confessò Pier. Anzi: “Anche oggi sono andato a comperare un paio di mutande rosse. E dei calzettini”.

    E qui magari si capisce qualcosa della lunga durata, chiamiamola così, dell'epopea casiniana. Se la gente mette le mutande rosse a Capodanno, e con quell'auspicio tira avanti tutto l'anno, Pier se ne serve comunemente – e si capisce come un povero cactus berlusconiano possa essersi trovato in difficoltà nel suo operare di fronte a tanta satanica visione. Casini parla con tutti, tutti saluta, quasi di nessuno parla male, con chi litiga fa pace, a Veltroni piacerebbe, a Rutelli già piace, al Cav. spiace e magari un giorno ripiace. Incontra ambasciatori, saluta presidenti, prende onorificenze per il mondo, dalla Malaysia al Vaticano. Capo di poco, è finito esattamente tra quelli che hanno molto. In sfortunate circostanze fotografiche e marinare, una volta il Cav. ne lodò il didietro. Un fattivo apprezzamento: mai avrebbe immaginato fosse una tale azzeccata metafora.