“Il premier fermi la politicizzazione della giustizia”, dice Nicola Latorre

Francesco Cundari

Il senatore del Partito democratico Nicola Latorre non sembra in vena di riforme condivise. “Ho qualche difficoltà a immaginare una discussione sulle garanzie costituzionali, i limiti ai poteri di indagine, la tutela della privacy e lo stato di diritto con chi ha appena varato una norma che permette ai medici di denunciare i clandestini che ricorrano alle loro cure.

    Il senatore del Partito democratico Nicola Latorre non sembra in vena di riforme condivise. “Ho qualche difficoltà a immaginare una discussione sulle garanzie costituzionali, i limiti ai poteri di indagine, la tutela della privacy e lo stato di diritto con chi ha appena varato una norma che permette ai medici di denunciare i clandestini che ricorrano alle loro cure. Se la maggioranza non ferma immediatamente questa deriva, culturale prima che politica, non vedo come potremmo dialogare su alcunché”.
    Il Pd dovrebbe dunque abbandonare ogni discussione sulla riforma della giustizia? “Dinanzi a un decreto del governo su un singolo caso, quello di Eluana Englaro, con cui si vorrebbero cancellare le sentenze della magistratura, prima di parlare di riforme, inviterei il premier a fermare questa inaccettabile politicizzazione della giustizia”.

    Dopodiché? “Credo che, in attesa di dialogare con noi, la maggioranza dovrebbe dialogare un po' di più con se stessa. Altrimenti, non oso pensare quale riforma potrebbe venirne fuori, con chi un giorno chiede limiti e controlli rigorosi contro l'abuso delle intercettazioni e della carcerazione preventiva, quando viene colpito un politico, e il giorno dopo, dinanzi a un giudice che applicando la legge riconosce che per la carcerazione preventiva non ci sono gli estremi, ma lo fa nei confronti di un criminale comune, italiano o romeno che sia, tutto a un tratto invoca leggi più dure, più carcere preventivo, meno garanzie. Se nel riformare la giustizia si vuole cancellare lo scandalo per cui in Italia si finisce in galera prima del processo e se ne esce dopo, sono d'accordo; ma se pensiamo che il problema sia che questo accade troppo spesso per qualcuno e troppo poco per qualcun altro, arrivederci e grazie, la discussione per me finisce qui”.

    E la sicurezza? “Ma come si fa a non vedere che le due cose sono legate? Il problema di diritto è che si finisce in galera prima del processo, ma il problema per la sicurezza è che quasi sempre se ne esce dopo, e non lo possiamo certo risolvere abolendo i processi. L'origine di tutto sta nel fatto che le indagini hanno preso il posto del processo, e di conseguenza gli indizi, le ricostruzioni ipotetiche, le intercettazioni e le chiacchiere quello delle prove. L'attenzione per le regole e le garanzie, tutelando la raccolta scrupolosa delle prove da parte del pm, non serve solo a garantire che un innocente non finisca in galera, ma anche a garantire che il colpevole ci resti, dopo un regolare processo”. Quando hanno arrestato i romeni accusati dello stupro di Guidonia, l'Unità li ha messi in prima pagina sotto il titolo: “Intercettati”.

    Ma Latorre non ha apprezzato. “Sono rimasto senza fiato, l'ho trovata sconvolgente. E non mi è piaciuta neanche quella del Riformista, che ha una posizione opposta sulle intercettazioni, ma ha sbattuto ugualmente l'accusato in prima pagina. Altri giornali almeno hanno coperto il volto degli arrestati, che hanno rischiato il linciaggio. Ma l'Unità ha fatto quella prima pagina per difendere l'attuale regolamentazione delle intercettazioni, e io credo che in questo caso più che mai i mezzi qualifichino il fine. E' l'esatto contrario di quel che dovrebbe accadere. Noi accusiamo la destra di essere garantista coi potenti e giustizialista coi poveracci, loro ci accusano del contrario. Ed ecco che oggi, invece di portare la destra a essere garantista nei confronti di tutti, diventiamo noi coerenti e spietati forcaioli, anche con gli immigrati”. Un tema di cui evidentemente Latorre non ha parlato con il suo alleato Di Pietro. “Di Pietro non è un alleato del Pd, tanto meno mio. Io voglio una giustizia garantista per tutti i cittadini, perché la legge dev'essere uguale per tutti. Dunque non sono disponibile a riformarla né con chi la vuole garantista per alcuni e forcaiola per altri, né con chi la vuole forcaiola per tutti”. Molti pensano però che lo scandalo Genchi, l'ex perito del pm Luigi de Magistris accusato di avere accumulato un archivio con migliaia di telefonate, imponga un intervento immediato sulle intercettazioni. “Io penso che sia un fatto gravissimo, ma non nuovo. E' così da almeno quindici anni”. Forse anche di più.

    Qualcuno ha ricordato lo scandalo Sifar. “La differenza è semplice. Un tempo i dirigenti del Pci, prima ancora di dire ‘pronto', dicevano: ‘Buongiorno brigadiere'. Perché, com'è noto, a lungo i comunisti sono stati spiati, sorvegliati, intercettati. Oggi forse rispondendo al telefono dovremmo dire: ‘Buongiorno direttore'. Da anni ormai le telefonate di tutti noi, a sinistra come a destra, finiscono sui giornali quasi in tempo reale. Il controllo sulla rilevanza di quel materiale un tempo era affidato, se non a un giudice, almeno ai servizi segreti. Ora è affidato a un direttore di giornale, che poi è l'unico dipendente che l'editore possa licenziare. E questo in un paese in cui tutti i maggiori quotidiani sono controllati da tutti i principali gruppi economici. A questo punto sarebbe meglio affidare il giudizio sulle indagini preliminari direttamente alla giunta della Confindustria, per garantire almeno un minimo di dibattito”.