Storia e parabola di Angela, leghista di Lampedusa rigettata da Lampedusa
Scossa da un moto dell'animo più turbolento dei marosi che d'inverno agitano le acque della Guitgia – la spiaggia più bella di Lampedusa – la senatrice Angela Maraventano, ex vicesindaco dell'isola, ristoratrice e senatrice leghista, oggi capirà se è anche veggente
Scossa da un moto dell'animo più turbolento dei marosi che d'inverno agitano le acque della Guitgia – la spiaggia più bella di Lampedusa – la senatrice Angela Maraventano, ex vicesindaco dell'isola, ristoratrice e senatrice leghista, oggi capirà se è anche veggente. “Io che frequento le stanze del potere vi garantisco che tutto sarà risolto già martedì”, diceva infatti Angela ai suoi compaesani inferociti, domenica scorsa, e cercava di convincerli che non era poi così male l'apertura di un nuovo centro di identificazione ed espulsione per immigrati (voluto dal ministro dell'Interno Roberto Maroni). E pensava con apprensione a quella parola, martedì, e cioè al nuovo giorno di sciopero generale sull'isola che in tempi non remoti doveva gemellarsi con l'efficiente Bergamo. E sperava in un miracolo portato dalle onde: un insperato martedì di pace.
E mentre parlava sotto cori di “vattene, venduta”, Angela sperimentava la sensazione d'essere, all'improvviso, più clandestina dei clandestini che non aveva mai voluto vedere per strada, coperta d'insulti nella piazza del paese che un tempo aveva occhi soltanto per lei, la donna capace di “svenarsi in mare” come un Paron Toni ma anche di ridare speranza all'isola più a sud del sud con un'ardita alleanza a nord: Padania libera, Lampedusa libera. Non aveva paura di quell'ossimoro, Angela, moglie e madre arrabbiata che in principio lottò per avere scuole non fatiscenti, a costo di lasciare gli immigrati nei container all'aeroporto: “Non possiamo tollerare che siano ospitati in strutture più sane delle scuole dell'obbligo”, diceva, al netto d'ogni diplomazia.
Non aveva paura, Angela, e urlava le ragioni dell'isola nel bel mezzo delle valli bergamasche, e si permetteva di ricordare che lei non era razzista, anzi, e che, da sola con un prete, aveva seppellito i primi clandestini – sacchi neri sotto terra e immensa pietà. E intanto alzava la testa, fiera del fazzoletto verde al collo e della maglia attillata color menta, e raccontava al popolo del Carroccio la genesi di quell'innaturale passione per il partito nemico d'ogni realtà terrona: “Solo la Lega mi rispose quando scrissi lettere a tutti i politici dopo la morte di un lampedusano che non fece in tempo a raggiungere l'ospedale”. E quando l'elisoccorso toccò infine quelle terre, tutti, sull'isola, dissero che senza di lei non sarebbe mai arrivato.
Ma nulla più è come prima, ché, da quando è stata “revocata” dal sindaco Dino De Rubeis, uomo dell'Mpa, la senatrice ha perso non solo le deleghe comunali ma pure il consenso del popolo. E non importa se il casus belli (con De Rubeis) non fu la sorte degli immigrati bensì la quantità di soldi spesi da Claudio Baglioni per il festival della multiculturalissima fondazione O' Scia'. Maraventano incalzava il cantante: “Ci dica come ha speso i seicentomila euro stanziati da ministero, comune e regione, visto che gli artisti dicono di partecipare a titolo gratuito”. Rubeis controbatteva: “Baglioni è un bene prezioso. Se qualcuno non è d'accordo, quella è la porta”. E porta fu, e fu anche la fine del sogno sognato da Angela: “Strade, fiori, l'aereo per Roma e le estati piene di turisti”.
Né può, l'ex vicesindaco, consolarsi con l'accoglienza riservatale oggi dall'Emilia Romagna, terra adottiva in cui fu eletta – e molto si scandalizzò, l'aspirante senatrice, per quella Bologna di bivacchi e bevute e spacciatori, così disse, conquistandosi la sempiterna stima dell'entourage leghista (e anche di quello cofferatiano). E molto si rallegrò nel prendere la tessera della Lega a miglia e miglia a nord della sua terra, ché in fondo furono due fidanzatini di Reggio Emilia, Athos e Wanda, a scoprire turisticamente Lampedusa, una trentina di anni fa. Non si rassegna, Angela, e accusa il sindaco di “fomentare i cittadini”. Non si rassegna neppure il sindaco, e accusa Angela di “istigare il popolo”. E mentre il consiglio comunale denuncia Maroni – per aver “trattenuto illegalmente gli extracomunitari” – Angela prima s'illude di far ragionare la piazza, poi s'arrabbia e infine piange un pianto rauco che pian piano si fa litania.
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