Mai dire Oscar

Mariarosa Mancuso

Stanno facendo di tutto per rovinare la festa a Danny Boyle e a “The Millionaire”. Costato 15 milioni di dollari, rifiutato dalla Warner perché “non porterà a casa un solo dollaro”, ripescato in extremis dalla Fox Searchlight (rischiava di saltare le sale per finire direttamente in dvd), ha vinto otto Oscar su nove nomination.

    Stanno facendo di tutto per rovinare la festa a Danny Boyle e a “The Millionaire”. Costato 15 milioni di dollari, rifiutato dalla Warner perché “non porterà a casa un solo dollaro”, ripescato in extremis dalla Fox Searchlight (rischiava di saltare le sale per finire direttamente in dvd), ha vinto otto Oscar su nove nomination. Tre di gran peso: miglior film, miglior regista Danny Boyle (lo stesso di “Trainspotting”), migliore sceneggiatura non originale di Simon Beaufoy (dal romanzo di Vikas Swarup “Le dodici domande”, Guanda); le altre non proprio da buttar via. Ha incassato finora 160 milioni di dollari, messo gli spettatori di buon umore (assieme a “Mamma mia!”, fa uscire dal cinema canticchiando), scatenato un passaparola contagioso.
    Troppo, per passarla liscia. Da qui le accuse: sfruttamento dei minori indiani, pornografia sui miserabili, favola addormenta-coscienze, stucchevoli cliché sul ragazzino degli slum che vince il quiz televisivo e ritrova la ragazza dei suoi sogni. La prima accusa è subito caduta: le famiglie si sono dichiarate soddisfatte, e i ragazzini sono andati in gita premio a Hollywood (chi ha visto il film sa che un piccolo indiano, pur di avere l'autografo di una star del cinema, è disposto a sprofondare in una latrina, figuriamoci camminare sul tappeto rosso).

    Le altre restano in piedi e producono dibattiti. Ora più che mai, giacché “Il curioso caso di Benjamin Button” (con tutte le protesi sulla faccia di Brad Pitt, e il risultato appiccicato poi sul corpo di un altro attore, piccolo e storto) e “The Reader” (con tutti gli artistici nudi di Kate Winslet, premiata come attrice protagonista) sono stati sconfitti. L'Academy che non ha saputo riconoscere i meriti del “Wall-E” di Brad Bird – candidato solo nella categoria “animazione”: ma allora perché tutti i montaggi mostravano gli occhi del robottino innamorato? Quanto a pixel impegnati, se la poteva giocare con Brad Pitt vecchietto – ha avuto qui un sussulto di lucidità. Tra i filmoni patinati, tormentati, filosofeggianti da una parte, e dall'altra un piccolo film dove il denaro procura la felicità, ha scelto il secondo. Con esiti del tutto imprevedibili: mai avremmo pensato di veder tanta gente deplorare, in “The Millionaire”, quel che di solito ammira con i lucciconi agli occhi nei film di Frank Capra.

    Nessuno ha cercato – durante la cerimonia condotta da Hugh Jackman in pose e passi da Fred Astaire – di rovinare la festa a Sean Penn, vincitore come migliore attore a spese di Mickey Rourke (per “The Westler”, finalmente in sala dal 6 marzo, potrete giudicare da voi). Nei ringraziamenti, si è rivolto ai giurati con le parole “You commie homo-loving sons of guns”, dove “commie” sta propriamente per communist, in generale per “progressista”, e il resto per “gentaglia che ama gente dello stesso sesso”. A qualcuno sarà venuto un colpo, sembrava di stare a Sanremo con Benigni che spalmava melassa sulla lingua biforcuta di Oscar Wilde. La statuetta (postuma) come migliore attore non protagonista va a Heath Ledger, perfido Joker nel “Cavaliere oscuro”, altro titolo pop poco apprezzato dall'Academy. Incomprensibile il premio al giapponese “Departures”, miglior film straniero. Ma almeno fa tacere gli infaticabili dietrologi convinti che “Gomorra” sia stato escluso per favorire “Valzer con Bashir”.