Quattromila veli

Giulio Meotti

Le candidate sciite portano con sé i decenni patiti sotto Saddam Hussein, quelle sunnite sono il sangue e la paura che hanno visto scorrere nelle strade dominate da al Qaida, le donne cristiane corrono a nome di una comunità ancora viva nonostante tutto l'odio scatenato contro di loro.

    Le candidate sciite portano con sé i decenni patiti sotto Saddam Hussein, quelle sunnite sono il sangue e la paura che hanno visto scorrere nelle strade dominate da al Qaida, le donne cristiane corrono a nome di una comunità ancora viva nonostante tutto l'odio scatenato contro di loro. Nel 2005, in occasione delle prime elezioni democratiche irachene, vedemmo una fila interminabile di donne coperte dai veli neri davanti ai seggi, scortate dai militari, e le loro dita colorate di viola a suggellare il voto. Per i quattro anni successivi ci era stato detto che le donne in Iraq erano precipitate in un incubo senza uscita. Oggi, che saranno chiamati alle urne 15 milioni di iracheni, su 14.431 candidati per le elezioni provinciali ben 3.921 sono donne.

    Per una donna candidarsi pubblicamente in Iraq significa mettere a repentaglio la propria vita, scontrandosi con le minacce di morte dei gruppi radicali sunniti e sciiti. Il 18 dicembre scorso Nahla Hussein, leader femminile del Partito comunista curdo, è stata trovata senza testa nella sua casa di Kirkuk. In molte zone, le candidate preferiscono non utilizzare la propria immagine. A Bassora, la città sciita del sud che per mesi ha visto le strade riempirsi di cadaveri di donne (40 soltanto nel 2007), Ibtihal Abdul-Rahman fa comizi dove fino a ieri tribunali sharaitici amministravano una “giustizia” sanguinaria. Queste donne sciite dicono di richiamarsi a Zaynab, la sorella del martire sciita Hussein che accompagnò a Damasco la testa del fratello. Difese la vita dell'unico maschio sopravvissuto della famiglia, assicurando la continuità dello sciismo.

    Safia al Suhail è figlia di un noto religioso sciita assassinato da Saddam Hussein. “Dobbiamo cambiare le cose. Come? Combattendo”.  Maysun al Damaluji, candidata laica con l'ex primo ministro Ayad Allawi, dice che le donne hanno un doppio ruolo, “il dovere di servire sia le donne sia la comunità”. Suhaila Oufi, di professione veterinaria, è candidata “per far da voce alle donne che hanno vissuto sotto un regime ingiusto”. Quello delle milizie filoiraniane che hanno chiuso saloni di bellezza e amputato, a esempio di tutte, i manichini di abiti femminili.

    Safiya Al Suheil e Amira Al Baldawi sono il ritratto di questo grande puzzle iracheno, la prima è una secolarista liberal, la seconda è una conservatrice religiosa. “Le donne hanno sofferto di più nelle operazioni terroristiche, hanno assunto il ruolo di capo famiglia dopo aver perso il marito o un figlio” dice Baldawi, che di professione è agronoma. Quasi un milione di donne in Iraq sono vedove o hanno i mariti scomparsi. “Abbiamo vissuto sotto minaccia di assassinio e fosse comuni” aggiunge la collega laica a cui Saddam Hussein uccise entrambi i genitori. Fatima Mahmud Marzuk è nella lista delle “Tribù dell'Iraq”, i sunniti che in questi due anni hanno portato il peso della guerra contro al Qaida. “La consideravo una grande responsabilità, e sono molto fiera della fiducia che mi hanno dato”. Madre di quattro figli, laureata in Scienze islamiche presso una università locale, Fatima ha un grande fervore patriottico. “Come irachena, sopporto il dolore della mia gente, e voglio fare del mio meglio per restituire qualcosa a questo paese”. Nebras al Maouri è candidata nel gruppo al Iraqiya. “E' magnifico vedere una donna in politica. In America, ad esempio, il Segretario di Stato è una donna. Perché non qui in Iraq?”.

    C'è anche chi, come Hanaa Kazem, si è candidata a nome di una categoria martoriata dal terrorismo. Quella degli insegnanti con la Iraqi Teachers'List. La polizia irachena fornisce la cifra vertiginosa di mille intellettuali e scrittori uccisi negli ultimi due anni. Oltre 80 gli accademici nella sola università di Baghdad. Wahida al Jumaili, candidata sunnita, racconta che “un giorno stavo tornando a casa in macchina e al Qaida mi sparò addosso, mancandomi. Da allora ho fatto politica in segreto”. O come Liza Nisan, candidata del National Assyrian Party che dice di parlare a nome di quei 700 cristiani uccisi dal 2003 a oggi.

    Tutte queste donne oggi tornano con il pensiero a Wijdan al Khuzai. Era una forza della natura, tanti figli e la volontà di correre da laica per un seggio in Parlamento. Diceva sempre che “se hai un obiettivo, vai avanti e non lasciarti fermare da nessuno”. Gli americani trovarono il suo corpo sulla strada per l'aeroporto di Baghdad, cinque colpi di pistola, le braccia spezzate e le mani legate dietro la schiena, come in un'esecuzione. Era stata torturata. Aveva iniziato nel 1990 a fare politica a Hilla, fra gli sciiti, distribuendo cibo ai bambini. Gli sgherri di Saddam le misero gli occhi addosso e Wijdan decise di fermarsi. Per riprendere nel 2003, quando il tiranno non c'era più. Aveva rifiutato la scorta. Perché ripeteva sempre: “Dio mi proteggerà”. La sua storia è uno dei pegni di questo Iraq.

    • Giulio Meotti
    • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.