Storia di Paula, l'antropologa con l'elmetto a caccia di talebani

Giulio Meotti

Paula Lloyd era in missione presso Kandahar, la città santa del talebanesimo afghano. Aveva appena avvicinato un abitante di un villaggio quando è stata assalita e un guerrigliero islamico le ha dato fuoco. Il suo team stava lavorando a numerosi progetti di infrastrutture e di assistenza umanitaria. Un contractor che la accompagnava ha prima arrestato e poi giustiziato il guerrigliero che la aveva arsa viva.

    C'è chi l'ha già paragonata all'antropologa Cora DuBois, che guidò la resistenza contro i militaristi giapponesi nel Sudest asiatico. L'etnografa Paula Lloyd è la terza vittima dello “Human Terrain Team”, gli studiosi con l'elmetto al servizio del Pentagono in Afghanistan nella guerra contro i talebani. Circa un anno fa, il ministero della Difesa americano aveva lanciato queste unità di antropologi al fronte che lavorano come consiglieri culturali. Il direttore del progetto, il colonnello Steve Fondacaro, la chiama “conoscenza al servizio della libertà umana”. L'antropologia “embedded” è frutto del cambio di strategia del generale David Petraeus che dopo l'Iraq, come capo del Centcom, ha scommesso sulla necessità di una consulenza culturale sul nemico. Nel team di Petraeus ci sono islamologi, etnografi e storici militari. Lo Human Terrain fa parte del Progetto Minerva del Pentagono, è il più ambizioso coinvolgimento delle accademie dai tempi del conflitto in Vietnam.

    Il ministro della Difesa, Robert Gates, ha paragonato Minerva ai progetti di capitale intellettuale della Guerra Fredda. Psicologi, demografi, storici, linguisti, antropologi e sociologi si sono messi l'elmetto e sono stati  inviati nei fronti di guerra, a cominciare dall'Afghanistan. Come storico della Russia, Gates fu uno dei beneficiari dei primi fondi governativi alle università. Gli esperti parlano con le tribù, traducono i documenti dei terroristi e della guerriglia, studiano la propaganda del nemico e così via. E' così scoppiata la “guerra degli antropologi”, dopo quella contro gli arabisti che nel 2003 accettarono di consigliare la Casa Bianca sull'Iraq. Allora la stampa liberal si scagliò contro lo storico Bernard Lewis, lo sciita libanese Fouad Ajami e l'iracheno Kanan Makiya, che l'intellettuale palestinese Edward Said accusò di “collaborazionismo”. La stessa accusa ora viene rivolta agli accademici dello Human Terrain Team.

    Paula Lloyd era in missione presso Kandahar, la città santa del talebanesimo afghano. Aveva appena avvicinato un abitante di un villaggio quando è stata assalita e un guerrigliero islamico le ha dato fuoco. Il suo team stava lavorando a numerosi progetti di infrastrutture e di assistenza umanitaria. Un contractor che la accompagnava ha prima arrestato e poi giustiziato il guerrigliero talebano Abdul Salam, colui che aveva arso viva Paula. Don Michael Ayala, questo il nome del contractor americano di una compagnia che ha sede in Virginia, rischia ora quindici anni di prigione per omicidio e violazione delle regole d'ingaggio. Il processo è al centro di un grande dibattito negli Stati Uniti. Soprattutto per aver gettato nuova luce sulla realtà e il sacrificio degli antropologi embedded. Per Ayala, da molti chiamato “eroe” e che aveva fatto pure da guardia del corpo del presidente afghano Hamid Karzai, si stanno muovendo anche studi legali conservatori.

    Paula Lloyd aveva spiegato così il suo rifiuto di portare il velo nei villaggi afghani. “Il fatto che io sia una donna non significa che debba portare il burqa, devono prendermi come sono”. “Ci sono persone malvage che là fuori non volevano che Paula avesse successo”, spiega il colonnello Fondacaro. Come per Paula, era certamente l'amore per la cultura afgana che spinse Michael Bhatia a partire per Kabul assieme alle truppe americane. Bhatia, che insegnava presso la Brown University, fu la prima vittima fra gli accademici arruolati dal Pentagono. “E' più eroe di ogni altro soldato” ha detto Fondacaro. “Grazie a lui migliaia di persone sono vive oggi. Voleva salvare le vite dei soldati e del popolo afghano”.  Poi venne Nicole Suveges, uccisa in Iraq dopo che aveva scritto: “Amo il mio lavoro”. Molti afghani ricordano con amore l'impegno di Paula Lloyd per costruire ponti e dighe a Kandahar. L'immagine di questi antropologi ha suscitato scalpore nell'accademia americana. Hugh Gusterson insegna assieme ad altri colleghi ha pubblicato un manifesto per boicottare le squadre antropologhe. Il processo che ha condotto alla creazione delle squadre è cominciato verso il 2003, quando gli ufficiali americani in Iraq hanno protestato perché avevano poche informazioni sulla popolazione locale. I funzionari del Pentagono si sono messi in contatto con l'antropologa Montgomery McFate, un'ex hippie della Bay Area cresciuta in casa di Lawrence Ferlinghetti. La quale spiega che “in nome di una ermeneutica critica, sostenuta da un neomarxismo autoriflessivo, l'antropologia ha avviato un brutale processo di flagellazione”.

    Secondo l'antropologa, il meglio di sé questa scienza lo ha dato durante la Seconda guerra mondiale, quando molti accademici lavorarono per l'Office of Strategic Services. Un antropologo di Harvard, Carleton Coon, formò la resistenza marocchina ai nazisti. L'etnologo inglese Tom Harrrison si fece paracadutare nel Borneo per addestrare la guerriglia antigiapponese. L'inglese Gregory Bateson trascorse molti anni nella Nuova Guinea e lavorò assiduamente per l'Oss. Bateson prese parte a operazioni di salvataggio di membri dell'Oss. Nella guerra del Vietnam c'era l'antropologo Gerald Hickey, scrisse intense pagine di frustrazione perché gli americani non accolsero i suoi suggerimenti su come trattare la popolazione vietnamita. Al suo ritorno negli Stati Uniti, non riuscì a trovare un incarico accademico, tale era il boicottaggio delle grandi università, all'epoca centrali del pacifismo. “Non militarizziamo l'antropologia, ma antropologizziamo l'esercito” dice McFate.

    Ma in fondo il programma getta le sue radici nella figura straordinaria di Gertrude Bell, la grande esploratrice, archeologa e linguista inglese che da consigliere dell'Alto commissario britannico a Baghdad, amata e voluta da Winston Churchill, si inventò di sana pianta l'Iraq moderno. Grande alpinista e arabista, Bell era nota a molti come la “regina senza corona di Baghdad”, dove dimorano le sue spoglie. Sono i successi in Afghanistan a dimostrare, come ha detto McFate, che “l'antropologia può essere più utile dell'artiglieria”.

    • Giulio Meotti
    • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.