I talebani incendiano le scuole, ma non fermano la studentessa Shamsia

Giulio Meotti

Ieri i guerriglieri talebani hanno fatto saltare in aria quattro scuole deserte nella valle di Swat, nel Pakistan nord-occidentale. Gli “studenti di Allah” avevano fissato un ultimatum, avvertendo di ritirare dalle lezioni tutte le bambine, in caso contrario sarebbero state uccise.

    Ieri i guerriglieri talebani hanno fatto saltare in aria quattro scuole deserte nella valle di Swat, nel Pakistan nord-occidentale. Gli “studenti di Allah” avevano fissato un ultimatum, avvertendo di ritirare dalle lezioni tutte le bambine, in caso contrario sarebbero state uccise. Gli istituti hanno deciso di piegarsi alla fatwa dei talebani contro l'educazione femminile. L'editto era stato proclamato sulle frequenze di una radio locale. “Avete tempo fino al 15 gennaio per smettere di mandare le vostre figlie a scuola, in caso contrario le ammazzeremo tutte”, aveva detto il comandante talebano Shah Durran. 

    Questo accade in Pakistan. Ma i talebani sono impegnati per bandire l'istruzione femminile soprattutto in Afghanistan, dove le scuole sono da anni al centro della guerra. Si bruciano le scuole dove studiano le ragazze, ammazzando sotto gli occhi degli studenti gli insegnanti che impartiscono lezioni alle donne. Il ministero dell'Educazione di Kabul ha appena diramato i dati ufficiali per il 2008: 651 scuole chiuse con la forza, 141 insegnanti ammazzati e 173 mila studenti rimasti senza un istituto. Al posto delle scuole “occidentali” finanziate da Washington, i talebani annunciano di voler costruire delle madrasse islamiche. Il portavoce dei guerriglieri musulmani, Abdul Hai Mutmaen, ha detto che queste scuole saranno “in linea con l'insegnamento del jihad”. E' in corso la più grande campagna di liquidazione delle scuole dall'abbattimento del regime shariaco talebano nel 2002. Al cospetto di queste cifre e massacri, sbiadiscono le notizie positive. Che comunque vedono una frequenza record di 6,5 milioni di studenti. Il 35 per cento sono bambine, alle quali il regime talebano ha impedito l'accesso all'istruzione fino alla sua caduta. 

    Il Fondo per i bambini delle Nazioni Unite ha chiesto intanto ai donatori altri 15 milioni di dollari per queste scuole, ma occorrono almeno tre miliardi per i prossimi cinque anni. Il 60 per cento delle scuole non ha nemmeno un edificio: le lezioni sono tenute in moschee, tende o sotto gli alberi. Due giorni fa, prima di lasciare la Casa Bianca, George W. Bush ha definito l'Afghanistan “una giovane democrazia che combatte il terrorismo e incoraggia le ragazze ad andare a scuola”.

    Le studentesse sono il pegno di ciò per cui si combatte in Afghanistan. Un insegnante, Abdul Hadi, aveva condannato gli attentati suicidi e definito i kamikaze “contrari allo spirito dell'islam”. E' stato assassinato a Kunduz. A un altro insegnante, Bismillah Khan, i talebani hanno tagliato le orecchie in moschea davanti a tutti. “Questa è la punizione per chi lavora con il governo”. A Paktia un insegnante è stato giustiziato perché insegnava la lingua degli “infedeli”, l'inglese. Un altro, Malim Abdul Habib, è stato decapitato in classe davanti agli studenti. I maestri di scuola hanno paura. Un editto del mullah Omar recita: “Non è consentito lavorare per il regime fantoccio come insegnanti”. La norma successiva spiega come va trattato il reietto se persiste: “Se ancora si rifiuta deve essere ucciso. E le scuole dovrebbero essere bruciate, ma non prima di aver salvato i testi religiosi”.
    Intanto Shamsia Husseini è tornata alla Scuola Mirwais di Kandahar. E' la ragazza sfregiata con l'acido dai talebani un mese fa. Oggi spiega: “I genitori mi hanno detto di tornare a scuola anche se mi vogliono uccidere”. Sua madre è analfabeta, per questo vuole che Shamsia riesca a istruirsi. La loro persistenza, il loro coraggio, è ancora più ammirevole perché vivono a Kandahar, città santa del talebanesimo. Nelle vie e in molte moschee sono apparsi manifesti con frasi come: “Non mandare le tue figlie a scuola”. Tutti ricordano il caso di un insegnante di nome Mohammed Halim, che venne rapito nel cuore della notte a Ghazni. Il suo corpo venne smembrato, gambe e braccia appese a una motocicletta e il resto del corpo esposto come monito per gli altri.

    • Giulio Meotti
    • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.