Così uccidono pure la medicina

Giulio Meotti

Dentro alla casa di riposo, intanto, il dottor Amato De Monte prepara il rito d'addio. E' lui il medico anestesista che ha stretto la mano a Eluana da Lecco e che ora dovrà portarla fino alla fine come responsabile della equipe medica. De Monte non ha l'aria del classico friulano, non sembra il tipico figlio di questa terra laboriosa e silenziosa di confine bellico.

    Udine. “Lasciateci vivere”, recita il grande cartello che i disabili dell'associazione Giovanni XXIII, molto forte in Friuli, hanno alzato davanti alla casa di cura “La Quiete”, dove è arrivata due giorni fa Eluana Englaro per il suo ultimo viaggio. Si sono riuniti a pregare davanti all'istituto e con i loro rosari scandiranno ogni giorno che resta fino alla morte di Eluana. C'è chi non apprezza il continuo dipanarsi delle voci degli oranti cristiani: “E fatelo questo miracolo”. Un padre parla della “mia Susi”, una ragazza di diciotto anni che versa nella stessa condizione di Eluana. “Lasciateli vivere questi ragazzi, sono belli anche se non ci restituiscono niente. Venite tutti a vedere come vivono”. Un altro genitore con il figlio disabile si rivolge direttamente al padre di Eluana. “Si fermi, si fermi la prego, c'è soltanto da imparare da queste persone, mio figlio mi ha fatto da padre”. E' prevista anche un'iniziativa continua di “Scienza e vita”. Perché qui, dicono, “tutto dipende da quanta roba buttano in vena a Eluana”. Può durare fino a due settimane la sua agonia.

    Dentro alla casa di riposo, intanto, il dottor Amato De Monte prepara il rito d'addio. E' lui il medico anestesista che ha stretto la mano a Eluana da Lecco e che ora dovrà portarla fino alla fine come responsabile della equipe medica. De Monte non ha l'aria del classico friulano, non sembra il tipico figlio di questa terra laboriosa e silenziosa di confine bellico. De Monte è a capo degli ausiliari della buona morte che dovranno accompagnare Eluana verso la fine. Quando senza cibo né acqua mostrerà la bocca secca, l'aspetto sempre più minuto, i tessuti secchi, il battito cardiaco accelerato, la pressione che diminuisce, il respiro irregolare e le tossine che si impadroniscono del suo misero ma vivo corpo. De Monte è noto come “lo zingaro”, sarà per l'orecchino, per l'aspetto trasandato da freak, per sembrare un tipo simpatico e un po' borderline. Colleghi e amici, anche quelli che in questi giorni di agonia stanno dalla parte opposta, della cura premurosa di un corpo ancora attaccato alla vita, parlano del dottor De Monte come di “un ottimo medico, ateo ma molto umano, anche se non ha pubblicato nulla di significativo nelle riviste scientifiche”. Un medico del popolo, che prima di arrivare al principale ospedale di Udine lavorava nell'alto Friuli. “Bravo nel suo mestiere, non un puro della medicina ma neanche del tutto cinico”: così lo descrive un ex collega. Altri ne parlano come di un “ottimo carrierista”, quasi un pioniere nelle terapie del dolore un po' alternative, come la ozonoterapia. Massimo riserbo su chi sono i dieci infermieri che assisteranno De Monte. Si sa soltanto che sono dipendenti pubblici, ma non dipendenti de “La quiete”.

    La storia di De Monte è significativa per capire i risvolti politici che hanno portato qui a Udine Eluana Englaro. Una storia nata in seno alla diaspora socialista confluita nel centrodestra. De Monte è molto vicino al parlamentare del Pdl ed ex socialista Ferruccio Saro e al governatore della regione friulana, Renzo Tondo. I due, Tondo e Saro, si erano dati battaglia negli anni scorsi all'interno di Forza Italia facilitando la vittoria di Riccardo Illy. Oggi sono uniti al fianco di Beppino Englaro. Assieme a loro c'è anche l'ex socialista poi margheritico Gabriele Renzulli, ex sottosegretario alla Sanità, oggi presidente dell'Organo di indirizzo dell'Azienda ospedaliera universitaria. Renzulli era stato scelto dal centrosinistra di Illy, poi è stato mantenuto in carica dall'attuale governatore Tondo di cui è ascoltato consigliere. Ora il dottor De Monte è ben voluto da Renzulli. Per capire quanto questa sia una vicenda trasversale, basta pensare a Vlamidir Kosic, disabile tetraparetico, ex presidente della Consulta dei disabili e oggi assessore al welfare della regione. Alla notizia della possibile venuta di Englaro in Friuli, Kosic aveva detto: “Pane e acqua per tutti”. Malgrado fosse l'uomo di Tondo. Il quale aveva impostato il suo attuale mandato su basi ben lontane dalla filosofia di “liberazione del dolore” propugnata per Eluana Englaro.

    Sostenuto dall'industriale Edi Snaidero, Tondo aveva raccolto una decina di persone attorno all'associazione “Libera Idea”. Nella carta di valori dell'associazione si parlava espressamente di rispetto assoluto per la vita. Una volta diventato presidente, Tondo però dismise l'associazione e disattese la carta. Chi ha avuto un ruolo importante nell'arrivo di Eluana è stato certamente il giornalista Tommaso Cerno, che si è occupato del caso Englaro per il Messaggero Veneto, gruppo Espresso-Repubblica, che ha raccontato la vicenda con piglio ideologico, da grande lotta per i diritti desideranti dell'individuo, tanta è stata la pressione dei suoi articoli in questa vicenda. Quel che non si sa, è che il consiglio di amministrazione della casa di cura “La Quiete” ha dovuto votare per “accogliere” Eluana Englaro. E non soltanto che il voto è stato di 4 a 3, ma che quasi tutti i medici erano contrari. A favore di Beppino Englaro si sono espressi la presidente dell'istituto, Ines Domenicali, quota Pd; il geriatra Giorgio Avon, l'esponente dei Verdi Emilio Gottardo e del Pd friulano Stefano Gasparin. Contro hanno votato due medici, il dottor Giuseppe Tonutti e l'ortopedico Pietro Commessatti, oltre che la farmacista Antonella Colutta. A guidare una piccola rivolta degli infermieri della casa di cura è stato un operatore sanitario albanese e ateo, Afraim Cassli, che ha voluto dalla direzione dell'istituto precise rassicurazioni che nessun infermiere interno sarebbe stato coinvolto. Perché, ci dice Afraim, “il codice deontologico recita espressamente che l'infermiere deve rispettare la persona”.

    A Udine la protesta pro life è guidata da un medico gastroenterologo che fa questo mestiere da ventidue anni e lavora in due ospedali dell'alto Friuli. Si chiama Francesco Comelli e se c'è una cosa che detesta è che si dica che “Eluana torna a casa, nella sua Carnia”. Comelli sostiene che questa storia servirà per un “diritto all'eutanasia pubblicamente riconosciuto ed eseguito”. E ce l'ha con i giudici delle sentenze che hanno portato fino a qui. “Vogliono fare del medico il servo del paziente, stanno uccidendo la medicina come arte liberale”. Il suo pensiero, per raccontare tutto questo dolore e passione calati su una città di centomila abitanti, torna al grande terremoto del 1976 con i suoi mille morti. “Io li ho tirati fuori dalla terra e dalle case i morti, avevo sedici anni e ho scavato per cinque giorni consecutivi. I volontari arrivavano da tutta Italia, c'erano i bellissimi alpini, ricordo una donna morta nel suo letto e il marito che saliva le scale per aiutarla, tutti completamente ricoperti da una patina bianca. A Gemona quelle notti c'era un silenzio irreale, i fari dell'auto illuminavano le macerie e tutta quella gente a scavare, in silenzio. Dico questo perché noi lo conosciamo il dolore. A Gemona trassi dalle macerie una donna malata di cancro che aveva perso il marito, il figlio e la nuora incinta. Quella donna, lo ricordo ancora, mi insegnò come affrontare il dolore con dignità. E ora, qui, nel mio Friuli, si introduce l'idea che la vita abbia valore soltanto se c'è una certa performance. E se non c'è qualità della vita, come per Eluana, che sia meglio che non ci sia la vita. E' uno schifo”.

    Secondo Comelli, in questa logica è il potere che decide tutto. “Che sia il potere sovietico che sbatte in galera i medici dissidenti o quello nazista che manda al crematorio i bambini disabili. Eluana non sta tornando alla terra dei suoi avi. Lei lo sa, lo sa, che alla Quiete, dove c'è Eluana, da quarant'anni i giovani vanno a fare carità dai vecchi? I miei figli ogni sabato vanno lì a prendersi cura degli anziani. E tornano a casa grati per questa esperienza. Vanno ad accudire una donna di 58 anni come Eluana e le vogliono bene. Vale di più il racconto di un disabile di mille convegni teorici”. C'è una battaglia vinta dalla stampa progressista. “E' quella del linguaggio. La grande disinformazione ha funzionato. Dicono che vogliono far riposare Eluana accanto al nonno, ma lui è al cimitero, allora vuol dire che prima devono metterla a morte. Quando mai Repubblica ha scritto ‘messa a morte'? Non c'è nessuna spina da staccare, ci sono quegli strani tubi con cui io ho a che fare ogni giorno. Si dice ‘agonia', ma non c'è nessuno che sta morendo. Hanno fatto credere che Eluana vive con delle macchine, falso! Così come non è ‘malata', Eluana è una donna guarita con disabilità. Hanno preso una creatura, l'hanno messa in un'ambulanza in mani di estranei per darla in pasto ai giornali”. Qui a Udine tutti ricordano ancora il nome di Maria Pia Pavani. Era una donna malata che voleva a tutti i costi farla finita. Un giorno sembrava essere giunta la sua ora, il medico però le chiese: “Se vuoi vivere, fammi un gesto”. Maria Pia sbattè gli occhi. E quel medico le salvò la vita. Maria Pia ha scritto poesie e dipinto dei bellissimi quadri. Ha vissuto altri dieci anni. Era stupenda e leggiadra quando manovrava il computer soltanto con il mento.

    • Giulio Meotti
    • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.