Ritorno al 2001?

Come il Cav. riemerge dalla palude, i suoi fidi alleati lo trascinano giù

Salvatore Merlo

Il presidente del Consiglio non fa in tempo a riemergere con la testa sul pelo dell'acqua, per rivendicare d'essere pur sempre il capo del governo, che subito i suoi alleati lo trascinano giù e lo costringono pure a rimangiarsi le parole: “Con Napolitano va tutto benissimo”, ha ripetuto giovedì Berlusconi.

    Il presidente del Consiglio non fa in tempo a riemergere con la testa sul pelo dell'acqua, per rivendicare d'essere pur sempre il capo del governo, che subito i suoi alleati lo trascinano giù e lo costringono pure a rimangiarsi le parole: “Con Napolitano va tutto benissimo”, ha ripetuto giovedì Berlusconi. Ma cosa aveva detto il Cav.? Lui chiede che lo si lasci governare un po', dice che “la Costituzione non è un moloch intangibile”, spiega che forse la Carta ha qualche anno di troppo, che risente delle paure “post dittatoriali”, insomma – dice – forse ci sono davvero quei “lacci e lacciuoli” che soffocano il decisionismo. E ciò non significa, per carità, che la Costituzione la si debba cambiare per forza, perché la si può anche conservare imperfetta com'è, ma almeno – chiede Berlusconi – Napolitano e gli altri mi lascino fare i decreti quando li ritengo opportuni. Tutto qua. Ebbene, il presidente del Consiglio non ha fatto in tempo ad alzare il capino al di sopra della palude istituzionale, che è stato subito tirato al fondo, trascinato per le gambe da Gianfranco Fini, prima, e poi scoraggiato da una rasoiata inattesa di Umberto Bossi: “Napolitano è una garanzia. La Costituzione non si cambia”. E non fosse chiaro: il presidenzialismo vagheggiato talvolta dal Cav. “si può fare solo rispettando gli equilibri tra poteri” e insomma Berlusconi la pianti di “creare tensioni” perché il federalismo, e l'acquiescenza del centrosinistra, sono più importanti.

    Questi i fatti. Ma che succede? Si ripropongono forse le meccaniche del 2001, con Fini nei panni di Pier Ferdinando Casini e Bossi (di cui intorno ai valori costituzionali si ricorda la celebre frase: “Col tricolore mi ci pulisco il culo”) legato da un inedito asse alla presidenza della Repubblica? Pare di sì. Ma se l'irritazione di Fini nei confronti di Berlusconi risale almeno a novembre, ovvero all'approvazione in nove minuti della Finanziaria blindata – “deprecabile il ricorso alla fiducia”, cominciò a ripetere il presidente della Camera prima di rivolgere la propria attenzione anche “all'eccessivo ricorso alla decretazione d'urgenza” – le durezze di Bossi sono un fenomeno più recente. Già a dicembre, col federalismo bloccato da una settimana in commissione al Senato, Bossi rimbrottò bonariamente il Cav. per un'uscita “infelice” su Veltroni. Da allora è comiciato il lavorio diplomatico di Roberto Calderoli sul Pd, e la sensibilità della Lega nei confronti del centrosinistra è diventata cosa pubblica. Tant'è che questo lunedì è stato proprio a Bossi che si è rivolto nell'Aula del Senato il capogruppo del Pd Anna Finocchiaro, quando ha minacciato la maggioranza esclamando che “le cose non saranno più come prima”. Parole sibilline, rese esplicite il giorno successivo: “Il mio è stato un messaggio generale – ha detto – che riguarda i grandi temi su cui stiamo lavorando insieme, dal federalismo alla modifica dei regolamenti parlamentari”.

    Finocchiaro, protagonista dell'astensione-assenso che il Pd ha concesso alla Lega in Senato sul federalismo fiscale, ha messo in dubbio il contributo del Pd all'approvazione della riforma che più sta a cuore ai padani. Un avvertimento che giovedì ha rafforzato anche Massimo D'Alema: “Il federalismo non è una panacea universale. A forza di federalizzare, una mattina ci sveglieremo e scopriremo che non siamo più una nazione. Con svantaggi per tutti”. Da qui nasce la risoluzione di Bossi, al quale è bastato sentire al telefono la voce preoccupata del proprio capogruppo in commissione Bilancio alla Camera, dove di federalismo si discute in questi giorni, per sciogliere ogni indugio e mettere il muso a Berlusconi. Alla fine al Cav. sono arrivati segnali da più direzioni, persino Roberto Maroni giovedì ha voluto ricordare, intervistato dal Foglio, che “il federalismo è la ragione dell'alleanza col Pdl”.

    Così lui, il Cav., in televisione, ha fatto una parziale marcia indietro. Abbastanza perché la Padania potesse scrivere in prima pagina che “Bossi è sempre più calato nei panni dello statista responsabile, dell'alfiere di un understatement istituzionale a lungo desiderato”. Eppure gli alleati non offrono solo bavagli a Berlusconi. Provano a rabbonirlo, anche. Bossi sa – come lo sa Fini – che Napolitano non è Scalfaro e che, al contrario, la sponda del Quirinale può essere utile a contenere certi riflessi condizionati del centrosinistra. La triangolazione istituzionale – Fini lo ha spiegato privatamente ad Altero Matteoli mercoledì scorso – può infatti spianare la strada anche alle riforme più care al premier (la Giustizia).

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.