Eluana è arrivata alla clinica "La Quiete" di Udine
Quella neolingua che parla della sorte da riservare ai “diversamente vivi”
Cercasi volenterosi esecutori di sentenza di morte. Astenersi perditempo. C'è in programma la “morte dignitosa” di Eluana Englaro. Basta ricordarsi che “dignità”, nel novissimo dizionario della postmodernità eutanasica, significa soppressione di un disabile, per fame e per sete.
L'ambulanza con a bordo Eluana Englaro e' arrivata alla clinica 'La Quiete' di Udine qualche minuto prima delle sei di questa mattina, dopo un viaggio notturno. A Lecco, davanti alla clinica da cui Eluana e' partita, ci sono state proteste di aderenti di associazioni contrarie all'esecuzione della sentenza, che si sono stesi sul cofano dell'ambulanza per impedire la partenza. Una situazione sbloccata dall'arrivo della Polizia. Ad attendere la donna in stato vegetativo, una selva di giornalisti. Nella struttura, dovrebbe consumarsi l'ultimo capitolo per Eluana, in coma da 17 anni, con la sospensione dell'alimentazione e idratazione forzata.(Afv/Gs/Adnkronos)
"Se ci verrà chiesto siamo disposti ad accogliere Eluana in una struttura pubblica”. Nel novissimo dizionario della postmodernità laicista, ricordiamoci che “accogliere” si traduce “provocare la morte per fame e per sete”. Prendiamone nota, perché altrimenti le parole del presidente della regione Piemonte, Mercedes Bresso, estrapolate tra cinquant'anni dal contesto che le ha prodotte, rischierebbero di essere fraintese. Rischierebbe di essere frainteso anche il giurista Amedeo Santosuosso, che al Corriere della Sera parla di “diritto alla salute”. Per Eluana, dice, quel diritto “ora consiste nella sospensione di nutrizione e idratazione”. E' chiaro? Da questo momento, quando sentiremo parlare di “diritto alla salute”, dobbiamo sapere che può voler dire: “Far morire di fame e di sete una persona che ha bisogno di acqua e cibo per vivere”. Come chiunque, del resto.
Nel novissimo dizionario postmoderno leggiamo anche che la fine comminata per fame e per sete a una disabile in stato vegetativo persistente – il cui corpo testimonia da diciassette anni un inequivocabile attaccamento alla vita – diventa, nella forbita argomentazione dell'illustre avvocato Carlo Federico Grosso, l'“epilogo ormai logico e naturale”. Ecco, va fatta la massima attenzione: c'è un nuovo significato di “naturale”. Eluana sarà accompagnata alla “morte naturale”, ha scritto Piero Colaprico su Repubblica; faceva eco al padre di Eluana Englaro, Beppino, quando chiedeva che Eluana riprendesse “il suo cammino della morte naturale, interrotta dalla rianimazione e dalle terapie forzate”. “Morte naturale”, prendiamo dunque nota, è la morte per fame e per sete. Eluana non può mangiare e bere da sola – come un neonato, come qualsiasi grave disabile – e dunque poche storie: nutrirla e dissetarla significa ostacolare il naturale corso degli eventi.
Ma siamo davvero incorreggibili: ci ostiniamo a chiamare Eluana “disabile”. Eppure la bioeticista animalista Luisella Battaglia ha scritto che la donna è stata indebitamente “promossa” a disabile da Eugenia Roccella. Non è una disabile, semmai è “diversamente viva”. A quando “post persona”? Questione di tempo, non c'è fretta. Il novissimo dizionario della postmodernità eutanasica sa il fatto suo. Dedica pagine e pagine alla parola “libertà”, da sola o in opportuna compagnia di “diritto”. “Per la libertà di Eluana”, ovvero per la sua morte procurata per sete e per fame, era lo slogan della manifestazione radicale a Lecco, sabato scorso. Quella culminata con la consegna delle diciassette rose (una per ogni anno passato dalla donna in stato vegetativo) a Beppino Englaro, come anticipazione o in sostituzione delle corone funebri. Il ritardo nel comminare quella morte, e l'atto di indirizzo del ministro Sacconi che ricorda alle strutture sanitarie la loro funzione, diventano così “lesione di un diritto”. Dei “diritti di un padre, che dopo aver sofferto per diciassette anni, si vede adesso sballottato da una istituzione all'altra. E da una interdizione all'altra”, si indigna la solita Bresso.
Ha spiegato il dottor Mario Riccio, quello che ha staccato il respiratore a Piergiorgio Welby: “Non sono i medici che mancano al padre di Eluana, ma la struttura. Seppure non collegare il sondino alla sacca per l'alimentazione e l'idratazione è, nei fatti, un atto più semplice che staccare il respiratore e sedare il paziente, come è avvenuto per Welby, la situazione è più complessa. Si tratta infatti di non prescrivere la sacca per quindici-venti giorni di seguito”. Non “un unico atto attivo, ma un atto passivo ripetuto per molti giorni”. E' la famosa “morte naturale”, l'“epilogo naturale” della scandalosa vita di Eluana, è il “protocollo operativo di distacco dell'alimentazione artificiale” che la clinica Città di Udine aveva predisposto con ogni cura. Loro erano certamente disposti ad “accogliere” Eluana (vedi sopra per la vera traduzione) ma poi è intervenuto Sacconi e il protocollo operativo a cura dei volenterosi volontari per la libertà di Eluana ha subito ritardi.
Nel dizionario non mancano la “volontà di Eluana”, la sua “autodeterminazione”: traduzioni certificate da sentenza di quello che altri dicono di lei (“di fatto, Eluana continua a non vedere rispettata la propria volontà”, dice il neurologo Defanti). Si comprende l'impazienza della curatrice speciale: “Siamo sempre pronti a valutare qualunque disponibilità purché non rappresenti ulteriore perdita di tempo”. Cercasi volenterosi esecutori di sentenza di morte. Astenersi perditempo. C'è in programma la “morte dignitosa” di Eluana Englaro. Basta ricordarsi che “dignità”, nel novissimo dizionario della postmodernità eutanasica, significa soppressione di un disabile, per fame e per sete.
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