Anticipazione di una ricerca del Mulino che esce giovedì

I numeri dicono che gli aiuti di stato alla Fiat fanno male al Lingotto

Michele Arnese

L'assistenzialismo non produce benefici per il destinatario degli aiuti. Anzi, induce a un imbolsimento che è spesso anticamera di una crisi irreversibile. Questi i risultati di un'analisi di 249 pagine zeppe di dati e tabelle (“Governo e grandi imprese. La Fiat da azienda protetta a global player”) che uscirà per la collana il Mulino-Ricerca giovedì prossimo.

    L'assistenzialismo non produce benefici per il destinatario degli aiuti. Anzi, induce a un imbolsimento che è spesso anticamera di una crisi irreversibile. Si dirà: le solite tesi liberiste, nulla di nuovo (ma di apparentemente vecchio in tempi di neokeynesismo). Invece sono, semplicemente, i risultati di un'analisi di 249 pagine zeppe di dati e tabelle (“Governo e grandi imprese. La Fiat da azienda protetta a global player”) che uscirà per la collana il Mulino-Ricerca giovedì prossimo. Proprio il giorno dopo l'avvio del tavolo governativo per discutere di interventi al settore auto (e non di aiuti ad hoc al Lingotto, secondo l'impostazione attuale del governo).

    Nessun pregiudizio nella ricerca della casa editrice bolognese, anche perché l'analisi non partiva da alcun assunto, ma da un obiettivo: osservare come nei maggiori stati europei, nel corso degli ultimi trent'anni, sono cambiati i rapporti tra i “campioni nazionali” dell'auto e i poteri pubblici. Ovviamente il presupposto, scrive l'autore, Luca Germano dell'Università di Trieste e di Roma Tre, “è che gli Stati tendono a favorire i propri campioni nazionali in diversi modi”.

    Ma poi c'è stata la globalizzazione e i protezionismi sono stati messi alla prova. In tutti gli stati tranne che in Italia, dove la Fiat ha continuato a godere di un sostegno statale che non ha avuto paragoni. “Mentre in Germania e Regno Unito hanno prevalso logiche di mercato, Francia e Italia hanno mantenuto la tradizionale attitudine protettiva nei confronti delle loro imprese”. Con una differenza: in Francia con politiche industriali “le imprese automobilistiche sono state aiutate a collocarsi sul mercato globale”, in Italia “si è continuato a perseguire politiche di sovvenzione nel solco di una tradizione all'intervento erogatorio”. I numeri parlano chiaro: dal 1977 al 1987 Fiat e Alfa Romeo hanno incamerato un ammontare di aiuti statali (6,7 miliardi di ecu) largamente superiori a quelli incassati da Renault (4,4 miliardi), Volkswagen (1,5 miliardi), gruppo Psa (1,1 miliardi), General Motors (1,1 miliardi) e Ford (655 milioni). Una tendenza che è proseguita anche negli anni successivi, tra accordi di programma (come quello che favorì la costruzione dello stabilimento a Melfi), finanziamenti per ricerca, formazione e sviluppo (erogazioni dai mille rivoli) e ripetute casse integrazioni (di cui alla fine si è perso il conto, riconosce di fatto la ricerca, per la difficoltà di reperire e ricostruire dati precisi).

    Gli effetti di questo interventismo? La Fiat invece di essere stimolata a espandersi e internazionalizzarsi si è fossilizzata nel mercato italiano. “Il riflesso di ciò – scrive Germano citando dati di Roland Berger degli inizi degli anni Duemila – sta nella perdita di rilevanza italiana: mentre la Francia è stata capace di aumentare del 40 per cento i suoi volumi di produzione, la Germania ha accresciuto i suoi del 13 per cento, in Italia il volume di produzione è diminuito del 15 per cento (solo negli ultimi anni del decennio 2000 la situazione è mutata)”. Tra l'altro la Fiat ha scelto “una strategia di globalizzazione apparentemente meno rischiosa impegnando – a differenza dei suoi maggiori competitori, attivi sul quasi saturo mercato europeo, oltre che su quelli nordamericano e asiatico – risorse importantissime sui mercati latinoamericani. Le crisi brasiliana prima e argentina dopo hanno creato giganteschi problemi in una fase di crisi internazionale”. 

    Paradossalmente, ma non troppo, proprio quando – poco più di dieci anni fa, all'incirca alla metà degli anni Novanta – l'assistenzialismo statale pro Fiat si è attenuato, il Lingotto ha sì conosciuto l'accelerazione della crisi ma ha anche messo in atto una reazione tale che l'ha risollevata (joint venture in Cina e India, gamma diversificata su diversi segmenti, aumento degli utili, recupero di quote di mercato). Insomma, ci sono adesso i presupposti, in particolare dopo la cura impressa dall'amministratore delegato Sergio Marchionne, perché la casa torinese possa diventare un player globale, con alleanze e magari fusioni. Facendo a meno di aiuti ad hoc seppure beneficiando di incentivi per l'acquisto di auto “ecologiche”.