Ma i massoni hanno perso
Dino Boffo, il direttore di Avvenire, non ha mai avuto la percezione di muoversi controcorrente, nelle settimane nelle quali combatteva per salvare la vita di Eluana Englaro: “Non mi ci sono sentito certamente rispetto al senso comune, all'umore popolare, mentre naturalmente è ben diverso il discorso rispetto all'intellighenzia laica e alla pubblicistica corrente”.
Dino Boffo, il direttore di Avvenire, non ha mai avuto la percezione di muoversi controcorrente, nelle settimane nelle quali combatteva per salvare la vita di Eluana Englaro: “Non mi ci sono sentito certamente rispetto al senso comune, all'umore popolare, mentre naturalmente è ben diverso il discorso rispetto all'intellighenzia laica e alla pubblicistica corrente”. Boffo racconta al Foglio il senso di molti mesi di battaglia, la cui parte finale è stata semplicemente la più concitata e dolorosa, ma che aveva alle spalle un lavoro costante, condiviso in modo convinto da tutta la redazione del quotidiano dei vescovi: “Fin dall'estate scorsa, quando ormai si andava profilando il tipo di iniziativa che si sarebbe svolta nei mesi successivi in nome di Eluana, avevamo individuato una compatta strategia di un gruppo di professionisti, di competenze diverse, che affiancavano Beppino Englaro. Una strategia dove i radicali, a differenza del caso di Piergiorgio Welby, erano i principali portabandiera ma non gli attori e gli ispiratori principali. Ricordo di aver detto ripetutamente, in riunione di redazione, che se quella strategia fosse andata avanti, ci saremmo trovati – come è poi accaduto – a vivere in diretta un'agonia di giorni e giorni, con l'Italia stretta in una morsa angosciosa”.
Non era difficile, prosegue Boffo, “immaginare questo tipo di situazione. Già allora, e parlo della scorsa estate, mi sembrava di capire che avremmo dovuto remare controvento, controcorrente, rispetto a tutta una pubblicistica schierata altrimenti, a parte pochissime eccezioni. La sensazione che ho sempre avuto ben chiara – salvo i momenti importantissimi in cui ho sentito il Foglio vogare dalla stessa parte, e al di là delle ultime settimane, nelle quali si è schierato il Giornale, con alcuni servizi e interventi fondamentali – è quella di essere stati beatamente soli”.
Una solitudine che Boffo ha sentito “fin nelle ossa, è inutile negarlo. Ma devo anche dire, con il cuore in mano, che in questa vicenda ho davvero sentito la chiesa come il popolo della vita. L'ho sentito, direi, molto più che nella battaglia sulla legge 40 e ancor più che in occasione della polemica sui Dico e della preparazione del Family day”. Boffo dice che c'è stato “uno spontaneo acconsentire, attorno alle ragioni del perché Eluana dovesse vivere, che mi ha molto confortato e ha dato forza e determinazione al nostro lavoro”. La situazione era segnata fin dall'inizio “da sondaggi terrificanti. Ne ricordo uno di Renato Mannheimer, che dava al settanta per cento la posizione contraria alla nostra. Ricordo anche di aver detto alle persone con le quali discuto di solito di queste cose, che potevamo farcela soltanto se fossimo riusciti a portare gli italiani a comprendere qual era la vera posta in gioco”.
Da quel momento le forze del giornale si sono concentrate su questo, perché “non avevo e non ho dubbi, su quale sia il sentire della gente comune, di quella gente che ‘fa popolo' in Italia, e che è ancora oggi schierata dalle parti della vita e molto, ma molto perplessa tutte le volte che ingegneri e sperimentatori vari vanno a mettere le loro manacce in quel tesoro insondabile” che qualcuno ha chiamato “eccezione italiana”. Un'eccezione, prosegue Boffo, “che aveva bisogno, per emergere anche in questo caso, di qualcuno che scoprisse i giochi. E' questo il nostro merito, se merito c'è stato. Ma dall'altra parte le cose sono state condotte con una tale superbia, e immaginando di avere in pugno l'Italia, che a un certo punto in tanti hanno dovuto prendere atto della loro cantonata”. Il direttore di Avvenire ricorda “le parole di Marco Pannella, pronunciate nel corso della consueta conversazione radiofonica domenicale su Radio radicale, il giorno prima della morte di Eluana. Quelle parole non si possono dimenticare, perché di fatto Pannella ammetteva di aver perso. Diceva che l'Italia non era con loro, con chi chiedeva di far morire Eluana. Diceva, insomma, che era stato fatto affidamento su un'Italia che nella realtà non c'è”.
Ricordiamo, per i lettori del Foglio, che Pannella, in quell'intervento, aveva sostenuto che, per come si stavano mettendo le cose, non conveniva più andare fino in fondo al protocollo di morte per Eluana, perché la battaglia fondamentale poteva risultarne gravemente pregiudicata: per Beppino Englaro – sempre secondo Pannella – sarebbe quindi stato meglio fermarsi, altrimenti in pochi giorni si rischiava di far approvare una legge che avrebbe impedito di sospendere alimentazione e idratazione nelle dichiarazioni anticipate di trattamento. E' successo, dice Dino Boffo, “che tirava un'aria diversa, che i nuovi sondaggi raccontavano di un paese spaccato a metà. E, immaginando i numeri reali che dovevano esserci dietro a quei sondaggi, un uomo come Marco Pannella, politico navigatissimo ma notoriamente non abituato a contenere schiettezza e irruenza, si è sfogato e ha dovuto ammettere, con Emma Bonino che gli è andata dietro il giorno dopo: l'Italia non è con noi. Chi aveva pensato a un paese che digerisse senza fiatare la morte di Eluana si era sbagliato”.
Il ruolo del giornale dei vescovi, assunto senza timidezze, è stato allora quello di “ribattere colpo su colpo alle menzogne, agli alibi, alle manipolazioni” che dovevano far passare quella morte come “naturale”: “Siamo stati l'altra campana, ed è stato faticoso, perché – sottolinea Boffo con calore – avevamo di fronte un'opera intelligentissima di dissimulazione, di cui il professor Defanti, il neurologo di Eluana, si è dimostrato maestro insuperabile. Pensiamo alla sua intervista uscita il giorno in cui Eluana sarebbe morta (è quella, pubblicata sul Corriere della Sera, nella quale Defanti parlava della buona salute di Eluana e spiegava che la donna non aveva mai avuto bisogno nemmeno di un antibiotico in diciassette anni, ndr)”.
Era dunque necessario raccontare l'entourage di Beppino Englaro, “scoprire i personaggi, spiegare che non erano semplici professionisti di alto livello arruolati dal padre. No, erano semmai loro gli arruolatori del padre, che si erano prima sincerati della capacità di resistenza di quell'uomo addolorato e determinato (e che rispettiamo, perché non sappiamo che cosa può avvenire quando ci si trova nella sua situazione). Una volta avuta la certezza della ‘tenuta' di Beppino Englaro, quei personaggi si sono messi a suo servizio conducendo in realtà la loro battaglia”. Una battaglia, prosegue Boffo, “nella quale hanno trovato a Udine dei meravigliosi alleati.
Una cupola di indole massonica, che ha messo in campo una solidarietà formidabile, cementata in modo trasversale, capace di superare qualsiasi appartenenza politica, di categoria, di professione”. Tra i personaggi che hanno fatto corona al padre di Eluana, Boffo trova che “in fondo il più sincero sia stato il bioeticista Maurizio Mori. Lo ha detto chiaramente: la vicenda Englaro doveva essere, per l'Italia, un'altra Porta Pia. E allora è stato scelto un caso, che aveva le caratteristiche giuste, anche familiari. Quel caso è stato costruito con scienza, allo scopo di dimostrare che non è vero che la vita è indisponibile, che non è vero che la vita è sacra”. Questa era, ed è, la posta in gioco, oltre alla vita per sempre perduta di Eluana Englaro. Una volta capito questo, non c'è stata scelta, per il compassato direttore di Avvenire, un veneto schivo che tutti descrivono come ostinatamente restio a comparire in prima fila (“Non vado in televisione e nemmeno alla radio. Preferisco sparire, far parlare il giornale”, dice al Foglio Boffo. Che pure dirige, oltre all'Avvenire, la rete televisiva e la radio della Cei, Sat2000 e Blusat2000).
L'unica scelta possibile, di fronte alla dichiarazione di guerra all'idea dell'indisponibilità della vita, fatta sul corpo e sulla vita concreta di una persona, “è stata quella di infrangere lucidamente una caratteristica strutturale di Avvenire, che è un giornale di equilibrio e di misura, dedicando pagine su pagine alla vicenda di Eluana. L'ho dovuto fare, quando ho capito che il progetto era anche quello di buttare dalla rupe Tarpea, insieme con la vita di Eluana, anche la testimonianza delle suore Misericordine. E' bastato sentir dire all'anestesista di Udine, che aveva appena preso in consegna Eluana, quello che tutti ricordiamo sulle condizioni della donna durante il viaggio”. Cera “la volontà di addossare alle suore la responsabilità di una situazione che non era certamente quella di Eluana finché era rimasta affidata alle loro cure. Abbiamo dovuto raccontare la verità, le cose che nessuno avrebbe mai potuto smentire”. Boffo accetta la sfida di chi ha minacciato querele e denunce: “Lo facciano, e vedremo se Avvenire ha detto cose false. Abbiamo verificato qualsiasi notizia fino allo spasimo. Non ho mai voluto fare del sensazionalismo. Io e la mia redazione abbiamo voluto mettere in pagina tutto ciò che serviva a salvare la vita di Eluana e la testimonianza esemplare delle sue suore”.
Attaccare quella testimonianza era indispensabile, da parte dei volenterosi teorizzatori della morte necessaria di Eluana, “perché il nichilismo non sopporta la bontà. E quelle suore sono un monumento alla bontà, alla dedizione più leale, pura, generosa, senza nessun tornaconto. Quando ho capito che si stava buttando nella spazzatura anche questo, perché la versione menzognera da far valere era quella delle condizioni di Eluana già disastrose al momento in cui era uscita dalla clinica di Lecco, il mio giornale non ha potuto far altro che assumersi il compito di raccontare la verità”. Compito difficile, quando ogni due per tre “ci trovavamo di fronte a giornalisti che in tv sciattamente ripetevano la sciocchezza delle ‘macchine da staccare'. E' stata già titanica l'impresa di far capire che macchine da staccare non ce ne erano mai state”.
Farsi capire, raccontare la posta in gioco, spiegare contro ogni semplificazione che equivaleva a un avallo, più o meno innocente, più o meno inconsapevole, di una sentenza di morte. Ma è vero o no, come ha scritto sull'Osservatore romano la storica Lucetta Scaraffia a novembre, che stavolta la voce cattolica non è mancata ma non è stata capace di farsi ascoltare, di trovare le giuste parole per spiegare e spiegarsi? Tanto che, ha scritto Scaraffia, “questa volta sembra che la voce del pensiero cattolico sia stata poco ascoltata, come se le ragioni che portava a favore della vita di Eluana non fossero abbastanza convincenti”?
Dino Boffo non è d'accordo con questa interpretazione: “Credo invece che quel popolo che nessuno interroga veramente abbia capito perfettamente quello che stava succedendo, e alla fine lo ha dimostrato. La chiesa e i cattolici hanno parlato senza equivoci, è semmai questo che viene loro rimproverato come indebita ingerenza. Parliamoci chiaramente: se una religione, una religione di popolo come la nostra, non si interessa della vita e della morte, di che cosa altro mai si dovrebbe interessare? Non stiamo parlando del sistema elettorale delle elezioni provinciali. Stiamo parlando della vita e della morte. Se la religione maggioritaria di un popolo non dice una parola quando sono in gioco la vita e la morte, non ha più titolo morale per esserci”. Avvenire non si è tirato indietro, dice Boffo, “e comunque il popolo ha capito. Anche la chiesa, a mio giudizio, è stata compatta e convergente attorno alla necessità di testimoniare in Eluana l'amore alla vita”. E' vero, “ci sono state due voci discordanti di vescovi: due su quattrocento. Una percentuale assolutamente sopportabile, molto inferiore rispetto ad altri momenti di svolta. Ma le corrispondenze che arrivavano in redazione ci raccontavano di una miriade di iniziative dei vescovi, piccoli e grandi segni che da tutte le diocesi manifestavano una partecipazione fortissima alla vicenda di Eluana”.
Ogni giorno bisogna scegliere la strada da percorrere con il proprio giornale, aggiunge Boffo, e “ogni giorno lo si fa, ad Avvenire, sapendo di avere addosso gli occhi dell'opinione pubblica, e di dover gestire un patrimonio di credibilità senza paragoni, come è quello della chiesa, che farebbe tremare le gambe a chiunque. Devo dire però che sono stati di immensa forza e di enorme significato gli interventi di Papa Benedetto XVI. Nei quali mai è stata direttamente nominata Eluana, ma che (legandosi provvidenzialmente alla giornata della sofferenza del malato, da sempre celebrata l'11 febbraio) hanno fatto capire la vicinanza del Pontefice al popolo della vita. Leggendo e rileggendo quelle parole, non ho avuto dubbi sulla direzione da seguire”.
Non è stato possibile impedire che si arrivasse alla morte di Eluana Englaro. Dino Boffo e il suo giornale si sentono sconfitti? “No, non mi sento sconfitto. Non lo dico perché ritenga umiliante ammettere una sconfitta. Ho sofferto davvero per quello che accadeva a Eluana. La sentivo mia sorella, pur non avendola mai vista, e sono tuttora molto addolorato per la sua fine. Ma c'è un lascito che, sono convinto, rimarrà presente in tutti noi. Quella vicenda ha fatto capire agli italiani – in qualche caso anche ai più ubriachi di indifferenza e di futilità – qual era la vera posta in gioco, come dicevo all'inizio. E' stato un dono di Eluana, e il dono successivo sarà quello di arrivare a una legge nitida, che faccia tesoro della sua esperienza per impedire che accada di nuovo. Credo che oggi ci voglia un gran coraggio a sostenere che acqua e cibo sono terapie, e che possiamo toglierli a chi non è in grado di provvedere a se stesso”. In questo senso, conclude il direttore di Avvenire, “la rivoluzione antropologica da qualcuno brillantemente studiata a tavolino non è riuscita. Non sono stati sovvertiti i codici della civiltà, nonostante la formidabile strategia messa in atto e nonostante le minacce che sono arrivate anche a noi. Le abbiamo registrate, le abbiamo attentamente ascoltate. Poi abbiamo detto, tutti insieme, con la mia magnifica redazione, fatta di persone appassionate della vita, che scattano senza nemmeno bisogno di chiederglielo: benissimo, abbiamo detto, si va avanti”.
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