“Il cristianesimo è per sua natura debolezza di fronte alla forza”, dice Baget Bozzo

Maurizio Crippa

“Il problema della chiesa è che non è un'agenzia di stampa, con la possibilità di fare grandi campagne mediatiche. Certo, oggi la cultura cattolica è molto repressa, schiacciata, minoritaria, ma non è questo il punto da cui partire”, ci dice. “E' invece importante vedere il peso che ha avuto il sentimento del popolo sullo svolgimento della battaglia politica attorno al caso Englaro.

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    Non è la chiesa cattolica che è debole, magari fosse solo questo, è proprio il cristianesimo che non è mai sembrato tanto vulnerabile”, scriveva ieri il Foglio provando ad aprire una breccia da sotto le macerie di quel “fortilizio della carità” che l'uccisione per eutanasia di Eluana Englaro pare avere abbattuto, schiacciato con violenza. Una constatazione, fattuale, quella della debolezza del cristianesimo di fronte al trionfo di una concezione della vita, della persona, a esso opposta. Ma anche una provocazione per i cattolici e un invito a riflettere sulla portata storica di quanto accaduto in questi giorni. Don Gianni Baget Bozzo accetta la sfida, provando però a capovolgere la prospettiva che gli viene presentata. “Il problema della chiesa è che non è un'agenzia di stampa, con la possibilità di fare grandi campagne mediatiche. Certo, oggi la cultura cattolica è molto repressa, schiacciata, minoritaria, ma non è questo il punto da cui partire”, ci dice. “E' invece importante vedere il peso che ha avuto il sentimento del popolo sullo svolgimento della battaglia politica attorno al caso Englaro. E' molto significativo che la politica abbia reagito meglio e di più che non la cultura: perché è attraverso la politica, attraverso i politici che sceglie – cioè attraverso la democrazia – che il popolo ancora riesce a esprimersi. Mentre nel mondo dei media e della cultura, il sentimento popolare e cristiano è ormai espulso”.

    Ma proprio perché la chiesa è presente ancora nel popolo “debole e peccatore”, ma non nel potere culturale e mediatico, secondo Baget Bozzo il suo modo di esprimersi non può essere quello della forza, di una battaglia culturale per la quale non possiede i mezzi, né soprattutto la padronanza del campo. Oggi è ben chiaro che dal punto di vista della cultura o dell'educazione, della concezione dell'etica sessuale così come del rispetto della vita umana la visione della chiesa è in crisi, non è più condivisa come nel passato, non riesce a essere comunicata adeguatamente. “E la chiesa deve tenerne conto, non può certo fare uno scisma dal mondo moderno. Deve invece convivere con il sistema di valori che il mondo esprime”. Non certo per accettarli – spiega il sacerdote – ma proprio per consentire al “fortilizio della carità”, cioè alla presenza reale e operativa della chiesa e dei suoi valori, di restare presente nel popolo.

    Ieri però – obiettiamo – il bioeticista Maurizio Mori ha scritto in tono di trionfo che la morte per eutanasia di Eluana “ha rotto l'incantesimo della sacralità della vita”. Non le sembra che il cristianesimo sia di fronte a una débâcle come mai era accaduto prima, la fine stessa della sua visione dell'uomo? “No, non è così – risponde Baget Bozzo, “negazioni della sacralità della vita ce ne sono state anche altre, in passato. Ma, al contrario, proprio il caso di Eluana ha conferamato che quel ‘tabù', come lo chiama Mori, della sacralità della vita resiste, è molto diffuso e sentito. Altrimenti non ci sarebbe stato uno scontro così forte nella politica, né un'emozione così sentita nel popolo. Il popolo ha riconosciuto vero quel valore sacro della vita. Considerando la condizione attuale, direi anzi che è stata forte la resistenza del popolo e della politica. E anche quella della chiesa, nonostante tutta la sua zavorra progressista”.

    Questo non toglie che la debolezza esista, e anzi per Baget Bozzo essa è insita nel cristianesimo, “che è per sua natura debolezza di fronte alla forza, è l'agnello che non si deve ribellare, ma sottomettere, al leone”. Ma proprio per questo, più che alle élite culturali, bisogna guardare al popolo: “A quel popolo di peccatori, debole, che non legge neanche Avvenire, che non è attrezzato per le battaglie culturali, ma che sente un attaccamento di fede e speranza al cristianesimo. E' questa l'unica speranza della chiesa”. Torna sul concetto della politica, del suo legame con il popolo: “E' importante riscontrare che c'è stata una battaglia politica della maggioranza su un tema che, culturalmente, oggi è invece minoritario nella società. Berlusconi si è mosso in un modo che è provvidenziale e ha determinato una scossa potente, una presa di consapevolezza sul tema del rispetto della vita. E sappiamo che lo ha fatto perché ha sentito che i sondaggi – e cioè l'espressione del sentimento del popolo – in questo lo sostenevano”.

    Riassumendo, lei ritiene che non sia il caso per la chiesa di fare battaglie culturali e di fare sentire con forza la sua posizione? “Io capisco la posizione di Ferrara, che ha un valore e un senso precisi, determinati anche da un'ammirazione per la chiesa. Ma queste battaglie sono possibili e giuste per una minoranza intellettuale che si oppone sul piano intellettuale a una maggioranza. La chiesa sa che la sua condizione è difficile perché oggi la cultura è dominata da un'altra visione opposta alla sua, perché la legge naturale non è più riconosciuta, perché è evidente che ci sia una grande crisi morale e di concezione etica. Ma non può fare battaglie in quella forma, farebbe solo dell'integrismo, sarebbe costretta a rifiutare il mondo mentre la sua condizione è di essere dentro al mondo”. Dunque senza alzare la voce, senza “far suonare le campane”? “No, la chiesa fa bene a difendere la resistenza di questo sentimento cristiano presente nel popolo, osteggiato dal cultura oggi dominante nel mondo, con un linguaggio sommesso”. Sommesso? “Così come la chiesa non parla più di conversione nei confronti dell'islam o degli ebrei, ma cerca con essi una convivenza, così non deve sfidare il potere della cultura del mondo. La misura della chiesa non è la sua forza nel mondo, perché la forza è di Dio. Il mondo non è il suo luogo, ‘il mondo è del Maligno', dice san Giovanni. La chiesa lo sa e deve convivere con esso e con i suoi valori”.

    Questo non toglie ovviamente, secondo Baget Bozzo, la centralità cruciale della battaglia che si sta oggi combattendo attorno alle tematiche etiche: “Prima con la concezione della sessualità, poi con l'aborto e l'eutanasia è in gioco proprio la concezione della sacralità della vita e della persona umana. Ma dire sacralità della persona significa dire la sua origine divina. Dunque oggi è chiaro che la battaglia sulla vita è nient'altro che la battaglia su Dio. Bisogna farla, ma la chiesa la deve condurre nel modo che è suo, cioè attraverso la sua debolezza, convivendo con il mondo, non sfidandolo. Proteggendo la persistenza di quel popolo peccatore, disorganizzato culturalmente, ma che sente il fascino del cristianesimo”.

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    • Maurizio Crippa
    • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

      E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"