Da Obama a Tanassi

Veltroni, mal d'Africa

Giuliano Ferrara

Walter Veltroni, persona mite e civilmente apprezzabile sebbene di scarso carattere e formazione culturale leggera, sembrava fatto apposta per il progetto del Partito democratico e per ridare una qualche speranza al popolo della sinistra straziato dall'emersione ormai quasi ventennale del fenomeno Berlusconi. Doveva chiudere un lungo periodo di lutto, di incattivimento, di malinconia e depressione. E' proprio qui che ha fallito.

    Posto che gli interessi sono importanti e gli ideali in genere li mascherano piuttosto bene, un po' di gusto e di gioia di vivere la politica deve pur darli. Walter Veltroni, persona mite e civilmente apprezzabile sebbene di scarso carattere e formazione culturale leggera, sembrava fatto apposta per il progetto del Partito democratico e per ridare una qualche speranza al popolo della sinistra straziato dall'emersione ormai quasi ventennale del fenomeno Berlusconi. Doveva chiudere un lungo periodo di lutto, di incattivimento, di malinconia e depressione. E' proprio qui che ha fallito.

    Socialdemocrazia e democristianeria sopravvissute alla vecchia Repubblica dovevano in teoria essere travolte da questo soggetto politico nuovo, all'amerikana, capace di raccontare storie favole e sogni. I sempiterni interessi non potevano più essere sostenuti dal mercato dei vecchi ideali in bancarotta, serviva l'evasione nella bella politica, la rottura degli schemi in una nuova stagione, l'invenzione di una forma inedita capace di contenere diverse culture e radici. Questa era la formula che aveva portato i leader in rotta dell'ex Pci e della ex sinistra Dc, nel momento in cui si prospettava una nuova sconfitta governativa con Prodi e una temibile apocalisse elettorale, a scegliere come capo quello che voleva andare in Africa, quello che conosceva bene il cinema e la tv, quello tra loro che con le sue retoriche e le sue narrazioni bonarie, esposte verso un futuro allegro e cantabile, appariva meno vulnerabile di fronte all'opinione democratica e più competitivo con il Cav., geniaccio della neo-anti-politica.

    La condanna del Pd e insieme del suo primo leader è stata la mancanza di carattere di Veltroni. Legittimato dal voto delle primarie, che era un investimento abbastanza chiaro per una riforma della politica e un mutamento di metodo, il leader del Pd non ha fatto alcun uso rischioso di questa legittimazione, non ha esercitato l'arte del comando. Alla ricerca di un Barack Obama, il Pd è finito in una dialettica simile a quella del Psi-Psdi unificati del 1968, la coabitazione al vertice di Mauro Ferri e Mario Tanassi, due esemplari politici che solo i sessantenni ancora ricordano. Di qui un indebolimento tragicomico della parabola “democratica”, un senso di vuoto e di noia abissale, una sequela di sconfitte elettorali aggravate dalla mancanza di una bussola e di una rotta su una imbarcazione che pullula di comandanti ciascuno con una sua idea del viaggio. La delusione, alla lunga, è una bestia indomabile, specie quando sia l'illusionismo l'arma vincente del leader.

    Sul Foglio in edicola ci domandiamo se non fosse in origine un pasticcio incommestibile questa idea di superare le tradizioni politiche del Novecento con una nuova formula organizzativa e politica, impegnando il sistema istituzionale e cercando di rinnovarlo. Può essere. Ma non lo sapremo mai, perché l'esperimento non è stato nemmeno tentato. Non c'è stata lotta vera, non c'è stato dolore, niente coraggio, niente disponibilità generosa di sé e della propria passione.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.