La restaurazione interrotta
La produzione industriale crolla del venti per cento, il governo è pronto a rivedere il budget e le proteste gonfiano le piazze delle principali città russe. Per Vladimir Putin è il momento peggiore degli ultimi dieci anni: neppure la guerra in Cecenia aveva scalfito la sua popolarità quanto la crisi scoppiata alla Borsa di Mosca.
La produzione industriale crolla del venti per cento, il governo è pronto a rivedere il budget e le proteste gonfiano le piazze delle principali città russe. Per Vladimir Putin è il momento peggiore degli ultimi dieci anni: neppure la guerra in Cecenia aveva scalfito la sua popolarità quanto la crisi scoppiata alla Borsa di Mosca. La Banca centrale dice che il pil calerà del due per cento, gli analisti di Fitch abbassano il giudizio sul paese, il ministro delle Finanze parla senza remore di recessione e studia l'ennesimo piano per salvare banche e imprese in pericolo. Putin non è per nulla interessato ai dossier diffusi dalle agenzie di rating: quello che teme striscia nella pancia della Russia e lungo i suoi confini dilatati ed è troppo grande per essere ignorato.
A Vladivostock, sulle coste del Pacifico, migliaia di persone chiedono le sue dimissioni e quelle del presidente, Dmitri Medvedev. Protestano contro la tassa sulla vendita di auto usate straniere, un business particolarmente redditizio in questa terra di confine che guarda in faccia la Cina e la Corea del nord. Non è un caso che i primi a scendere in piazza siano proprio i commercianti: negli anni al Cremlino, Putin non ha certo favorito lo sviluppo della classe media; il suo erede, il liberista Medvedev, per ora ha tradito le loro attese. Aerei carichi di agenti delle forze speciali partono da Mosca verso oriente, dieci fusi orari più a est: devono mostrare che il Cremlino ha ancora il controllo della situazione. Il governo taglia le spese per la Difesa ma quelle destinate alla polizia e ai servizi segreti restano intatte: un pessimo segnale per i gruppi dell'opposizione.
Il nuovo presidente ha proposto ai russi una sorta di patto sociale: noi risolveremo la crisi, voi resterete fedeli al governo. “I media danno grande importanza ai fatti di Vladivostock – dice al Foglio Alexander Kliment, un analista del centro studi americano EurasiaGroup.Kliment – ma il numero delle persone scese in piazze è ancora modesto. Il Cremlino ha le risorse politiche, finanziarie e militari per controllare il problema. Ma per quanto tempo potrà gestire la situazione? Questo dipende dalla situazione economica”.Il taglio della spesa pubblica potrebbe avere conseguenze anche più gravi in Cecenia e in Daghestan, due province del Caucaso in cui il pericolo terrorismo è ancora elevatissimo. “Sentiamo gli effetti della crisi come chiunque altro – dice il presidente di Grozny, Ramzan Kadyrov – ho scritto una lettera al Cremlino per chiedere di evitare i tagli”. Kadyrov è un ex guerrigliero passato dalla parte di Putin alla vigilia della seconda guerra cecena. La sua provincia vive grazie ai rubli pompati da Mosca: quando gli aiuti finiranno, spiega Tanya Lokshina di Human Rights Watch, cambierà anche il punto d'equilibrio del sistema. Nel vicino Daghestan, al confine con l'Azerbaigian, la folla inferocita ha impedito al nuovo responsabile dell'ufficio tasse di prendere servizio. L'uomo ha deciso di lasciare l'incarico dopo aver rischiato il sequestro.
Questa crisi frena anche le ambizioni di Putin sulla scena internazionale. Il premier vuole convincere il mondo che la Russia è ancora una super potenza, gioca alla guerra in Georgia, fa intrighi con l'Iran e tratta alla pari con la Casa Bianca. Oggi il suo progetto è meno credibile di un tempo. La bolla di Mosca non è esplosa in una notte come quella di Wall Street: si sgonfia da almeno un anno e infetta ogni settore dell'economia. Nel 2008, i paesi dell'Asia centrale pensavano di convertire le loro riserve di dollari in rubli; ma da allora la moneta russa ha perso un terzo del proprio valore. Questa flessione costa alla Banca centrale duecento miliardi di dollari e mette nei guai il sistema del credito: SberBank, Vtb e GazpromBank chiedono aiuto al governo per evitare la crisi di liquidità, il Cremlino risponde con un salvagente da quattrocento miliardi. Accade lo stesso a Londra e Washington, con una differenza: a Mosca lo stato possiede già i principali gruppi bancari del paese. “Il governo russo vuole svalutare il rublo per preservare la stabilità politica”, dice Kliment. Anche perché i problemi passano rapidamente dalla Borsa alle officine negli Urali.
Le potenti major dell'energia perdono colpi sui listini; due giganti dell'acciaio come Magnitogorsk e Severstal tagliano la produzione e la forza lavoro; l'improvvisa mancanza di materie prime costringe alla chiusura le fabbriche di auto Gaz. Cinquecentomila persone hanno perso il lavoro dall'inizio dell'anno, portando il tasso di disoccupazione ufficiale al 7,7 per cento. Il prezzo del petrolio è precipitato sotto i quaranta dollari al barile, un terzo rispetto alle quotazioni di sei mesi fa.Ora la crisi costringe il governo a rivedere il budget del 2009. Il ministro delle Finanze, Alexei Kudrin, presenterà il testo nei prossimi giorni. “Svolgiamo un lavoro scrupoloso – ha spiegato Kudrin al G7 di Roma – chiunque dica di conoscere i parametri del nuovo budget sbaglia perché non sono ancora stati fissati”. Secondo l'agenzia Ria Novosti, i tagli riguardano diversi aspetti della spesa pubblica, compresi i lavori per le Olimpiadi in programma a Sochi nel 2014 (il governo aveva stanziato nove miliardi di dollari per i Giochi). “Il Cremlino decide se frenare il malcontento con la spesa sociale o aiutare i mercati investendo sulle banche e sulle imprese”, spiega l'esperto di EurasiaGroup. Questa linea sottile divide il presidente Medvedev e il suo premier plenipotenziario, Vladimir Putin. Medvedev è un “liberista”, dice che si deve limitare la presenza dello stato nell'economia: soltanto la crisi ha fermato le riforme promesse in campagna elettorale. Qualche giorno fa ha sgridato il governo e ha chiesto ai suoi ministri di muoversi più in fretta. Putin vuole impedire che gli asset del paese finiscano nelle mani dei creditori stranieri, poco importa che siano pozzi di petrolio o allevamenti di storioni.
Entrambi perdono popolarità, sostiene un sondaggio pubblicato dal Wall Street Journal; la Costituzione permette a Medvedev di prevalere su Putin ma l'uomo forte del Cremlino è il premier, l'unico in grado di prendere le decisioni (giuste e sbagliate) nei momenti difficili. Il capitolo più interessante del budget riguarda le Forze armate. Secondo il numero due del Partito comunista, Viktor Ilyukhin, Putin taglierà le spese militari del quindici per cento. La notizia non è stata smentita dal governo. E' un fatto senza precedenti nella storia del paese. Dopo la sconfitta subita in Cecenia alla fine degli anni Novanta, il Cremlino migliora il proprio arsenale anno dopo anno. Nel 2008 la spesa ha superato i quaranta miliardi di dollari, cinque volte in più rispetto al 2003. I bombardieri russi volano sull'Artico, le navi attraversano il Mediterraneo, ad agosto i carrarmati hanno invaso la Georgia nella guerra lampo per il controllo di due province ribelli, l'Abkhazia e l'Ossezia del sud. “La Russia ha due amici soltanto: il suo esercito e la sua aviazione”, ama dire l'ambasciatore di Mosca alla Nato, Dmitri Rogozin. Il capo del gabinetto di guerra, il generale Nikolai Makarov, dice che i tagli almeno non riguardano “armi e munizioni”. Nel triennio 2009-2011, Putin prevede di investire su questo capitolo 111,4 miliardi di dollari.
Un segno di flessione, anche se parziale, arriva da Kaliningrad, la provincia caserma compresa fra la Polonia e la Lituania. Queste basi dovevano ospitare un sistema missilistico puntato contro l'Europa. Era la risposta di Putin allo scudo spaziale che l'Amministrazione Bush avrebbe costruito in Polonia e in Repubblica ceca. In realtà, lo scudo spaziale è stato disegnato per prevenire un'eventuale attacco dell'Iran, ma Mosca ha sempre considerato il progetto come un gesto ostile. Alla fine di gennaio, il Cremlino ha deciso di rivedere il progetto Kaliningrad. Per molti è un segnale di apertura al nuovo presidente americano, Barack Obama. Per altri, la decisione di Putin dimostra che il paese non è più in grado di reggere le spese del suo esercito: le ambizioni del premier non sono più sostenibili.
Secondo Dmitri Trenin del Carnegie Endowment, la Russia è una “potenza solitaria”. Evita gli affari con gli Stati Uniti secondo le regole dell'occidente, rifiuta l'ingresso nell'Organizzazione mondiale del commercio (Wto), tratta senza fretta la partnership con l'Unione europea. Anche i possibili alleati – vedi i paesi dell'Asia centrale – guardano con sospetto alle manovre di Putin. Questa strategia è vincente quando il prezzo del petrolio è sopra i 100 dollari e lo sviluppo economico degli ultimi anni ha permesso a Putin di ricostruire il paese e di rilanciare il ruolo della Russia a livello internazionale.
Da pochi giorni l'esercito controlla i rifornimenti alle truppe della Nato in Afghanistan, mentre il monopolio delle armi, Rosoboronexport (Roe), firma contratti in India, in Africa e in medio oriente, cede armi al Libano, tratta con la Siria e con l'Iran nonostante i divieti dell'Onu. Il ministro della Difesa di Teheran, Mostafa Najar, si trova a Mosca per chiedere un sistema antiaereo S-300. Israele cerca in ogni modo di fermare l'accordo, ma per la Russia le armi sono prima di tutto un grosso affare. Roe ha un portafoglio ordini che vale venti miliardi, dice Medvedev. Il governo di Putin ha ancora un vantaggio rispetto ai partner e ai rivali. Ha un progetto preciso: vuole ricostruire la propria sfera di influenza lungo i vecchi confini dell'Unione sovietica, conosce gli strumenti per raggiungere l'obiettivo e sa come usarli. Questo vantaggio si chiama consapevolezza.
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