La quiete prima della tempesta
Non ha segreti, per me, quel presepe ora scomposto sotto i riflettori
Ho letto, sul Foglio, il buon articolo di Giulio Meotti su ciò che circonda il letto di Eluana, a Udine. Mi ha sorpreso la sua conoscenza del quadro politico, umano e civile. Voglio aggiungere poche cose, e poco utili. Non mi sarei mai voluto occupare di Eluana.
Ho letto, sul Foglio, il buon articolo di Giulio Meotti su ciò che circonda il letto di Eluana, a Udine. Mi ha sorpreso la sua conoscenza del quadro politico, umano e civile: la sorpresa di chi è cresciuto in un angolo d'Italia poco conosciuto, e spesso descritto per luoghi comuni, e si vede improvvisamente ritratto con fedeltà, senza sconti, pregiudizi, e luoghi comuni. Voglio aggiungere poche cose, e poco utili. Non mi sarei mai voluto occupare di Eluana. Toccasse a me, di essere steso su quel letto, vorrei che i sondini venissero staccati, con l'arroganza di chi pensa che la sua vita è solo sua. Mi toccasse di avere un mio caro, su quel letto, non saprei cosa fare, anche se fossi depositario di una volontà testamentaria. E allora mi limito a lamentare l'irrilevante fatto che tutto avvenga sotto casa mia, ed è la sola cosa, ininfluente, che voglio aggiungere.
La Quiete è, da quando ero bambino, l'ospizio dei vecchi, una specie di cimitero degli elefanti, diventato un modo di dire: si dice “finire in viale Firenze” per dire finire al cimitero, e “finire alla Quiete” per dire finire in solitudine i propri giorni. Di fronte a quella che adesso è una clinica – ospizio suona male, adesso – c'è il comando della Brigata alpina Julia, il cui comandante adesso sta ad Herat, con i suoi dell'Ottavo alpini. Alle spalle della clinica, in borgo Pracchiuso, c'era l'ultima sede di Lotta Continua, quella in cui fummo sorpresi la sera del 6 maggio del 1976, quando pensammo sulle prime, al boato, a un attentato fascista – eravamo, con qualche fondatezza, maniaci – e poi ci accorgemmo che era un terremoto, e andammo a scavare a Gemona, congedandoci dalla politica prima ancora del congresso di Rimini. La sagra del Borgo capita di questi giorni: è San Valentino, e in tempi normali si comprano e si accendono candeline che sono di buon auspicio per il mal di gola, e le bancarelle vendono una chiavetta dorata che porta fortuna. La chiesa che sta a poche centinaia di metri da La Quiete è la Madonna delle Grazie. Ci andavo da bambino fermandomi a lungo, affascinato dallo spavento, davanti a un'armatura medievale, nella quale era rimasto imprigionato per sempre un cavaliere che aveva venduto l'anima al diavolo. Nel chiostro c'erano, forse ci sono ancora, ex voto che costituivano per me una specie di teatrino dei pupi, o le tavole di un cantastorie. Ci sono tornato, in quella chiesa, imbarazzato, all'ultimo matrimonio di mia nonna e a ogni inizio d'anno del liceo – come cambiavamo, da un anno all'altro… – e nel cinema parrocchiale che si affaccia sul cortile asfaltato del campo di basket, ho visto tanti film in bianco e nero, e sono sgattaiolato fuori sui titoli di coda, per scampare dibattiti che improvvisamente – era il 1968 – sono diventati invece un obbligo, un appuntamento più importante del film, un modo di contarsi e contare.
Alle spalle della Quiete c'era, e forse c'è ancora, l'ospedale militare, dove mi sottoposi a una visita medica supplementare per essere reclutato come paracadutista, con il solo scopo di scampare altri tre giorni di scuola. Nella piazza enorme che sta tra la chiesa e il liceo classico da una parte, e il castello dall'altro mi sono allenato alle corse campestri e ho frequentato ogni anno i “baracconi”, il luna park degli amori adolescenziali, quando cessava di interessare lo zucchero filato, e incominciavano a piacere le signore del tiro a segno con il flobert, tutte generose di seno e di scollatura: era una fiera in cui non esisteva ancora la correttezza politica, c'erano la donna cannone e la donna barbuta in mostra. In quella piazza ho lavorato come inserviente per circhi di passaggio e dormito in una tenda di solidarietà con un manifestante arrestato. Conosco a una a una le osterie e le pizzerie che sono sopravvissute alla scomparsa dei militari di leva, il circolo dove puoi andare a vedere le partite di calcio in digitale e il tabacchino e l'edicola. Insomma, per me quelle poche centinaia di metri quadrati erano un presepe immobile nel passato e sfocato nel presente: conosco Englaro e Tondo, il sindaco Honsell e Renzulli, l'avvocato Campeis e il dottor Comessatti. E perfino la direttrice de La Quiete, Ines Domenicali. E' la figlia del mio prof di italiano alle medie, che mi insegnò a moderare la scrittura, l'amore per il fumo (fumava in cattedra, allora era normale, con voluttà, e io so che impugno la sigaretta come lui ancora adesso) e un po' di retorica resistenziale (mi diede un tema su Laika, cagnetta nello spazio). Non ha segreti, per me, quel presepe le cui statuine sono ora scomposte sotto i riflettori. Proprio qui, doveva succedere. Nessun segreto, tranne i misteri davanti cui mi arrendo, senza parole.
Il Foglio sportivo - in corpore sano