Pure Alemanno si gode la chiccheria dell'affaccio

Stefano Di Michele

Neanche il Dalai Lama l'ha scampata. E magari, neanche era la prima volta. Tira pure vento, nuvoloni sulla testa, il sant'uomo è di sicuro vestito leggero ma a una sortita sul balconcino non si sfugge. Basta che uno viene a Roma, passa a trovare il sindaco e inevitabilmente arriva l'invito all'affaccio.

    Neanche il Dalai Lama l'ha scampata. E magari, neanche era la prima volta. Tira pure vento, nuvoloni sulla testa, il sant'uomo è di sicuro vestito leggero – con la sua bellissima tunica arancione – ma a una sortita sul balconcino non si sfugge. Basta che uno viene a Roma, passa a trovare il sindaco – chiunque sia, da Rutelli a Veltroni a Alemanno – e inevitabilmente arriva l'invito all'affaccio. Non che l'affaccio non meriti (come dice il sindaco, “sembra di stare al centro del mondo”), con la distesa dei Fori e i gli alberi e una luce difficile da immaginare, ma quel balconcino perennemente affollato di vip – quasi più numerosi dei piccioni che bazzicano intorno – comincia a diventare piuttosto ripetitivo. L'occhio, si capisce, vuole la sua parte – e indubbiamente lo stupore di chi guarda la prima volta è sempre garantito. L'ultimo sindaco democristiano, Pietro Giubilo, a un cronista che gli chiedeva se si decideva a dimettersi, spalancò il balcone dello studio in Campidoglio, con un gesto della mano abbracciò il monumentale spettacolo, e mormorò: “Secondo te, è possibile abbandonare tutto questo?”.

    E se quella fu un'indovinata suggestione, fu in seguito che cominciò la transumanza verso il romantico approdo. Sarà un pizzico di tradizione canterina locale (“affaccete Nunziata, boccuccia de cerasa”), saranno due pizzichi di giustificata vanità, ma l'andare a venire con gli anni si è fatto frenetico. Se Francesco Rutelli – e certe scelte future magari trovarono suggestione in quei tramonti spirituali – scortò alla ringhiera sia Giovanni Paolo II sia Chiara Lubich, è stato soprattutto negli anni di Veltroni che il ritmo ha subìto una decisa accelerazione. Certo, c'è da dire che, senza offesa, se uno sta nell'ufficio del sindaco di Milano e apre la finestra, che potrà mai vedere – e mica per caso l'ex sindaco di Roma vi condusse pure la Moratti, in visita nella Capitale. Capi di stato a pioggia, intere scolaresche (che successivamente ne davano conto nei loro temi scolastici), tutti quelli della Costituzione europea (e persino Berlusconi, di fronte alla bellezza, dentro e fuori, del palazzo del Campidoglio, ebbe un momento di giustificato rosicamento), delegazioni del popolo Saharawi, pensa tu.

    Ovviamente Ingrid Betancourt, l'allenatore Cesare Prandelli promesso alla Roma, tutta la squadra della Roma quando vinse lo scudetto. Ma, soprattutto, ogni ben di Dio hollywoodiano di passaggio in zona, da Tom Cruise e signora a Russel Crowe, già di suo gladiatore, da Bob De Niro a Leonardo DiCaprio, fino a Benigni – gloria veltroniana, gloria italiana e gloria americana. Una contabilità infinita, quella degli affacci veltroniani al piccolo balconcino. E Alemanno, si capisce, non vuol essere da meno: se l'altro giorno ha scortato il Dalai Lama, veltronianamente aveva già accompagnato a rifarsi gli occhi tanto De Niro (che ormai c'ha fatto il callo) quanto Al Pacino – così, in stratosferica coppia. Poco prima del cambio di maggioranza, proprio Veltroni invitò lo stesso Alemanno a rimirare il paesaggio. “Vedi, su questo balconcino c'era un pulsante che ora non funziona più, ma ai tempi della Prima Repubblica il sindaco poteva accendere di persona la luce sui Fori”. In ogni modo, il continuo affaccendarsi presso il balcone capitolino, ormai quasi un rituale, di sicuro ha fatto registrare l'avvenuto riaccreditamento democratico del suggestivo manufatto. Perché a pochi passi da lì, c'è un altro balcone.

    Anzi: il Balcone. Quello di Palazzo Venezia, quello ducesco delle reni spezzate e delle decisioni irrevocabili – democraticamente infrequentabile. Giusto il 28 ottobre, a Msi ancora vivente, qualche camerata in corteo vi tendeva virilmente il braccio. Così i balconi, per decenni, sono stati con saggezza evitati. Casomai, meglio il predellino. Solo Teodoro Buontempo, quando ancora era in An, temerariamente si fece riprendere dal balconcino della casetta nel natio paesetto abruzzese, dando vita a un memorabile “discorso alla nazione dal balconcino di Carunchio” mezzo secolo e passa dopo i troppi discorsi da quello di Palazzo Venezia. Perciò, se a nessun politico verrebbe in mente di affacciarsi là dove il duce s'affacciava e proclamava, è affannosa corsa verso quello del Campidoglio. Romanamente dà sui Fori, ma politicamente mai fu compromesso con l'ora segnata dal destino, ecc… ecc… E allora meglio il Dalai Lama. O un vaso di gerani.