Il boicottaggio di Bush e la promessa di Hillary Clinton

Obama apre a Durban II, bolgia antisemita sotto l'egida dell'Onu

Giulio Meotti

Una delle migliori decisioni di Colin Powell come segretario di stato fu di boicottare la conferenza Onu di Durban del 2001 contro il razzismo, non appena fu chiaro che l'evento sarebbe stato trasformato in un vergognoso proscenio antisemita. Una delle migliori mosse della nuova amministrazione Obama sarebbe stata quella di restare completamente al di fuori del sequel di Durban.

    Una delle migliori decisioni di Colin Powell come segretario di stato fu di boicottare la conferenza Onu di Durban del 2001 contro il razzismo, non appena fu chiaro che l'evento sarebbe stato trasformato in un vergognoso proscenio antisemita. Una delle migliori mosse della nuova amministrazione Obama sarebbe stata quella di restare completamente al di fuori del sequel di Durban, che si svolgerà ad aprile a Ginevra. Invece la Casa Bianca ha annunciato che prenderà parte ai lavori della commissione. Il dipartimento di stato con Hillary Clinton ha già detto che invierà diplomatici per lavorare al testo della conferenza. “Gli Stati Uniti hanno deciso di mandare una delegazione per lavorare al documento della conferenza, in linea con il nostro impegno per la diplomazia”, recita una nota del dipartimento di Stato. Della squadra di Obama a premere a favore di Durban sono stati soprattutto Samantha Power del National Security Council e l'ambasciatrice al Palazzo di Vetro Susan Rice. Era stata la stessa Clinton il 28 febbraio del 2008 a promettere in campagna elettorale: “Non dobbiamo partecipare a una conferenza che possa essere sequestrata da un'agenda d'odio”. Obama ha deciso di impegnarsi sul documento.

    La prima volta a Durban fu una tragedia farsesca, con folcloristici attivisti sudafricani, arabi e musulmani del posto e militanti dell'internazionale islamista che sfilavano per la conferenza cantilenando “quello che abbiamo fatto all'apartheid in Sudafrica deve essere fatto al sionismo in Palestina”. Amnesty International e Human Rights Watch furono semplici spettatori di quella bolgia di odio. Soltanto gli interventi del Canada, di Israele e degli Stati Uniti impedirono che nel documento si inserisse la dichiarazione “sionismo uguale razzismo”, che solo dieci anni prima era stata cancellata dall'Onu per rimediare allo scempio del 1975. Con l'annuncio di una partecipazione americana al testo della conferenza, svanisce la speranza che Obama volesse mandare un segnale forte ai negazionisti di Durban, Iran e Libia in testa. I repubblicani americani c'erano andati giù duro, ribattezzando l'Onu “la Gestapo dell'islam”, per aver accolto nell'agenda di Ginevra la dichiarazione contro l'islamofobia imposta dalla Conferenza islamica.

    Il premier canadese Harper e ovviamente lo stato d'Israele avevano già deciso di boicottare Durban II, mentre l'Italia era ferma a una dichiarazione di intenti contro la spettacolarizzazione antisemita della conferenza. La bozza della dichiarazione dice che la politica israeliana nei confronti dei palestinesi equivale a “una nuova forma di apartheid, un crimine contro l'umanità, una forma di genocidio e una seria minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale”. La bozza si cela sotto le mentite spoglie della protezione delle religioni (leggi: l'islam) dalla “diffamazione”. L'intero occidente finirà sul banco degli imputati per le sue presunte persecuzioni contro i musulmani. E il circo ricalcherà quello del 2001.

    Il fatto significativo è che otto anni fa George W. Bush e Colin Powell abbandonarono Durban quando si era ancora in clima pre-11 settembre, a soli quattro giorni dall'attentato alle torri gemelle, in un momento quindi di quiete e stasi nelle relazioni fra islam e occidente. Obama ha invece fatto la sua scelta dopo otto anni di guerra al terrorismo e soprattutto dopo l'elezione di Ahmadinejad alla presidenza iraniana e la sua ricandidatura alla guida della Rivoluzione islamica. La conferenza di Ginevra è organizzata dal Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite che, come i suoi già screditati precedessori, come la Commissione sui Diritti Umani, è stata “rilevata” dai più grandi prevaricatori di diritti umani del mondo.

    L'Organizzazione della Conferenza Islamica, il più potente blocco di votanti alle Nazioni Unite, ha messo la Libia a capo della preparazione di Durban II, assistita da altri pilastri della comunità internazionale come Iran e Cuba. L'inviato cubano è quell'Alfonso Martinez che è già riuscito a far fallire una risoluzione che condannava lo sterminio dei curdi da parte di Saddam Hussein. L'Iran ha impedito l'approvazione di una clausola, voluta dall'Unione europea, che condannava il negazionismo dell'Olocausto. Il testo non parla del Darfur, contiene riferimenti sull'“apartheid d'Israele”, accusato di “genocidio”. La Libia, con la sua ambasciatrice Najat al Hajjaji, si è proposta come “società di non discriminazione”, mentre il Pakistan si sta battendo perché non si parli dei crimini legati alla sharia, la legge islamica. Le misure di antiterrorismo dopo l'11 settembre vengono bollate come “nuovo razzismo”. Si chiede agli stati membri dell'Onu di “prendere misure efficaci sulle forme di razzismo e contro gli stereotipi della religione (leggi islam, ndr)”.

    Vittimismo arabo, sfruttamento del concetto di “islamofobia” contro la libertà d'espressione e antirazzismo in chiave antigiudaica saranno i capisaldi anche di Durban II. Con questo dovrà mediare Obama. Nel 2001 ci furono Ong che distribuivano volantini con l'effige di Hitler e la scritta “Se avessi vinto io? Di positivo c'è che non esisterebbero né Israele né spargimento di sangue palestinese”. I militanti marciavano in cortei che portavano il ritratto di Osama bin Laden, bruciavano le bandiere americane e quelle con la stella di David, proclamavano Israele cancro da estirpare, mentre Mugabe, Fidel Castro e Yasser Arafat inneggiavano alla “resistenza” e si distribuivano ai partecipanti i Protocolli dei Savi di Sion. Ma se nel 2001 gli antisemiti fallirono grazie al boicottaggio americano, stavolta, se non ci sarà un ripensamento di Washington, le cose potrebbero andare diversamente.

    • Giulio Meotti
    • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.