Milano non decolla
L'ultimo schiaffo ricevuto da Roma è raccontato dai giornali di lunedì 2 febbraio: il ministero dell'Economia non consente al Comune di Milano di utilizzare 170 milioni ricavati dalla vendita di immobili pubblici per finanziare gli investimenti.
L'ultimo schiaffo ricevuto da Roma è raccontato dai giornali di lunedì 2 febbraio: il ministero dell'Economia non consente al Comune di Milano di utilizzare 170 milioni ricavati dalla vendita di immobili pubblici per finanziare gli investimenti. Il che rischia di far saltare la linea 4 della metropolitana. Un colpo che segue quello ancora più duro di mercoledì 28 gennaio. Convocati dal sottosegretario Gianni Letta, erano andati a Palazzo Chigi il sindaco Letizia Moratti, il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, il presidente della società di gestione dell'Expo (SoGe), Diana Bracco, e l'amministratore delegato in pectore, Paolo Glisenti, quello che da dieci mesi è in attesa di ottenere la nomina e di conoscere il proprio emolumento; c'erano anche il ministro dello Sviluppo, Claudio Scajola, e il suo collega degli Esteri, Franco Frattini. Insomma c'erano tutti a questo vertice fissato per far decollare finalmente la macchina organizzativa della grande esposizione del 2015 ferma ai nastri di partenza dal marzo scorso.
Per la verità proprio tutti no, mancava il più importante, vale a dire il ministero del Tesoro, azionista di riferimento della stessa SoGe: Giulio Tremonti non si è fatto vedere e non si è curato di mandare a rappresentarlo un funzionario, o almeno un portaborse. In conclusione il summit che nelle intenzioni doveva essere risolutivo, mancando il vero padrone di casa (quello che ha la borsa con i soldi), si è risolto nell'ennesimo niente di fatto, una semplice riunione di routine. Nessuna decisione su nomine e poteri e soprattutto nessuna decisione sugli stanziamenti. Moratti, Formigoni e gli altri del seguito hanno così ripreso mestamente la via di casa.
Una magra figura. Che viene dopo molte altre rimediate da Milano negli ultimi tempi. Vogliamo ricordarne alcune? La vicenda Alitalia, da qualunque parte la si prenda, si è conclusa con il quasi azzeramento di Malpensa a vantaggio di Fiumicino, e se non ci fossero i tedeschi di Lufthansa nell'ex hub del nord si potrebbe tornare a coltivare le verze. Roberto Colaninno, presidente della nuova Alitalia, lo ha confermato ancora domenica primo febbraio nel corso della trasmissione di Lucia Annunziata “In 1/2 h”: “Se i milanesi vogliono salvare Malpensa, devono rinunciare a Linate”. E ancora: un decreto del governo ha stanziato 500 milioni all'anno a partire dal 2010 per Roma capitale fra i mugugni e le proteste (misurate) della Lega. E pochi giorni fa il sindaco di Roma Gianni Alemanno se n'è uscito dicendo che la sua giunta pensa di proporsi per ospitare un gran premio cittadino di Formula Uno, progetto che, qualora andasse in porto, si metterebbe automaticamente in concorrenza con Monza. Di fronte a questo spostamento del pendolo a favore della capitale, Milano se ne sta lì ferma, forse sperando che il federalismo fiscale finalmente arrivi e faccia il miracolo (che sarà poi tutto da vedere) di riequilibrare le partite.
“A Milano ci sono ancora molti attori che contano, basta cercarli nei posti giusti – ha detto al Foglio il sociologo, studioso del territorio Aldo Bonomi – Quello che invece manca è il soggetto ordinatore capace di una politica di visione. Tutti i centri di potere cittadino, che certamente esistono, si muovono in ordine sparso. Non riescono a esprimere un capitalismo di coalizione, a rappresentare la città per quello che è davvero”. Ma chi li occupa oggi questi centri di potere? Chi comanda a Milano? Chi è alla guida in questa città che per decenni si è vantata di essere una sorta di laboratorio di tutte le esperienze più importanti che si sono sviluppate poi nel resto del paese dal miracolo economico all'autunno caldo, dal centrosinistra alla tv commerciale, dalla moda alla finanza creativa?
POLITICA. Il politico milanese per eccellenza, il numero uno assoluto è naturalmente lui: Silvio Berlusconi. Però Milano adesso gli va stretta, quasi gli è d'impiccio, e si sta smarcando come dimostrano la sua quasi indifferenza per le sorti della Malpensa e le pressioni non irresistibili che esercita su Tremonti per i finanziamenti all'Expo (mentre si è speso personalmente per i 400 milioni a Catania e per Roma Capitale). Ha in mente altro. Per Ferruccio de Bortoli, direttore del Sole 24 Ore e prima del Corriere della Sera, se si guarda al centrodestra non ci sono dubbi, viene in mente un solo nome: l'astro nascente è il ministro della difesa, Ignazio La Russa. “La Lega domina in Lombardia - ha detto al Foglio – ma nella città di un Berlusconi che guarda altrove, chi conta è lui. E' il vero contraltare al partito del Carroccio. Ha anche saputo tenere rapporti molto stretti con dei centri di potere economico importanti: penso per esempio all'asse che ha con il gruppo di Salvatore Ligresti”. In più La Russa si è fatto apprezzare anche da gruppi tradizionalmente ostili agli uomini della destra, come la comunità ebraica cittadina cha ha gradito le posizioni prese da lui durante le polemiche per l'intervento di Israele a Gaza e in occasione dei recenti revival negazionisti della Shoah. Un potere forte lo esercita ha anche il presidente della Regione, Roberto Formigoni, ed è ovvio. Ma negli ultimi tempi sembra aver perso un po' del suo smalto: è stato candidato a varie poltrone di ministro, alla presidenza di una Camera, ma alla fine è rimasto lì, al Pirellone. Dove nel 2010 scadrà, non potrà più essere rinnovato e dovrà pensare al proprio futuro. Anche il sindaco, Letizia Moratti, in fondo ha un peso minore di quello che potrebbe avere. La vicenda di Glisenti, cui è professionalmente legata da molti anni e che tenacemente (ma finora senza successo) vuole imporre come guida operativa dell'Expo, le ha creato un danno di immagine. “Sì il sindaco ha qualche problema – conferma de Bortoli – Viene trattata con un certo sospetto, talvolta con diffidenza dagli stessi alleati della Lega e di Forza Italia”. Secondo uno dei consulenti più ascoltati da Berlusconi, l'unico vero guaio del sindaco è Tremonti: “Fra i due c'è un'ostilità quasi aperta che dura da anni. Ora si vedrà fino a che punto il ministro vorrà spingersi: l'Expo è la cartina di tornasole”.
A sinistra chi c'è nelle posizioni di primo piano che conti davvero? Francamente non si vede una gran folla, se non di mezze figure, di mestieranti. Di personaggi emergenti che possano ambire a una leadership nazionale, come succede a Torino con il sindaco Sergio Chiamparino, non sembra esserci traccia. “Il vero capo della sinistra – dice ancora de Bortoli – è un outsider: l'arcivescovo Dionigi Tettamanzi. La sinistra si sta aggrappando a lui”. Un giudizio che anche Bonomi condivide: “Basta guardare quanto il cardinale ha fatto per la crisi, al fondo che ha voluto per le famiglie più povere. Un segnale pastorale, ma anche politico. Che ha fatto breccia in tutti gli schieramenti, e soprattutto a sinistra”. L'idea del fondo domenica primo gennaio ha fatto un importante passo avanti: Giuseppe Guzzetti ha annunciato che la Fondazione Cariplo, da lui presieduta, verserà un milione di euro in questo fondo che andrà così ad aggiungersi a quello stanziato dalla diocesi milanese. Guzzetti è un cattolico, un democristiano di lungo corso: il suo gesto significa che il mondo cattolico milanese si schiera con il suo arcivescovo.
FINANZA. La crisi mondiale della finanza si fa ovviamente sentire anche qui, nella city italiana, che ha subito un ridimensionamento del suo ruolo rispetto ai tempi ruggenti. “Milano giocava a essere la Londra di noialtri – dice un operatore da anni su piazza – e ora, in piccolo, subisce la stessa sorte della capitale inglese”. In questo quadro, sono cambiati anche i punti di riferimento. “Nella finanza milanese il vincitore ha nome e cognome: Cesare Geronzi – dice Francesco Micheli, finanziere con alle spalle un passato di grande successi e tuttora attivissimo – Il presidente di Mediobanca ha trionfato su tutti i fronti. Ha saputo dribblare molti ostacoli, come le cause che tuttora sono aperte, e ha condotto a termine due capolavori: la fusione fra la sua Capitalia e l'Unicredit che lo ha portato alla presidenza di Mediobanca e la presa di potere assoluto su piazzetta Cuccia con il ritorno alla governance monistica che voleva lui”. Anche de Bortoli è d'accordo nell'assegnare la palma di numero uno a Geronzi che definisce “il conquistator cortese di Milano”. Cortese e anche discreto, defilato: abita nella centrale ed elegante via Bigli (nell'appartamento di proprietà di Mariella Brivio Medici, occupato fino a poco tempo fa dalla coppia Marco Tronchetti Provera-Afef Jnifen), ma non si concede a mondanità, è molto difficile vederlo in giro. Lavora, si occupa di Mediobanca, la vera stanza dei bottoni di quello che resta della finanza italiana. Qui ha come vicepresidente lo stesso Tronchetti, tuttora rappresentante dell'ala nobile dell'establishment malgrado la non felice avventura in Telecom, e ha in consiglio la figlia di Berlusconi, Marina, e la figlia di Ligresti, Lionella, famiglia che rappresenta davvero un potere forte a Milano (vedere la voce imprenditori). “Da questa posizione Geronzi è diventato il mossiere di tutte le partite significative della finanza che per aprirsi”, dice ancora Micheli. Nel senso che sarà lui a fare i giochi nelle questioni Rcs Mediagroup (la casa editrice del corriere della Sera), Telecom e, in prospettiva, Generali.
Dopo Geronzi, chi viene in ordine di importanza in questa classifica della Milano finanziaria che comanda? Il numero due, vero candidato a raccogliere l'eredità di potere di Enrico Cuccia era sempre stato considerato il presidente del Consiglio di sorveglianza di IntesaSanpaolo, Giovanni Bazoli. Ma ora le due Z lo hanno messo un po' in disparte. Nel senso che Bazoli ha sponsorizzato e fatto finanziare dalla sua e da altre banche due gruppi, quello del finanziere Romain Zaleski e quello dell'immobiliarista Luigi Zumino, entrambi oggi in estrema difficoltà. Questo non può non pesare sul suo status e sulla percezione che se ne ha. Con lui un po' nell'angolo, il posto di numero due spetta all'amministratore delegato di IntesaSanpaolo, Corrado Passera. Con l'operazione di salvataggio dell'Alitalia e ora con il nuovo megaprestito che sta organizzando per la Fiat, sta confermando di essere a capo di una banca di sistema, che sicuramente conta e molto. Il suo eterno competitor, il golden boy della finanza, Alessandro Profumo, capo di Unicredit, è invece il banchiere che ha subìto finora i colpi più duri della crisi, tanto che alcuni dubitano possa addirittura conservare il suo attuale ruolo di amministratore delegato. Restando nelle banche, ci sono ancora due personaggi con forti connotazioni politiche che incidono su molte decisioni importanti. Il primo è Giuseppe Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo (azionista di IntesaSanpaolo) che domenica primo febbraio, a un convegno ad Alba, ha stretto quasi un patto di alleanza con Tremonti sul tema delicatissimo del credito al settore produttivo in difficoltà. Una sintonia imprevista (i due in passato hanno spesso polemizzato) che il banchiere saprà mettere a frutto grazie alla sua consumata esperienza. Il secondo è Fabrizio Palenzona, un passato di sindacalista degli autotrasportatori (i padroncini), entrato non si sa bene come nella finanza che conta, è vicepresidente di Unicredit, consigliere di Mediobanca e presidente degli Aeroporti di Roma della Gemina (famiglia Benetton). Ha anche un legame collaudato con l'amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel. Palenzona in questo momento è in piena attività: in una recente dichiarazione all'Ansa, ripresa dai giornali, è sceso in campo a difesa degli attuali vertici Unicredit (Profumo e il presidente tedesco Dieter Rampl). Nel capitolo finanza non si può non citare lo stesso Francesco Micheli. Lui si schermisce: “No, per carità, io non conto nulla”. Ma non è vero. E' entrato nella cordata Cai-Alitalia, è nel settore delle biotecnologie con Genextra, è azionista (tramite il figlio Carlo) di Born4shop, diventata in meno di due anni fra i leader dell'e-commerce italiani. Molto presente in campo culturale (è ispiratore della kermesse musicale del Mi-To), è attento a tutte le novità, soprattutto quelle in grado di generare simpatiche plusvalenze, e si muove da cavaliere solitario, come ha sempre fatto.
IMPRESE. Il sociologo Aldo Bonomi ha scritto sul Sole 24 Ore di domenica primo gennaio della “cintura del ferro attorno alla città con la Falck, la Breda, l'Alfa, l'Innocenti e l'Autobianchi. Oggi è un girone manifatturiero fatto di 300 mila imprese, un po' di multinazionali tascabili e tanto capitalismo molecolare”. Si sa: i grandi imprenditori milanesi sono un'entità in declino, da anni ormai. Però non scomparsa. Come influenza specifica e prospettive di ulteriore crescita, oggi ai primissimi posti c'è Salvatore Ligresti che ha superato ogni tempesta. Solido finanziariamente (grazie al controllo di Sai-Fondiaria), vanta legami personali fortissimi con Geronzi e lo stesso Berlusconi, ed è presente come azionista in molte stanze che contano da Mediobanca alla RcsMediagroup. Nel dna è e rimane un immobiliarista-costruttore: sta tirando su il quartiere di City Life con i suoi grattacieli e sicuramente sarà magna pars in tutto quanto ruoterà attorno all'Expo 2015. Ma ce ne sono altri che comunque hanno un ruolo rilevante. La famiglia Moratti, padrona della Saras e dell'Inter e con il sindaco in casa, conta certamente anche se non come ai tempi del mitico patriarca, Angelo. Lo stesso Tronchetti Provera ha visto svanire il suo sogno di essere l'erede di Gianni Agnelli, però non è scomparso dalla scena e il suo parere in certe partite viene ascoltato. Ora si guarda con curiosità a quello che succederà in via Ciovassino sede della Cofide-Cir della famiglia De Benedetti: con l'inconsueta (per le modalità scelte) uscita di scena dell'Ingnegnere annunciata il 26 gennaio scorso, delle decisioni importanti, e non solo per Milano, saranno presto prese dal figlio Rodolfo. Giuseppe Rotelli, re della sanità privata lombarda, è un signore che può perdere senza battere ciglio quasi 200 milioni per stare fra gli azionisti del Corriere della Sera: e questa invidiata liquidità gli dà un posto in tribuna, così come succede, per ragioni analoghe, alla famiglia Rocca. Più defilata, invece, la presidente dell'Assolombarda e proprietaria dell'azienda che porta il suo nome, Diana Bracco. Nemmeno le gradinate in curva toccano invece agli immobiliarsti che per anni sono stati protagonisti a Milano: oggi (escluso Ligresti) sono spariti. “Al loro posto sono arrivati investitori arabi “, dice ancora de Bortoli. Assenti anche gli stilisti, i guru del made in Italy. E non perché le cose vadano male: Diego Della Valle, per esempio, pochi giorni fa ha annunciato vendite in aumento, malgrado la crisi. Il fatto è che gli Armani & C. sono qui a Milano quasi per caso, fanno parte di quel “cerchio della creatività”, come lo chiama Bonomi, soprattutto con uno scopo: guadagnare dei soldi. E non tengono molto al potere.
Fra i manager di grandi imprese tutte milanesi ma che hanno un raggio d'azione che va ben oltre la Madonnina, sono due i nomi che spiccano: Fedele Confalonieri, numero uno operativo del gruppo di Berlusconi ma anche figura carismatica, sempre ascoltata da tutti; Luigi Roth, presidente della Fondazione Fiera (in scadenza) e vero uomo forte del sistema fieristico che avrà una parte di primo piano nell'Expo 2015 e in tutto quanto vi ruota attorno. In fondo a questo catalogo dei milanesi potenti, ma non certo all'ultimo posto, viene Bruno Ermolli. Fondatore della società di consulenza aziendale Synergetica, vicepresidente della Scala, presidente della Promos (Camera di Commercio), è il consigliere più ascoltato di Silvio e Marina Berlusconi ed è anche legatissimo a Letizia Moratti. Tutte le nomine che contano (anche di grandi imprese pubbliche nazionali) fanno tappa nel suo ufficio di via Fatebenefratelli. Qualcuno lo definisce “il Gianni Letta milanese”. E' non ha torto.


Il Foglio sportivo - in corpore sano
Fare esercizio fisico va bene, ma non allenatevi troppo
