L'opera struggente di un formidabile Genoa

Beppe Di Corrado

E' quella voce un po' roca. Calma, tranquilla. Come fa a essere sempre così sereno? A Roma l'hanno cacciato perché ha detto che Totti si tuffa. Una volta ha perso la pazienza Gian Piero Gasperini. Una. S'è già pentito, sicuro. Non di quello che ha detto, ma di come l'ha detto.

    E' quella voce un po' roca. Calma, tranquilla. Come fa a essere sempre così sereno? A Roma l'hanno cacciato perché ha detto che Totti si tuffa. Una volta ha perso la pazienza Gian Piero Gasperini. Una. S'è già pentito, sicuro. Non di quello che ha detto, ma di come l'ha detto. Non suo, non naturale, non autentico. Chi era quello? Lui diverso. Forse per questo non l'hanno punito: panchina, domenica. Non è stato squalificato, così niente messaggi in codice dalla tribuna, niente auricolare con l'amico Bruno Caneo dall'altra parte del telefono. C'è la Fiorentina, c'è Prandelli che è il più simile a lui: stesse storie da allenatori nati con i ragazzi delle giovanili, solo che Cesare è arrivato prima dove Gian Piero sta arrivando adesso. Perché ora è tutto un coro di sorpresa: “Il miglior calcio d'Italia quest'anno lo gioca il Genoa di Gasperini”. Come se fosse un'assurdità, come se fosse un controsenso. Perché non ci si rassegna all'idea che la palla gira meglio in una squadra “media” che in una grande.

    La sconfitta di Roma non vuol dire nulla, si ricomincia da Marassi e dalla Fiorentina che sta lì accanto al Genoa a un passo dalla Champions League. Non può non crederci Gian Piero e allora lo fa da un po', da quando il presidente Preziosi s'è messo in disparte e gli lascia fare tutto da solo: Europa sarà e forse quella di lusso. Non gli costa nulla provare, né a lui, né alla squadra, né al club. Quindi va, con quei capelli folti, ma bianchi che lo fanno apparire più vecchio di quanto sia davvero. Ha 51 anni, Gasperini. Un decennio di pallone ancora davanti. Quante cose si possono fare fino al 2019? Non si possono neanche contare: dieci campionati sono 380 giornate, una vita di pallone, di idee, di interviste, di passioni. Ha già cominciato, dall'anno scorso. Non se l'aspettavano neanche i genoani che sarebbe rimasto così a lungo. Quest'anno erano partiti scettici: la partenza di Borriello, l'arrivo di Mesto e Modesto, il ritorno di Milito. Sospettosi, come spesso succede da quelle parti, angosciati dall'idea che la Sampdoria fosse più forte, più preparata, più pronta nei derby, più capace di volare in alto. Invece no. Ai piedi di Gian Piero, ad abbeverarsi di calcio. L'ha detto anche Mourinho: “Devo fare i miei complimenti al Genoa. Gioca un grande calcio”. L'ha detto anche Ancelotti: “Non smettono mai di crederci”. L'ha detto anche Ballardini che pochi giorni fa è stato schiantato non nel punteggio, ma nell'idea, nella tattica e nella tecnica: “Il Genoa ha meritato, ha giocato benissimo”.

    Dove lo trovi uno più apprezzato? Piace a tutti, perché non rinuncia, perché ci prova, perché se la batte alla pari. Gli hanno ricordato tutti Osvaldo Bagnoli e il suo Genoa di inizio anni Novanta, quello della Coppa Uefa, di Anfield, della sconfitta al pelo con l'Ajax. Gaspe vuole fare di più. Impossibile? Non lo puoi dire: se ce la fa a fare il miracolo del quarto posto, Bagnoli potrà essere archiviato. Lì, al suo posto, nella storia, nel passato. Ieri, perché è arrivato un oggi altrettanto bello. Funziona tutto. Funziona un club dove quest'anno sembra tutto perfetto. Raccontano il mondo Genoa. Raccontano lui: “Gian Piero Gasperini, capace di disegnare splendide formazioni e splendide giocate, proprio come architetture mirabili. Capace di trasformare il calcio in un'opera d'arte. Che ti sembra ancor più bello se sei abituato a guardare calcio che sta all'architettura come la diga di Begato o le Lavatrici stanno alla bellezza delle strutture di Valencia. Quando segni di tacco, anche il rude Jankovic e persino Juric ti sembrano bellissimi, quasi fossero la continuazione in campo delle Storace's-girl, le ragazze che scortano in tribuna l'addetto stampa rossoblù Dino Storace o che  trasmettono su Genoa-live, la bruna sensualissima, la bionda dolcissima, la Lavinia elegantissima e tutte le altre, trasformando il Ferraris in una  specie di passerella. Quando segni di tacco, persino l'oscena fascetta per i  capelli sfoggiata da Alessio Scarpi a San Siro, sembra roba da sfilata di  moda. Quando segni di tacco, tutto ti sembra più dolce”. Il Genoa va e la sua tranquillità è direttamente proporzionale all'assenza di Preziosi. E' tornato a fare il presidente puro, senza eccessi, senza follie, senza dichiarazioni, senza giochi. La faccia adesso è questo signore in bianco che nessuno ricordava e conosceva e che adesso tutti non vedono l'ora di incrociare.

    Come fa a giocare così? Come funziona il suo modello? L'altro giorno il Corriere della Sera ha affidato a Roberto Perrone, genovese e genoano, il compito di spiegare: “Non solo Milito. Nel senso che poteva avere buona compagnia (oltre a quella che ha). Era del Genoa anche Ezequiel ‘Pocho' Lavezzi (poi venne l'11 giugno del 2005, il Venezia, la retrocessione) e ieri il presidente Enrico Preziosi ha rivelato che, in passato, aveva intercettato (in modo del tutto legale), brevemente, anche Leo Messi. Non solo Milito. Nel senso che quello che potrebbe diventare il miglior Genoa del dopoguerra non si affida solo al talento ma anche alla programmazione. Con Preziosi e l'amministratore delegato Alessandro Zarbano, si è visto il primo bilancio del Grifo col segno “più” da 38 anni. Quando Gian Piero Gasperini dice che “il Genoa è una grande società non parla pescando frasi fatte dal  manuale Cencelli dell'allenatore medio. Parla dagli uffici di Villa Rostand a Pegli, dove si ferma a studiare video e carte e a discutere con il suo staff, dal vice Bruno Caneo ai collaboratori tecnici Tullio Gritti e Maurizio Venturi, dai preparatori atletici Alessandro Pilati e Luca Trucchi al resto dello staff. Pilati e Trucchi allenano i giocatori del Genoa anche con esercizi mutuati da discipline sportive diverse dal calcio, come basket, judo e boxe, utili per rinforzare tronco e arti superiori e quindi per sfruttare le situazioni da fermo (9 gol di testa, 11 in totale da calci piazzati). Il Genoa cricket and football club si aggrappa alla tradizione e insegue la modernità. Due le direttive: interna e esterna. L'attenzione per il settore giovanile è stata sempre una costante nella storia rossoblù, ma ora è stata rafforzata con il progetto “Scuola Calcio Genoa Cfc - Barabino & Partners”: 120 bambini delle leve 1996-2000 divisi in cinque rappresentative. Il Genoa è il primo club italiano ad avere uno sponsor specifico (l'agenzia di comunicazione d'impresa di Luca Barabino, consigliere genoano) che investirà 150 mila euro in tre anni fornendo il supporto tecnico al progetto. Altre novità: un comitato di sorveglianza sui criteri di gestione etica della scuola calcio; e un premio di valorizzazione per chi segnalerà giovani talenti che riusciranno a debuttare in prima squadra. Il settore giovanile è nelle mani (e negli occhi) di Michele Sbravati, lo scopritore di El Shaarawi, padre egiziano, mamma savonese, il più giovane esordiente nella storia del Genoa (16 anni, 1 mese, 24 giorni); del ghanese Cofiè; del portiere Perin, tutti sedici/diciassettenni.

    Il Genoa ha un forte rapporto con il Sudamerica. Il direttore generale Fabrizio Preziosi è stato laggiù anche recentemente per un giro di pubbliche relazioni a futura memoria. L'uomo sempre al centro. Per il resto c'è la tecnologia. La società specializzata Wi Sport dal 2004 collabora con il Genoa (e anche con altre società di serie A). A ogni partita interna al Ferraris vengono effettuate riprese video da tre diverse angolazioni per Gasperini. Di più: il Genoa adotta lo stesso sistema video per studiare le mosse della squadra Primavera. Inoltre la Wi Sport ha creato un archivio on line con oltre 30 mila giocatori di tutto il mondo raccogliendo filmati e informazioni per supportare lo scouting del club. No, il caso, nel quarto posto del Genoa, non c'entra nulla”.

    Gian Piero s'è infilato nel sistema, lui che dal sistema nasce. Perché è nato e cresciuto nella Juve: a nove anni partecipò a una selezione al Combi di Torino. Fu scelto, ma tenuto fermo una stagione. Nove anni di settore giovanile: uno scudetto Allievi nazionali nel 1975 vinto contro l'Atalanta e l'anno dopo la finale Primavera persa contro la Lazio di Giordano e Manfredonia, all'Olimpico davanti a trentamila spettatori. Aveva come compagni Paolo Rossi, Zanone, Brio, Miani, Marocchino, Marangon, Chinellato, Verza, Schincaglia, Chiarenza. Poi, l'esordio in prima squadra: “Me lo ricordo bene perché segnai il gol del pareggio contro il Lecce, in Coppa Italia”. Era entrato al posto di Franco Causio. La Juve dentro. Da giovane e da adulto. E' tornato quando ha finito di viaggiare da calciatore, dopo Reggio Emilia, Palermo, Cava dei Tirreni, Pistoia, Pescara (“Ho conosciuto la zona di Catuzzi e quella di Giovanni Galeone, ma soprattutto la serie A”). E' tornato per fare l'allenatore. All'origine, a casa, perché è di Grugliasco e ha una famiglia legata a filo doppio con gli Agnelli: il padre lavorava nell'indotto Fiat e tifava Juventus. L'anno del rientro era il 1993: “Sono stato alla Sisport con una squadra esordienti, poi sono entrato nel settore giovanile”. Due anni con i Giovanissimi, due con gli Allievi, poi la Primavera: 1998, Viareggio. Gian Piero alla prima vittoria della vita da allenatore. Il sistema Juve è finito in quel momento, per lui. E' andato via, è andato a Crotone. E' stato il salto, è stata la fortuna. Perché senza Crotone non ci sarebbe stata Genova. “Moggi all'inizio non accettò il fatto che me ne fossi andato e non mi mandava nessun giovane della Juventus”. Poi gliene ha mandati una manciata, compreso Sculli. Lo stesso che s'è portato al Genoa e che ha trasformato in un giocatore da squadra europea. E' una delle caratteristiche di Gian Piero, questa: prende ragazzi che sembrano bruciati e li mette a posto. Tipo Borriello, che l'hanno scorso con lui ha fatto la migliore stagione della sua vita, mentre tutti lo davano già per promessa mai realizzata. Oppure Figueroa che Preziosi definì così: “Il giocatore con più classe di tutta la nostra rosa. L'ho comprato rotto, l'avevo visto giocare sano”): nella stagione della promozione dalla B alla A, Gaspe lo fece tornare quello che era. Poi Rubinho, ex fenomeno nel Corinthians, arrivato tra lo scetticismo di tutti per un problema alla vista e diventato portiere di A. E De Rosa? E Milanetto? E Thiago Motta? Miracoli uno appresso all'altro. Questo di Motta l'ultimo. Bruno Caneo, il vice di Gasperini, qualche settimana fa ha raccontato la svolta: “Quando è venuto qui aveva paura della sua ombra, ora è tornato un grande”. Funziona così anche con i collaboratori.

    Prendi proprio Caneo: è l'altra faccia di Gasperini. Si conoscono dai tempi del Palermo: “Vivevamo nella stessa villa bifamiliare. Non ci siamo mai persi di vista e poi siamo entrati ancora più in confidenza quando io allenavo la Primavera del Parma e lui quella della Juventus. Poi quando ero osservatore del Chievo andavo a vedere molte gare di B e a lui raccontavo magari come giocava l'avversario di turno. Gian Piero era al Crotone dove non c'erano grossi mezzi, però dopo averci pensato un po' mi ha chiamato a lavorare con lui”. Stanno insieme, fuori dal campo e soprattutto dentro. Si lavora: la tattica, le idee, i movimenti, la tecnica. Questa è un po' la scuola Galeone, la stessa che ha portato in alto anche Massimiliano Allegri: non si inventa più niente, ma si può migliorare quello che c'è. Poi ci sono le leggende. Come quella dell'ispirazione arrivata leggendo ‘L'arte della guerra' di Sun Tzu. Gaspe disse questa frase alla Gazzetta dello Sport: “E' un libro sulla guerra, ma anche qualcosa in più. Interpretando questa filosofia orientale ci si accorge subito che insegna ad affrontare le situazioni della vita di tutti i giorni e pure, spesso, quelle che offre una squadra di calcio. C'è quella massima: ‘Sapersi difendere rende invincibili, ma per vincere occorre saper attaccare'”. Da allora tutti a Genova raccontano che Gian Piero è diventato un condottiero leggendo Sun Tzu in pigiama a letto. E' bello crederci.

    Vale molto di più della verità, ovvio. Vale di più dell'idea che Gian Piero è un “secchione” della panchina, tanto che quando era a Crotone e nessuno lo conosceva era comunque insegnante nel corso per allenatori della Figc. Però perché rovinare una bella storia? Se vogliono credere che il Genoa in Europa affonda le radici in un'ispirazione in un papiro del Terzo secolo, allora che lo credano. Gasperini lascia fare, tanto lui lo sa dov'è che nasce tutto questo: la testa, le idee, il gruppo, la società. Non è avvincente, è vero. Appartiene di più a lui, solo questo. Gian Piero è la banalità della bravura: uno che s'è fatto senza pretendere e che ha chiesto solo per fare. Lassù, tra le prime sei del campionato, è quello che mancava. C'è un guru, un ex campione, un allenatore di carriera e un mister. Cioè Mourinho, Ancelotti, Ranieri, Prandelli. Poi lui. “Oltre l'80 per cento del lavoro che faccio oggi è lo stesso che facevo coi ragazzini. Cambiano solo dosi e difficoltà. Non cambierei in una grande. C'è gente migliore di me anche nelle serie inferiori e l'allenatore che ho sofferto di più quest'anno è Allegri. Il Cagliari mi ha impressionato. Gioca bene. Riflette la qualità del tecnico”. La voce è sempre quella roca e tranquilla. L'ha ereditata dal padre, Giuseppe che a 84 anni non ha smesso di amare il calcio: “Quando vinco, mette la bandiera del Genoa fuori dalla finestra”. Tifa Juventus, il padre. Forse anche lui. Ora non si può dire, ma è diviso. Torino, Genova, la Zebra, il Grifone. Vive ad Arenzano, che per uno cresciuto nella cintura di Torino, dev'essere come avere un orizzonte sul mondo. Gli è venuta voglia di viaggiare da quando è a Genova: “Quando finirò spero di girare il mondo, magari andando a guardare giocatori ovunque”. Quando finirò, certo. Ci vogliono più di dieci anni, perché i capelli bianchi solo tra un po' cominceranno a non rendergli più ingiustizia. Allora di nuovo: quante cose si possono fare fino al 2019? Non si possono neanche contare. La stella con il Genoa o una Champions con la Juve? “Il decimo scudetto del Genoa è un sogno. Oddio, anche una Champions alla Juve…”. Magari si mischiano le cose. Quinto posto, meno uno dall'Europa vera. Perché no? Sugli autobus di Genova fanno girare lo slogan “Dio non esiste”. Gian Piero non ha gradito e continua a non gradire:  “Lo trovo di cattivo gusto. Se ne trovo uno senza quella pubblicità, preferisco. Però se passa uno con la scritta ‘credi nella Champions?' Lo prendo al volo”.