L'altra Quiete

Giulio Meotti

Mentre sabato Eluana Englaro entrava nel secondo giorno di sospensione dell'alimentazione, come prevede il protocollo medico, venticinque studenti di Udine varcavano le porte della clinica “La Quiete” per portare conforto ai tanti degenti dell'istituto. Un rito che si ripete ogni sabato da molti anni.

    Mentre sabato Eluana Englaro entrava nel secondo giorno di sospensione dell'alimentazione, come prevede il protocollo medico, venticinque studenti di Udine varcavano le porte della clinica “La Quiete” per portare conforto ai tanti degenti dell'istituto. Un rito che si ripete ogni sabato da molti anni. Il responsabile di questa “caritativa” si chiama Simone Milocco. “Ogni sabato, dalle tre alle quattro del pomeriggio, entriamo nella casa di cura. Ogni ragazzo volontario ha sviluppato uno speciale rapporto con i degenti. Ci sono due pazienti, Andrea e Dante, il primo è su una sedia a rotelle e l'altro ha problemi mentali, che quando arriviamo ci seguono ovunque andiamo. Stanno in silenzio ad ascoltare quello che diciamo, cercano un senso nella propria condizione. Andiamo assieme al bar e giochiamo a carte; un altro ragazzo, Nino, ci aspetta seduto e non vede l'ora che arrivi il sabato. Non facciamo nulla di particolare, condiviamo un po' del nostro tempo libero con loro. Non siamo medici o specialisti, facciamo compagnia a questi disabili”.

    Simone di mestiere fa il fisioterapista e  svolge questo servizio di volontariato da circa quindici anni. “All'inizio facevo fatica a stare con i pazienti, non riuscivo a pensare a un bel gesto, col tempo ho imparato a star di fronte alla sofferenza e alla solitudine della malattia. E a vedere la felicità dei pazienti e da parte mia è stato un imparare a fare una cosa gratuitamente, senza che la caritativa portasse a dei risultati concreti”.

    La casa di ricovero “La Quiete” è nata sulla base di alcuni lasciti alla fine del Settecento. Venne resa “pubblica” sotto il regime napoleonico nel 1812. Nel 1935 l'ospizio dei malati cronici fu unito alla casa di ricovero e nacque la Casa di Invalidità e Vecchiaia, nei locali già militari  requisiti a una congregazione religiosa. Forse è per questo, spiega Simone Milocco, responsabile della caritativa che ogni sabato assiste i malati della Quiete, che “gli infermieri della casa di cura si sono rivoltati per quanto sta accadendo a Eluana Englaro, perché la Quiete è un luogo di vita. Ogni volta, all'inizio del turno di volontariato, per me era una fatica, ma alla fine ne uscivo sempre più arricchito. Siamo sempre una trentina di ragazzi. Io avevo sviluppato un rapporto speciale con una signora, Giacoma. Era ferma a letto, stava lì e non si alzava neanche più in carrozzina, si lamentava dei dolori, ma ogni volta che arrivavamo era la donna più felice del mondo. Noi volontari non siamo persone eccezionali, ciò che facciamo è un gesto umano che si ripete di settimana in settimana e da molti anni. Io da loro ho imparato a non aver paura della sofferenza. A questi ragazzi insegno a non pensare di fare cose grandissime per i malati, ma di lavorare sulla fatica, sul dolore e sulla sofferenza. La fedeltà di anno in anno è diventata quindi la cosa più importante. Dalla Quiete sono passati anche i genitori di mia moglie, perché sono quarant'anni che questo rito si ripete. E ho spesso visto una fedeltà maggiore della mia, è come un lavoro goccia a goccia, come un imparare a cercare un significato nella sofferenza”.

    Simone paragona il servizio un po' a quello delle suore di Lecco per Eluana Englaro. “Come le suore di Eluana che l'hanno accudita e nel tempo hanno instaurato un rapporto con lei. Eluana non è un sacco di patate e solo il tempo ha insegnato a queste suore a capirne movimenti e reazioni. La Quiete è sempre stato un luogo di accoglienza, i malati vengono lavati e si dà loro da mangiare, c'è chi non deambula e chi invece è più attivo. Una volta una signora, che oggi non c'è più, mi ha detto: ‘Ma perché io sto così male? Non ha senso'. E non sapevo cosa dirle, ero amareggiato, così le dissi: ‘Non lo chiedere a me, prova a pregare'. Nel tempo lei mi ripeteva che pregava per me e alla fine aggiunse: ‘Adesso sono più contenta'. Nel vecchio edificio alla Quiete ci sono due porte scorrevoli con un atrio. Un paziente, Nino, si mette sempre lì e ci aspetta, ogni sabato. E se saltiamo un turno, la volta dopo ci rimprovera. C'è un'altra signora di nome Italia, ci aspetta sempre, abbraccia i ragazzi, li prende in giro. Un'altra è in uno stato simile a quello di Eluana, il marito va a trovarla tutti i giorni, le porta i dolci per le feste di compleanno, fa baldoria con tutti gli altri malati. E anche nella sofferenza vedi che si riesce sempre a portare anche un po' di gioia. E allora anche tre giorni fa di volontari ne ho portati venticinque. E mentre la Quiete diventava famosa per altri motivi, il nostro sabato si ripeteva uguale, come accade da molti anni”.

    • Giulio Meotti
    • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.