Parla Lorenzo Bini Smaghi

Avanti o stato, alla riscossa

Michele Arnese

Tassi, ma non solo. Anche il rischio inflazione che non è del tutto domato. E soprattutto la crisi delle banche che ammorba l'economia. Con una domanda che assilla il mondo: che fare dei titoli tossici? Lorenzo Bini Smaghi, dal giugno 2005 membro del comitato esecutivo della Banca centrale europea, non si sottrae agli interrogativi del momento, in questa conversazione con il Foglio.

    Tassi, ma non solo. Anche il rischio inflazione che non è del tutto domato. E soprattutto la crisi delle banche che ammorba l'economia. Con una domanda che assilla il mondo: che fare dei titoli tossici? Lorenzo Bini Smaghi, dal giugno 2005 membro del comitato esecutivo della Banca centrale europea, non si sottrae agli interrogativi del momento, in questa conversazione con il Foglio. C'è chi dice che a Francoforte, sede dell'Istituto centrale, si teme che un'eccessiva riduzione dei tassi crei la cosiddetta trappola della liquidità. “La trappola della liquidità si verifica quando i tassi d'interesse raggiungono un livello molto basso senza però avere alcun impatto sui comportamenti degli operatori, perché la domanda di attività finanziarie non reagisce più. Come si dice in gergo, ‘il cavallo non beve più'. In tali condizioni la politica monetaria perde efficacia”.

    Ma non è la situazione attuale, almeno in Europa: “Il calo dei tassi d'interesse e le operazioni svolte dalla Bce hanno determinato un forte aumento dei finanziamenti al sistema bancario. La dimensione del bilancio della Bce è raddoppiato nell'ultimo anno”. Il problema, aggiunge, “è che non aumentano i finanziamenti delle banche nei confronti del sistema produttivo, e i tassi d'interesse praticati a questi ultimi rimangono elevati. Il motivo è che le banche stanno attraversando una fase di ristrutturazione, devono ridurre la leva finanziaria eccessiva accumulata negli ultimi anni e nel frattempo sono diventate più prudenti. Ma questo non è un problema che si risolve esclusivamente con la politica monetaria”. Restiamo sul punto, prima di affrontare la questione del sistema bancario. Le sue parole lasciano intendere che in Europa non si arriverà al tasso zero della Fed? “Negli Stati Uniti i tassi d'interesse praticati dalle banche non sono molto diversi da quelli europei, nonostante quelli praticati dalla Riserva federale siano praticamente a zero. Ciò conferma che il problema del meccanismo di trasmissione della politica monetaria non si risolve necessariamente portando i tassi a zero ma risolvendo il problema della fiducia nel sistema bancario, e all'interno del sistema stesso”. Pur nella tradizionale asetticità dei giudizi tipici dei banchieri centrali, Bini Smaghi non si esime dal fare un raffronto con gli Stati Uniti e con l'operato della Banca centrale americana governata da Ben Bernanke: “Portare i tassi su livelli molto bassi può essere utile se le aspettative di inflazione sono molto basse, prossime alla deflazione, ma non è questo il caso oggi nell'area dell'euro. Altrimenti si rischia di produrre tassi d'interesse reali negativi, che creano forti distorsioni nell'economia e che sono poi all'origine delle bolle speculative”.

    Questo vuol dire che ritenete esserci ancora un pericolo per il costo della vita alto in Europa? Mi sa che i cittadini dell'Unione iniziano a dubitare dell'analisi di Francoforte… Dice Bini Smaghi: “Dobbiamo evitare sia l'inflazione sia la deflazione. Il nostro obiettivo è la stabilità dei prezzi, che è un tasso d'incremento dei prezzi prossimo ma inferiore al 2 per cento. La deflazione è un tasso di variazione dei prezzi molto basso o negativo per un periodo protratto, ossia per vari anni come in Giappone negli anni Novanta”. Dopo considerazioni a carattere generale, il giudizio: “La deflazione è pericolosa perché influisce sulle aspettative e spinge gli operatori a posticipare le decisioni di investimento e di consumo, determinando un avvitamento del ciclo economico”.
    Il quadro che si delinea è comunque quello di un'inflazione prossima allo zero: “Nei prossimi mesi, fino a metà anno, registreremo una rapida riduzione dell'inflazione, per effetto del forte calo dei prezzi delle materie prime. Si potrebbe raggiungere un tasso d'inflazione che potrebbe essere prossimo allo zero, o addirittura negativo, se misurato sull'anno precedente. Poi nella seconda metà dell'anno, quando si esauriscono questi effetti statistici, i prezzi torneranno a crescere, anche se a un ritmo inferiore al 2 per cento”. La disamina porta a una conclusione: “Non si tratta dunque di deflazione, ma di disinflazione molto rapida e benefica perché aumenta il potere d'acquisto dei redditi”. Bini Smaghi non disconosce che i rischi di inflazione si siano fortemente ridotti, “ma non bisogna abbassare la guardia perché nel medio periodo i rischi possono riemergere, soprattutto se i prezzi delle materie prime riprenderanno a crescere e se le misure fiscali espansive non verranno prontamente ritirate quando la congiuntura economica ripartirà”.

    Adesso, comunque, all'ordine del giorno in Europa più che la questione tassi è l'ipotesi di prevedere per la Bce anche una funzione di vigilanza sugli istituti di credito presenti in più paesi dell'Unione. Un'esigenza sostenuta anche da Bini Smaghi sulla base di questo ragionamento: “La crisi ha mostrato due limiti dell'attuale assetto di vigilanza. L'insufficiente scambio di informazioni tra le autorità nazionali sulle banche in difficoltà, soprattutto quelle che operano in più paesi, e l'interazione limitata tra le funzioni di vigilanza e quelle di banca centrale. Non è un caso che i fallimenti bancari siano avvenuti principalmente in paesi dove le funzioni di vigilanza sono al di fuori della banca centrale”. C'è però chi, come l'economista bocconiano Donato Masciandaro, esperto di regolamentazione finanziaria, teme che se un'autorità dispone di entrambi i poteri, quello monetario e quello di vigilanza, possa risolvere crisi finanziarie utilizzando la politica monetaria: “Masciandaro ha ragione. Ma il problema può essere risolto con una governance adeguata, che separa le due funzioni, ad esempio come in Francia, e con l'indipendenza della banca centrale, che nel caso della Banca centrale europea non sembra mancare”. Il vero problema, per il membro del board dell'Istituto con sede a Francoforte, “è semmai l'inverso, ossia che senza le informazioni di vigilanza la politica monetaria non riesce a interpretare in modo adeguato l'impatto della crisi finanziaria sugli operatori e a intervenire prontamente, come ha mostrato il fallimento della banca inglese Northern Rock”.

    Dottor Bini Smaghi, arriviamo a uno dei nodi della finanza e dell'economia. Siamo sicuri che occorre favorire le ricapitalizzazioni statali delle banche europee? Per caso non è stato eccessivo l'intervento pubblico, non soltanto negli Stati Uniti ma anche in Europa? Il banchiere non ricorre a teorie ma dai fatti trae una lezione. Questa: “Dopo tutti questi mesi di crisi il mercato non ritiene che il capitale in dotazione delle banche sia sufficiente per affrontare un'altra ondata di svalutazioni degli attivi e le ripercussioni della recessione. Questo è il motivo per cui i titoli bancari calano in Borsa. E più calano le Borse, più le ricapitalizzazioni si rendono necessarie”. E perché per rafforzare i patrimoni degli istituti bisogna invocare l'intervento degli stati? “Per aumentare il rapporto tra capitale e attivo le banche hanno due scelte. La prima è di ridurre l'attivo, ritirando i finanziamenti al settore privato. Ma in questo modo si accentua la recessione. Rimangono dunque solo le iniezioni di capitale. Dato lo stato di fiducia generale del mercato, solo lo stato sembra in grado di svolgere questo compito in modo adeguato. E' un male minore, e temporaneo, per evitare il peggio”.

    La risposta suscita però altre domande. In linea teorica, tra una nazionalizzazione e la costituzione di bad bank quale strada preferisce? E nella bad bank dovrebbe intervenire anche lo stato? E in che forma? Non pensa che la questione della valutazione dei titoli tossici impedisce di fatto la realizzazione di bad bank? E non sarebbe più trasparente e aderente ai principi di mercato far emergere la reale situazione dei titoli cosiddetti tossici? “Andiamo con ordine. Le iniezioni di capitale dovrebbero essere condizionate a una maggior trasparenza dei bilanci delle banche e a una contabilizzazione molto aggressiva delle perdite potenziali. Le banche stesse dovrebbero creare dei portafogli di titoli valutati a prezzi molto bassi, che fanno sorgere la prospettiva addirittura di capital gain in futuro. Solo così può tornare la fiducia del mercato”. Ma nessun istituto di credito vuole mostare per prima i panni sporchi: “Il problema è appunto che nessuna banca ha singolarmente l'incentivo a ricapitalizzare, perché ha paura di essere penalizzata. Se invece è tutto il sistema a farlo, a livello europeo, la ricapitalizzazione non viene avversata e porta a un rafforzamento generalizzato che fa tornare la fiducia. Il problema è che non vi è un'autorità europea oggi in grado di dare tali indicazioni coordinate. E' per questo che molti pensano che la Banca centrale europea dovrebbe avere più poteri in materia di vigilanza”.

    Parliamo di casa nostra. Da sempre la Bce invoca riforme strutturali. Un'indicazione generica. Andiamo nel concreto: quali sono le innovazioni possibili? E non pensa che le riforme strutturali siano più facilmente realizzabili in tempi di crescita economica e non in tempi di crisi? “In teoria le riforme strutturali, che riducono le posizioni di rendita e aumentano l'efficienza nell'allocazione delle risorse, dovrebbero essere più facili da realizzarsi in fasi di crescita. In realtà avviene il contrario. Nelle fasi di crescita le riforme languono, o addirittura vengono cancellate, com'è stato il caso in Italia con l'eliminazione dello scalone pensionistico. Invece, come si osserva in molti paesi europei, per realizzare le riforme ci vuole una situazione di emergenza, dettata spesso dalla crisi”.

    Ammesso che sia questa la situazione migliore, quali sono le tre riforme strutturali che lei ritiene imprescindibili? “La riforma dei sistemi contrattuali è urgente da anni, perché consente di legare le remunerazioni alla produttività, incentivandola. L'Italia ha perso in questi anni molta competitività nei confronti degli altri paesi europei, proprio a causa del ristagno della produttività. Vedo che siamo in dirittura d'arrivo di questa riforma, anche se le clausole di recupero dell'inflazione contenute nel recente accordo sono pericolose. Si rischia il ritorno parziale della scala mobile”. Ma non è tutto: “L'altra riforma è quella degli ammortizzatori sociali. In Italia chi perde il proprio posto di lavoro non ha aiuti. E' il timore di trovarsi in quella situazione che attualmente rallenta i consumi delle famiglie, nonostante l'aumento di potere d'acquisto derivante dal calo del prezzo della benzina, del gas, dei mutui. Per finanziare questa riforma, e rendere il sistema del welfare più equo, non c'è altra soluzione che quella di allungare la durata della vita lavorativa in linea con l'aspettativa di vita, e dunque rivedere il sistema pensionistico adeguando i coefficienti e portando a 67 anni, come in Germania, l'età pensionabile. Ciò consentirebbe di ridurre anche i contributi, aumentando il potere d'acquisto dei salari e la competitività delle imprese. Tutto questo favorisce l'equità e la crescita economica”. Dopo qualche secondo di pausa, Bini Smaghi conclude la risposta con una domanda: “Ma ci sarà il consenso sociale per una tale manovra?”.

    Comunque non ci sono soltanto i contratti, le pensioni e gli ammortizzatori sociali a dover essere modificati e modernizzati: “Ci sono tante altre riforme necessarie per aumentare il tasso di crescita potenziale dell'economia italiana, che dipende in particolare dal capitale umano. Se ne devo scegliere una, citerei la riforma dell'università. E' ormai dimostrato che il sistema italiano costa molto ma è tra i più inefficienti. Ci sono troppi pochi laureati nelle materie scientifiche e troppi nelle materie dove non ci sono sbocchi professionali. Le vie da seguire per la riforma sono chiare. Bisogna fare come quei paesi che hanno i sistemi più efficaci. Non ci si deve inventare niente di nuovo”.