Obama sulle orme di George W.
Il capitalismo non se la passa tanto bene, bisogna riconoscerlo. A vent'anni dal crollo del Muro di Berlino nel mondo tira aria di socialismo, bisogna ammetterlo. Difficile altresì negare che la vivace destra americana non sa che pesci pigliare. Su un solo giudizio storico non è più lecito imbrogliare le carte. La vittoria di Bush e dell'occidente a Baghdad. Sentite cosa ha detto Obama ai marine.
Il capitalismo non se la passa tanto bene, bisogna riconoscerlo. A vent'anni dal crollo del Muro di Berlino nel mondo tira aria di socialismo, bisogna ammetterlo. Difficile altresì negare che la vivace destra americana non sa che pesci pigliare. Visto che ci siamo, registriamo pure il fatto che la mentalità secolarista, laicista, scientista si prende parecchie licenze nell'anno di Darwin e di Galileo. Su un solo giudizio storico non è più lecito imbrogliare le carte. La vittoria di Bush e dell'occidente a Baghdad. Sentite cosa ha detto Obama ai marine, venerdì scorso nel North Carolina, a Camp Lejeune:
“Abbiamo mandato le truppe in Iraq per eliminare il regime di Saddam Hussein – e voi il lavoro lo avete fatto. Le abbiamo tenute in Iraq per aiutare a insediare un governo sovrano – e voi il lavoro lo avete fatto. E lasceremo al popolo iracheno l'opportunità, guadagnata con fatica, di vivere una vita migliore – e questo è il vostro successo: questa è la prospettiva che voi avete reso possibile”.
L'assoluzione di Tareq Aziz è la ciliegina sulla torta. Come avvenne a Norimberga, alcuni criminali di guerra furono impiccati, altri imputati del Tribunale speciale mandati liberi. Il filibustiere cattolico, a lungo numero due diplomatico di Saddam, è uno che si sa muovere, che ha uso di mondo, e la sua responsabilità è stata giudicata politica, non criminale. Buon per lui. Tareq Aziz potrà (se lo vorrà) passare il resto della sua vita a piede libero nel suo paese, dove per molti anni a venire un contributo “imperiale” alla stabilità politica, oltre alle forze ricostituite dell'esercito iracheno riaddestrato dagli alleati americani, lo daranno cinquantamila soldati Usa destinati a restare sul campo, sul modello coreano evocato a suo tempo da Donald Rumsfeld, allo scopo di combattere puntualmente il pericolo di nuove insorgenze terroristiche.
Questo per decisione del presidente democratico appena insediato. Le grandi folle benevolenti e cieche in permanente sfilata arcobaleno negli anni duri successivi all'11 settembre, quando l'America coordinò la risposta alla sfida islamista in Afghanistan e in Iraq, dovranno adesso disconoscere il loro beniamino, Barack Obama, oppure ammettere con lui che gli uomini di George W. in Iraq, l'ambasciatore Crocker e i generali Petraeus e Odierno, hanno portato a un “successo molto al di là delle aspettative” (comprese quelle di Obama, ironizza il Wall Street Journal). Chi ha linciato la cabbala giudaica dei neocon, chi ha michaelmoorizzato la propria intelligenza, chi ha sputato su Tony Blair e tirato fango su Aznar e Berlusconi avrà ora tempo di riflettere sulla evoluzione strategica del primo decennio del secolo, e sul posto grottesco che ha assunto in esso la religione pacifista.
I titoli dei giornali naturalmente spingono in un'altra direzione. Del chiaro pronunciamento di Obama quel che arriva ai lettori italiani è solo il “ritiro” di una parte consistente delle truppe entro l'agosto del 2010, senza il particolare, di un certo rilievo, che quel ritiro è la parte finale di un programma (lo Status of Forces Agreement) già concordato dall'Amministrazione Bush e dal governo iracheno. Se Obama dedicasse alla prevenzione del nucleare iraniano la stessa ferma volontà che ha impiegato nel seguire e consolidare la strategia irachena portata a compimento dal predecessore, ci sarebbe da leccarsi i baffi. Purtroppo in questo altro quadrante del medio oriente non si registra lo stesso impegno perseverante che Obama mette nel seguire a Baghdad la linea di George W.
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