Al Cav. serve il Pd
E' bene avere coscienza di quel che può avvenire durante una crisi galoppante come l'attuale. E non fidarsi della momentanea centralità della maggioranza. Negli anni Sessanta quando la Sfio (i socialisti francesi dell'epoca) si sfasciò (ci mise, poi, parecchi anni a ricomporsi come Partito socialista con François Mitterrand) e Charles de Gaulle dominava solitario la scena, Parigi visse la più profonda crisi politico-sociale del secondo Dopoguerra: il Maggio francese.
E' bene avere coscienza di quel che può avvenire durante una crisi galoppante come l'attuale. E non fidarsi della momentanea centralità della maggioranza. Negli anni Sessanta quando la Sfio (i socialisti francesi dell'epoca) si sfasciò (ci mise, poi, parecchi anni a ricomporsi come Partito socialista con François Mitterrand) e Charles de Gaulle dominava solitario la scena, Parigi visse la più profonda crisi politico-sociale del secondo Dopoguerra: il Maggio francese. E il generale, a un certo punto, per far capire ai più estremisti in campo gli esiti possibili della rivolta, si recò in Germania a visitare platealmente una divisione di paras. Poi fece sfilare una milionata di parigini sotto l'Arco di Trionfo. Che cosa potrà fare in una situazione simile Silvio Berlusconi? Recarsi da Belen Rodriguez e Alessia Marcuzzi a Cologno Monzese?
Oggi il centrodestra è confortato dal consenso popolare ma le forze della disgregazione sono al lavoro: dai soliti magistrati corporativo-militanti alle mine vaganti dell'ex establishment tipo Luca Cordero di Montezemolo agitato e in cerca di spazi (magari solo alla Rcs). L'Italia ha di fronte prove ardue, e ondate demolitorie sono da mettere in conto. Stabilizzare il quadro politico è, dunque, fondamentale. E, in questo contesto, sarebbe utile che il Pd non si squagliasse del tutto.
Forse il nuovo partito è più radicato di quel che si dice. C'è un campo di forze che lo sorregge. Un'opinione pubblica formata dalla stampa che guarda a sinistra (pur in modo articolato) dal Corriere della Sera fino alla Repubblica. Una base sociale di insegnanti e professionisti convintamente progressista. Un residuo dell'insediamento della sinistra storica che regge. Questo campo di forze tende a essere ancora egemone in più di una grande città, mantiene una prevalenza nelle “regioni rosse”, offre un plafond elettorale nei momenti di crollo persino al Sud. Consente vittorie pure nel Nord-Est.
Soprattutto le ultime amministrative (da Sondrio alla provincia di Trento, da Vicenza a Udine) dimostrano come espressione di questa base cultural-sociale siano spesso amministratori di provenienza cattolica, con esperienze nel sociale, in grado di sfruttare asperità e imperizie del centrodestra (sia forzista-aeninno sia leghista). Questo tipo di politici emerge anche in primarie significative a Bologna e Firenze con Flavio Delbono e Matteo Renzi. Mentre sta entrando in crisi anche a sinistra il politico puro tecnico del potere, sta crescendo quello capace di collegarsi in modo nuovo alla società. Anche a uomini ex Pci non mancano queste doti, da Sergio Chiamparino a Flavio Zanonato. Però sempre più emergono personalità con percorsi politici diversi da quelli interni al partito più partito che c'è stato in Italia, quello di Togliatti-Longo-Berlinguer.
Walter Veltroni faceva finta di essere un politico “nuovo”, si era costruito, grazie molto alle idee di Paolo Mieli e in parte persino a quelle del Foglio, un profilo così. Poi però in lui ha prevalso sempre la prudenza, espressione caratteristica della cultura di Palmiro Togliatti (che onestamente la chiamava “doppiezza”). Si vuol chiudere con la cultura di guerra civile virtuale post '92 ma se c'è l'occasione si approfitta delle trame dei magistrati per incastrare Berlusconi. Si lancia la politica del merito e si recluta l'Onda. Si dialoga con l'impresa e si manda Goffredo Bettini a sfilare col trio degli sfiatati Guglielmo Epifani, Carlo Podda e Gianni Rinaldini. Non si vuole fare i laicisti e si accetta la morte programmata di Eluana Englaro. Non uno scarto, non una lotta politica, non un gesto di leadership. Naturalmente il togliattismo evocato è imitato al modo della farsa, non è la potenza in azione che era il tratto della politica comunista nella fase eroica: il che, naturalmente, tutto sommato, riteniamo, trenta anni dopo, pur essendo ridicolo, sia un bene per la democrazia.
Il cinismo smisurato di D'Alema
Se Veltroni è stato questa roba qui, D'Alema si sta dimostrando peggio: l'appoggio alla Cgil che fila verso la deriva è un capolavoro di cinismo. Il presidente della fondazione ItalianiEuropei sa bene chi sono Epifani (uno sbandato), Podda (un praticone che fa il massimalista per trovare spazio in Cgil e in politica) e Rinaldini (un estremista fatto e finito, che usa le sue buone qualità trattativistiche per infilare su un binario morto la gloriosa categoria dei metalmeccanici). D'Alema conosce, per averla combattuta quando almeno era espressa con dignità da Sergio Cofferati, la deriva del centralismo cigiellino che contrasta la modernizzazione delle relazioni industriali per mantenere maggiore controllo sui lavoratori. D'Alema sa, perché studia, che dalla Germania agli Stati Uniti, le esperienze di uscita dalla crisi del sindacato, anche di quello del pubblico impiego, accentuano gli elementi di cooperazione su quelli del conflitto, come previsto dal recente accordo sulla contrattazione. La sua scelta di schierarsi con il drappello che ha portato allo sbando la Cgil nasce solo dallo sfrenato cinismo di chi usa qualsiasi mezzo per farsi spazio. Appunto il politico come puro e solo tecnico del potere. E per di più senza neanche il caldo rosso sole della rivoluzione a dare una base tragicamente etica al proprio impegno.
Se questo è il quadro delle potenzialità e dei rischi che il Pd corre e fa correre al quadro politico, il centrodestra avrebbe il dovere di fornire alle forze riformiste del centrosinistra (a partire da quelle territoriali e sindacali) una base per convergenze sui grandi problemi nazionali e una base per contrapposizioni tra maggioranza e opposizione non distruttive.
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