Il caso Bresso
Fede e Regione
“Non chiamatemi governatore”, aveva detto Mercedes Bresso, oggi presidente della regione Piemonte, nel giorno della sua vittoria contro l'azzurro Enzo Ghigo, nel 2005, in una serata di festeggiamenti pacati in cima alla collina di Superga, mentre affettava salame per i giornalisti convenuti e riceveva al telefono i complimenti attesi di Piero Fassino.
“Non chiamatemi governatore”, aveva detto Mercedes Bresso, oggi presidente della regione Piemonte, nel giorno della sua vittoria contro l'azzurro Enzo Ghigo, nel 2005, in una serata di festeggiamenti pacati in cima alla collina di Superga, mentre affettava salame per i giornalisti convenuti e riceveva al telefono i complimenti attesi di Piero Fassino (colui che l'aveva messa in corsa, assieme al sindaco di Torino, Sergio Chiamparino) e quelli meno attesi del collega di partito Pietro Marcenaro (colui che Fassino e Chiamparino avevano fermato in corsa, per far spazio all'allora eurodeputata Bresso). “Non chiamatemi governatore, ma presidente”, aggiungeva Mercedes quella sera, lasciando intendere di preferire un appellativo più sfumato.
E chissà ieri come le è suonato quel soprannome per nulla sfumato, “dottoressa morte”, coniato dagli avversari del Pdl in regione dopo la sua presa di posizione per nulla sfumata, anzi chiarissima, sul caso Englaro: “Se qualcuno ce lo chiedesse, non ci sarebbero problemi ad accogliere Eluana Englaro in una struttura pubblica… ritengo che questa tragica storia sia diventata ormai una questione non più sopportabile in un paese civile. Sono stati calpestati i diritti di un padre”.
E chissà se mentre il cardinal Poletto diceva “è eutanasia” – e alcuni colleghi cattolici nel Pd si dissociavano (apertamente e non) e Sergio Chiamparino si associava – Mercedes Bresso ripensava allo strano destino del suo nome, nome di Madonna – della Mercede, a cui era dedicata la parrocchia della natia Sanremo dove sua madre andava a pregare in tempi di guerra, nelle estati roventi “di bombe e di cannoni”, come ha scritto Mercedes sul suo sito. Nome di Madonna su donna atea, ex radicale, che, come disse un giorno il presidente della regione Piemonte, se proprio avesse dovuto convertirsi avrebbe preferito farsi valdese che cattolica.
Fatto sta che Mercedes Bresso, molto prima di quel suo “se ce lo chiedono” riferito a Eluana Englaro, aveva già mostrato un certo slancio risolutore (costi quel che costi questa cosa si fa) e un insopprimibile impulso d'affermazione nel dire: faccio io – e anzi non le era mai dispiaciuto d'esser chiamata “zarina” per via del suo piglio decisionista. Zarina sul federalismo fiscale: prima con Formigoni e Bossi in nome del Nord che crea lavoro, tanto che Bossi l'aveva addirittura baciata di riconoscenza, poi né con Bossi né con il resto del Pd, tanto che ieri mattina spiccava sui giornali il suo “no” preventivo a un testo federalista definito “di centralismo mascherato” (ed era un triplo salto mortale, ché, nel frattempo, Walter Veltroni trattava). Zarina perché “una donna per affermarsi deve essere autorevole, e se questo viene scambiato per autoritarismo pazienza”, così diceva Mercedes Bresso nel presentare le sue nuove iniziative telematiche: un sito tutto rosso, il blog della regione, l'account su Facebook.
“Ho già imparato la lezione di Obama”, diceva in tempi in cui Obama era ancora lontano dal giuramento presidenziale, descrivendosi sul Web come amante della scrittura e giallista dilettante – e il libro l'ha scritto davvero, Mercedes, sarà ambientato tra tartufi e funghi, una storia misteriosa con due misteriosi investigatori, una poliziotta e un professore di Storia del paesaggio. E agli amici del Web è apparso chiaro che nel giallo c'era qualcosa di autobiografico: il presidente era la poliziotta e suo marito geografo il professore. Perché di paesaggi se ne intende davvero, il marito residente in Svizzera, Claude Raffestin, l'uomo con cui Mercedes parla solo francese anche se ora lui sa l'italiano, forse per omaggio al ramo nizzardo della famiglia, forse perché così fan tutte le persone che si sentono “europee” prima di tutto – e d'altronde c'era già l'esempio di Lilli Gruber, ex eurodeputata con marito francofono. “Europea prima che piemontese”, come ama dire, montanara nata al mare per un gioco del caso e della guerra, Mercedes incontrò Claude a un convegno sulle “Alpi e l'Europa”, dopo la fine del primo matrimonio con un giornalista del Corriere della Sera, Cesare Medail, e fu amore iper montanaro e iper europeista.
“Mi è tanto dispiaciuto lasciare Bruxelles”, confessò Bresso alla stampa quando, dopo appena un anno dall'elezione al Parlamento europeo, è stata chiamata a correre alla regione Piemonte. Epperò poi ha detto: faccio io. Faccio io la Tav, e chisseneimporta se gli ambientalisti si ribellano. Le arrivarono sacchi della spazzatura davanti a casa e persino tre proiettili. Le arrivarono le accuse di tradimento, ché Bresso è un'ambientalista d'antan, professoressa universitaria di economia ambientale e militante di Legambiente in tempi in cui Legambiente ancora si chiamava, senza crasi, Lega per l'Ambiente.
E oggi Bresso annuncia entusiasta l'avvio del progetto “casa passiva”, abitazione ecologica che consuma e intanto produce energia pulita da rivendere, così ti rifai pure la rata del mutuo. E quando Sergio Chiamparino dice sulle droghe cose che negli anni Settanta non avrebbe mai detto – e i sindaci “sceriffi” di destra e di sinistra plaudono – Bresso rilascia dichiarazioni in favore delle sperimentazioni di stampo svizzero. E però poi si ritrovano concordi, Bresso e Chiamparino, sulle narcosale, e poi ancora sulle primarie regionali del partito (contro i vertici locali). “Faccio io”, dice Mercedes lasciando trasparire un'ambizione nazionale (senatrice, dicono i colleghi di partito), mentre commenta fatti extrapiemontesi: le banche, la crisi, gli israeliani e i palestinesi.
E forse è tutto un omaggio al primo “faccio io” della sua vita, detto a diciassette anni, quando si conquistò la sempiterna stima del suo idolo Claudio Villa, il reuccio di Trastevere passato a Torino in un pomeriggio di disperazione lavorativa – disco da registrare l'indomani e una canzone non finita per cui aveva già un titolo, “Furibondo twist”, e nessun ritornello. Ed era talmente oberato, Villa, da chiedere aiuto a due ragazzine del fan club (Mercedes e sua sorella): non è che volete provare a finirla voi, la mia canzone? “Faccio io”, disse Mercedes, e passò un pomeriggio a trovare strofe che potessero finire in un ritmatissimo “oh oh oh”, ed erano parole proto-femministe su una donna che la spuntava su un uomo pantofolaio.
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