C'era una volta il blocco dello scrittore

Ecco come vincere la sindrome da aggiornamento status su Facebook

Mariarosa Mancuso

C'era una volta il blocco dello scrittore, e ora non c'è più. Lo annuncia uno scherzoso articolo sul sito dell'Atlantic Monthly (ora solo “The Atlantic”), che promette cure infallibili contro le nuove malattie da schermo: alcolismo da blog, twitterite, sindrome da lettore-recensore su Amazon, sindrome da aggiornamento status su Facebook.

    C'era una volta il blocco dello scrittore. Il terrore della pagina bianca assaliva dilettanti e professionisti. Gli Oblomov che con la penna in mano non riuscivano a districarsi tra le subordinate, i Fantozzi che dopo aver vergato la frase “e nonostante che noi fottimo già da molto tempo dell'avviso…” strappavano il foglio e piangevano in silenzio, gli Henry Roth che scrivevano “Chiamalo sonno” a ventotto anni e poi tacevano per più di mezzo secolo. Qualcuno si curava con gli anticipi, qualcuno tirava fuori dal cassetto manoscritti prima scartati, qualcuno sognava di passare direttamente al terzo libro senza dover passare per il secondo, qualcuno frequentava corsi appositi, o indossava alla scrivania la stessa vecchia vestaglia scaramantica. Tutti con la speranza che lo stramaledetto crampo passasse, e le parole ricominciassero a disporsi sulla pagina, onde sottoporre all'editore un manoscritto decente. (Gli sconfitti riempivano paginate con una sola frase: “Il mattino ha l'oro in bocca”, poi inseguivano i congiunti all'Overlook Hotel).

    C'era una volta il blocco dello scrittore, e ora non c'è più. Lo annuncia uno scherzoso articolo sul sito dell'Atlantic Monthly (ora solo “The Atlantic”), che promette cure infallibili contro le nuove malattie da schermo: alcolismo da blog, twitterite, sindrome da lettore-recensore su Amazon, sindrome da aggiornamento status su Facebook. Tutti malanni che  potrebbero guarire con un po' di autodisciplina. Se non viene spontanea, può funzionare un bel seminario di tre giorni. Da qui il titolo, “Reblock Yourself the Polly Frost Way!”, dove Polly Frost è il nome di una giornalista, scrittrice satirica, appassionata di nuovi media e di horror erotici.
    I seminari di riferimento sono quelli che insegnavano a “liberare lo scrittore che è in te”, nelle più varie declinazioni: romanziere, memorialista, donna e varie minoranze. I poeti no: nessun poeta, da che l'aggettivo poetico esiste, ha mai sofferto di blocchi. C'è un bel marchio registrato: The Polly Frost Reblocking Seminar™. Proprio come nel romanzo di Will Ferguson intitolato “Felicità®”, dove si immagina che un editore, nella schifosa montagna di manoscritti impubblicabili, riesca a scovare un manuale per essere felici che funziona davvero.

    Risultato: il mondo come noi lo conosciamo si ferma, tutte le cose interessanti spariscono, la gente va in giro con l'aria ebete, le treccine sulla fronte, ampi caftani, e quando proprio vuole far qualcosa improvvisa balletti all'angolo delle strade. Quando scrivere era un lavoro faticoso, ragiona Polly Frost, bisognava liberare le energie, massaggiare i muscoli della creatività, incoraggiare i timidi e confortare gli indecisi. Ora che tutti hanno un blog, e apparentemente nessuna difficoltà a ticchettare sulla tastiera quel che passa per la testa, e a postare immediatamente il risultato, urge un seminario – parole sue – “For shutting you up”. Un bel ritiro per ritrovare “il critico che si nasconde in ognuno di noi” (nascosto dal bambino che è in noi, sicuro, ma se uno lo cerca bene poi lo trova).

    Immaginando di fare leggere i propri testi al più scoraggiante tra i nostri amici e conoscenti: quello che borbotta in ogni occasione “ma chi ti credi di essere, non sei divertente”, quello che trova sempre un buon motivo per non dare un'occhiata al tuo raccontino o poesia. Riscoprendo i piaceri della frase “grammaticalmente compiuta”: una tecnica, vanta la maestra, che riduce la produzione di testi fino al 68 per cento. Via anche gli pseudonimi, onde controllare se la stroncatura o la lode rimangono tali, con il proprio nome in calce. In sintesi: scrivere nel chiuso della cameretta e rileggersi prima di postare con la porta spalancata: come già suggeriva Stephen King, che di blocchi non ha mai sofferto (tranne quando ha smesso con le droghe). Prima che i blogger insorgano, fa da scudo spaziale un articolo di Sullivan linkato nella stessa pagina: l'emozione che dà il blog è definita, senza mezzi termini, “intoxicating”.