Ecco gli ostacoli sulla via della conversione nucleare

Piero Vietti

Un ritorno al passato con l'esito (scontato, vista l'indolenza nostrana di fronte a grandi battaglie e cambiamenti significativi) di vent'anni fa? In effetti la discussione sul nucleare, riapertasi dopo l'accordo tra il presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi e il presidente francese Nicholas Sarkozy per la costruzione di quattro centrali di nuova generazione in Italia, potrebbe anche risolversi con un molto italiano nulla di fatto.

    Un ritorno al passato con l'esito (scontato, vista l'indolenza nostrana di fronte a grandi battaglie e cambiamenti significativi) di vent'anni fa? In effetti la discussione sul nucleare, riapertasi dopo l'accordo tra il presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi e il presidente francese Nicholas Sarkozy per la costruzione di quattro centrali di nuova generazione in Italia, potrebbe anche risolversi con un molto italiano nulla di fatto e avere giusto il merito di far tornare giovane Nicola Caracciolo, come dice lui stesso al Corriere ricordando le mobilitazioni maremmane anti atomo di trent'anni fa; il buono di una sconfitta però è che se ne possono trarre conseguenze, e forse un'adeguata analisi delle questioni in ballo e delle differenze storiche potrebbe aiutare i nuclearisti a non venire nuovamente sconfitti.

    Una centrale nucleare significa molto capitale e poco lavoro, e il momento di crisi economica non offre condizioni di credito ottimali per iniziarne la costruzione. Sulla maggiore sicurezza dei nuovi impianti si è molto parlato: “Paragonare un impianto di venti-trent'anni fa e uno di ultima generazione è come paragonare una Cinquecento degli anni Sessanta e una Cinquecento di oggi” dice al Foglio Carlo Stagnaro, dell'istituto Bruno Leoni, che aggiunge: “C'è in realtà un grosso punto interrogativo politico di fondo su come considerare il nucleare rispetto ai piani di riduzione dei gas serra: a differenza dell'eolico e del solare esso non è valorizzato con incentivi sebbene azzeri di fatto le emissioni di CO2”. E' pur vero che la battaglia contro i cambiamenti climatici potrebbe aiutare a ottenere consenso attorno all'atomo: pur di vincerla, diversi ambientalisti e attivisti verdi si stanno “convertendo” e diventano favorevoli a quella forma di energia che per anni hanno osteggiato.

    C'è poi da affrontare il problema del consenso locale: in Italia molti sono favorevoli al nucleare, molti di meno se fatto “a casa loro”. Governatori politici locali hanno già messo le mani avanti in questi giorni dicendosi contrari alla costruzione di impianti nei loro territori. Con l'autorizzazione unica voluta dal governo ci sarà meno coinvolgimento locale, ma le proteste in stile Tav potrebbero creare non pochi problemi alla costruzione di nuovi siti. Il riutilizzo di vecchi siti è una soluzione che, entro certi limiti, potrebbe essere adottata se i tempi di smantellamento delle centrali oggi spente sarà rapido. Il tempo in effetti ci sarebbe: al Parlamento servirà almeno un quinquennio per scrivere regole e leggi necessarie alla presentazione dei progetti per le nuove centrali.

    Queste non saranno le uniche incognite da affrontare In un articolo apparso ieri su ilsussidiario.net, Marco Ricotti, docente di Impianti nucleari al Politecnico di Milano, scrive che occorrerà “comprendere le modalità realizzative” degli accordi tra Italia e Francia; “Come saranno supportate – si chiede – le nostre aziende, quelle già ‘nucleari' e quelle interessate ad entrare in questo business? Come saranno salvaguardati o potenziati il loro know-how e le loro partnership internazionali? Come sarà implementata la nostra agenzia di sicurezza? Che ne sarà dell'Enea e degli altri attori della ricerca e sviluppo sul nucleare? E l'università? Il tutto “senza oneri aggiuntivi per le casse dello stato” come richiede Tremonti?”. In attesa di risposte (parzialmente anticipate dal ministro Claudio Scajola: “Intendiamo usufruire delle tecnologie più moderne, quindi dare spazio a tutte le imprese che vogliono impiantare centrali nel nostro paese; ci sono altri contatti, perché il mercato deciderà cosa fare, il governo dà gli orientamenti”, ha detto commentando la firma con Sarkozy) il fronte del no e quello del sì scaldano i motori con numeri e dati interpretati in maniera anche diametralmente opposta.

    Per cui le scorie sono o non sono un problema, le centrali di quarta generazione sono quasi pronte o sono soltanto un sogno e Francia e Svezia possono farci da modelli o in realtà ci hanno appena “scaricato un bidone”, come scriveva l'Unità ieri. Sarà interessante vedere come il governo riuscirà a creare consenso nella popolazione sul ritorno a una politica energetica bocciata due decenni fa e osservare la tecnica che ambientalisti e verdi adotteranno per contestare la scelta del governo Berlusconi. Un no perentorio potrebbe essere loro fatale, e paradossalmente la campagna che dura da anni su global warming e cambiamenti climatici potrebbe esporli al contropiede dei nuclearisti.

    • Piero Vietti
    • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.