E' urgente che il Vaticano sconfessi il vescovo negazionista
Non è cauto e non è saggio, da parte del Vaticano, che la abrogazione della scomunica dei vescovi lefebvriani della comunità di San Pio X presti il fianco a una nuova polemica con gli ebrei. La revoca di un atto canonico è, in sé, un fatto interno nella vita della chiesa, Ma gli effetti non canonici di un provvedimento canonico dovrebbero essere vagliati con attenzione.
Non è cauto e non è saggio, da parte del Vaticano, che la abrogazione della scomunica dei vescovi lefebvriani della comunità di San Pio X presti il fianco a una nuova polemica con gli ebrei. La revoca di un atto canonico emanato nel 1988, sotto Giovanni Paolo II, è ovviamente, in sé, un fatto interno nella vita della chiesa, e nessuno è autorizzato a mettere bocca, tanto più che il prudente padre Lombardi, il gesuita che guida la sala stampa vaticana, ha precisato puntigliosamente che questo gesto non ha altri significati che quelli intrinseci. Ma gli effetti non canonici di un provvedimento canonico dovrebbero essere vagliati con attenzione.
Il vescovo scismatico Richard Williamson, tra coloro che sono stati riaccolti nella comunione ecclesiastica romana, ha affermato: “Credo che non ci siano mai state le camere a gas”. E questo è un “credo” o un tipo di fede che nel dibatitto storico e civile moderno si chiama “negazionismo” ovvero la decisione ideologica, non sostenuta da prove storiche e anzi contraddetta da prove documentali e testimoniali schiaccianti, di cancellare lo sterminio degli ebrei d'Europa dalla nostra comune memoria. Un atto di violenza al ricordo di milioni di discendenti delle vittime dei lager, e di brutale disconoscimento di quella parte dell'identità ebraica e israeliana che si è costruita nella custodia di quel ricordo in tutto il mondo.
Qualche spiegazione agli ebrei è dovuta, se è vero che buttare di nuovo le braccia al collo a un vescovo che coltiva queste idee fideistiche sulla storia del Novecento può generare equivoci, incomprensioni, e perfino dolore in un contesto di dialogo profetico con gli ebrei che Roma ha avviato da decenni, partendo dal Concilio. Quello, naturalmente, è il punto dirimente della faccenda. E' stato importante per il Papa ristabilire una misura di libertà nella definizione del culto liturgico ammesso e concretamente praticabile in seno alla chiesa. Ne andava di un giudizio ormai consolidato su un certo conformismo della riforma liturgica conciliare, incapace di lasciare spazio, nella sua applicazione del dopo Concilio, a forme di culto antiche, tradizionali, guardate con affetto e reverenza da una parte dei fedeli.
E il nuovo spazio che si è preso il latino nella messa cattolica, compresa la preghiera del venerdì santo per la conversione dei giudei in una prospettiva escatologica, ha spinto la gerarchia a uno sforzo di spiegazione e giustificazione pieno di rispetto per gli ebrei e intrinsecamente coerente con la nuova via inaugurata e costruita passo passo dagli ultimi tre papi. Lo stesso sforzo è necessario adesso. Bisogna che in Vaticano qualcuno ai massimi livelli si prenda la briga di spiegare che la fede negazionista del vescovo (ex?) scismatico Williamson è un atto di arbitrio irrazionale, un riflesso mentale tipico di una tradizione antigiudaica che la chiesa petrina ha rigettato e rinnegato in toto. Tra i molti gesti di carità e di verità di cui è capace la chiesa, sia detto con umiltà e sincerità, questo è oggi uno dei più urgenti.
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