Il grande silenzio laico/2
Per capire cosa è successo a Milano pensate a Sharon sulla Spianata delle moschee
Per cercare di capire il senso delle manifestazioni islamiche che a sostegno di Hamas si sono concluse con raduni di preghiera davanti al Duomo di Milano e alla basilica di San Petronio a Bologna può essere utile considerare il senso che gli islamici attribuiscono alla inviolabilità dei luoghi sacri.
Per cercare di capire il senso delle manifestazioni islamiche che a sostegno di Hamas si sono concluse con raduni di preghiera davanti al Duomo di Milano e alla basilica di San Petronio a Bologna può essere utile considerare il senso che gli islamici attribuiscono alla inviolabilità dei luoghi sacri. Quando Ariel Sharon, allora candidato del Likud alla guida del governo israeliano, si inoltrò sulla Spianata delle moschee per una “passeggiata” che intendeva ribadire che anche quell'area faceva parte della capitale israeliana, l'emozione e la collera dei credenti fu sfruttata dalla leadership palestinese per dare il via alla seconda intifada.
La decisione di “occupare” simbolicamente le piazze prospicenti a due delle più celebri cattedrali italiane, letta sotto questo profilo, ha indubbiamente il senso di una sfida e di una provocazione. Il diritto degli islamici di esercitare il loro diritto e la loro libertà di culto, che nessuno mette in discussione e che è stato perfino sostenuto dalla cattedra ambrosiana con toni che ad alcuni sono parsi eccessivi, non c'entra proprio niente. Non c'entra nemmeno il diritto delle religioni a partecipare al discorso pubblico, rifiutando di farsi rinchiudere in un recinto puramente coscienziale. La chiesa italiana, che rivendica questo diritto costituzionale, non si è mai sognata di indire sessioni di preghiera davanti alle sedi consacrate ad altre religioni, almeno negli ultimi decenni. Anche quando, molti anni fa, una conferenza eucaristica cattolica fu convocata proprio a Luserna San Giovanni, località a maggioranza valdese, la sede della manifestazione fu collocata a debita distanza dalle sedi del culto evangelico.
Non è l'espressione pubblica della fede islamica a preoccupare, ma l'esatto contrario, la strumentalizzazione della fede al servizio di una causa politica, e per giunta di una politica di odio, con l'aggravante della provocazione nei confronti delle sedi e quindi dei simboli di un'altra religione. L'assoluta mancanza di reciprocità, sulla quale si tende a sorvolare, non è un elemento secondario, è al contrario l'espressione moderna di un'idea di espansione dell'islam affidata alla forza e non alla persuasione, un elemento della tradizione al quale si aggrappano gli estremisti per predicare la guerra santa contro Israele e contro l'occidente.
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