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Ora è Marini a guidare i frondisti del Pd. Veltroni sotto assedio

Francesco Cundari

“Noi abbiamo consumato più leader che canottiere, mentre dall'altra parte c'è sempre lo stesso”, dice un amareggiato Walter Veltroni, riferendosi ovviamente a Silvio Berlusconi, dinanzi a un circolo romano del suo partito, nel quartiere Ponte Milvio.

    “Noi abbiamo consumato più leader che canottiere, mentre dall'altra parte c'è sempre lo stesso”, dice un amareggiato Walter Veltroni, riferendosi ovviamente a Silvio Berlusconi, dinanzi a un circolo romano del suo partito, nel quartiere Ponte Milvio. “C'è sempre la costante tentazione di alimentare un circuito di dissensi in cui ci si chiede: mi si nota di più se faccio un'intervista?”, si lamenta il segretario. Difficile non cogliere in queste parole un riferimento all'intervista rilasciata proprio ieri da Enrico Letta a Repubblica. Titolo: “Soffriamo di un male oscuro, solo con l'Udc si torna a vincere”. Ma il testo dev'essere risultato anche più urticante per il segretario del Partito democratico, a cominciare dal giudizio sulla formula della “vocazione maggioritaria” – vera e propria bandiera della leadership veltroniana – che secondo Letta va “radicalmente rivista”, perché “nessuno può pensare che un partito del 33 per cento ce la fa da solo”. Le parole più dirette (e pesanti) al segretario arrivano però da un'altra intervista, quella che ieri sera Franco Marini ha rilasciato a Red tv (la televisione che fa capo alla fondazione dalemiana ItalianiEuropei).

    “E' un pezzo che Veltroni dice che bisogna unire tutte le forze del Pd, coinvolgere tutti – dichiara Marini – e io ritengo saggia questa preoccupazione. Adesso però comincio a chiedermi: ma se è giusta, chi la deve prendere questa iniziativa? Se Veltroni mi dà il mandato lo faccio io, se no la prenda lui. Ma lo faccia, si muova…”. Il pericolo, secondo l'ex presidente del Senato, non sta nei “giri di valzer” di Francesco Rutelli o dello stesso Letta con l'Udc. “Semmai – scandisce – il rischio c'è in periferia, lì il problema è serio”. E che alla periferia del Pd il problema sia serio, effettivamente, a questo punto è difficile negarlo.
    L'ultimo episodio ha per protagonista Leonardo Domenici, che alle insistenze della sua sezione ha replicato seccamente di non avere ancora deciso se prendere o no la tessera del partito. E si tratta del sindaco di Firenze. In altri tempi – e in altri partiti – un caso simile sarebbe stato inimmaginabile. Ma nel Pd la soglia dell'inimmaginabile sembra essersi notevolmente abbassata. “Vengo da una realtà, quella di Piombino, in cui si dice che prima di non prendere la tessera ci si fa tagliare una mano”, dichiara sdegnato Andrea Manciulli, segretario del Pd toscano.

    Il problema del Pd non sono certo le tessere – osserva Sergio Chiamparino – e poi il gesto di Domenici mi pare spiegabile soprattutto con le vicende fiorentine”. Il sindaco di Torino cerca così di ridimensionare la vicenda, ma che il problema vada ben oltre Firenze è fuor di dubbio. Lo stesso Chiamparino lo dice senza giri di parole: “Il rischio è che dopo le elezioni possa esserci un inesorabile richiamo dell'antico”. Dove “antico” sta ovviamente per “Ds e Margherita”, i vecchi partiti per cui qualcuno comincia a provare una certa nostalgia. E' il tema che proprio Veltroni ha posto al centro della discussione: il pericolo che le attuali difficoltà non portino semplicemente a un indebolimento della sua leadership o alla caduta dell'attuale gruppo dirigente, ma alla fine del partito. “Io credo che siamo ancora in tempo per evitare che la barca finisca sugli scogli, ma certo il rischio è reale”, ammette Chiamparino.

    “Io sento dentro di me che il Pd non sarà il partito del nostro futuro, ma non credo nemmeno nel ritorno ai Ds, né a un altro partito socialista”, confida un autorevole militante toscano, Sergio Staino, padre di Bobo. Quello che pensa, Staino l'ha già fatto dire a lui, in una vignetta uscita qualche giorno fa sull'Unità, con la figlia Ilaria che corre allarmata da Bobo perché “il Pd sta crollando”, e il padre che replica serafico: “Non siamo mai stati così in sintonia con il mondo”. Staino però la tessera del Pd l'ha presa. “Negli stessi giorni mi sono iscritto anche all'Uaar (l'Unione atei e agnostici razionalisti, ndr) , perché ho pensato: così sfogo lì il mio orgoglio ateo, materialista e marxista, e poi in sezione evito di prendermela con i sostenitori della Binetti. Come atto di buona volontà, diciamo. Ma non mi pare che loro abbiano fatto altrettanto”. E così, anche chi come Staino la tessera l'ha presa, sia pure “con molti dubbi”, non sembra oggi troppo ottimista sul futuro del Pd. E non solo lui. Sul suo blog, una militante di una sezione romana, pochi giorni fa, stendeva per esempio questo sconfortato resoconto dell'incontro con Dario Franceschini: “Sulle cosiddette e necessarie conclusioni, Franceschini s'è proprio perso. Ahimè”.

    “Ha iniziato col dire che se ci deprimevamo a otto mesi da una sconfitta, figurati che avremmo fatto dopo i 52 mesi che mancano alla fine della legislatura. Ragionamento corretto da parte di un dirigente: peccato che nessuno di noi fosse depresso. Semmai preoccupati…”. Ma quello che più indigna la militante democratica – e anche i suoi lettori, che si sfogano nei commenti – è un'altra affermazione di Franceschini. Affermazione, spiega, che “mi è suonata alle orecchie assai grave (e credo non solo alle mie. E, anzi, credo pure alle sue perché dopo averlo detto aveva tutta l'aria di essere molto pentito di averlo fatto): ebbene, Franceschini, vicesegretario del Pd, non è ancora iscritto al Pd”. Conclusione: “Con l'auspicio che almeno Veltroni lo sia (iscritto al Pd), vi auguro buona notte”. Naturalmente il caso di Franceschini è ben diverso da quello di Domenici. Ma a giudicare dai commenti che compaiono sul blog, ai militanti non pare meno significativo. “C'ero anch'io – scrive ad esempio Silvia – non è iscritto ma dice alla base di fare le tessere. Fassino mai l'avrebbe fatta, 'sta cosa. Mai”.

    Ma verso il vicesegretario Dario Franceschini e il responsabile dell'organizzazione Beppe Fioroni, entrambi popolari, sembrano appuntarsi anche le critiche di Marini. “D'accordo nel rinnovare, ci mancherebbe, un'organizzazione in cui non c'è ricambio è malata – dichiara – ma dinanzi alle prevedibili difficoltà di un partito che mette insieme storie diverse, culture diverse, strutture diverse, io credo che l'attenzione agli aspetti organizzativi avrebbe dovuto essere la proccupazione principale, mettendo le persone più capaci a occuparsi di questo…”. Parole difficilmente equivocabili.
    Alla riunione nel circolo romano di Ponte Milvio – che ha sede nei locali della sezione del Pci che fu di Enrico Berlinguer – la segretaria Angiola Oddi incalza Veltroni e denuncia un calo delle adesioni. “Manca un rapporto tra il vertice e la base, a volte riusciamo a comunicare con i dirigenti solo attraverso i mass media”, accusa. “Il rinnovamento non va confuso con la questione morale, deve essere politico”, dice Francesco Scoppola, figlio di Pietro, lo storico recentemente scomparso, che fu tra gli estensori del manifesto del Pd. “Ho paura che stiamo girando a vuoto e che così il Pd ci metterà dieci anni a decollare”, dice.