Lasciateli fallire in pace

Serve una nuova terapia

Francesco Forte

Le critiche dei grandi esperti alle ondate di salvataggi negli Stati Uniti riflettono lo sconcerto dei mercati e contribuiscono a spiegare perché, nonostante queste dispendiose terapie, la Borsa continua a cadere, assieme alle previsioni economiche. Gli attuali protagonisti dei salvataggi sono in gran parte le stesse persone che avevano creato i mostri finanziari.

    Le critiche dei grandi esperti alle ondate di salvataggi negli Stati Uniti riflettono lo sconcerto dei mercati e contribuiscono a spiegare perché, nonostante queste dispendiose terapie, la Borsa continua a cadere, assieme alle previsioni economiche. Gli attuali protagonisti dei salvataggi sono in gran parte le stesse persone che avevano creato i mostri finanziari, a cui ora vanno in soccorso e che avevano sostenuto le virtù del libero mercato autoregolato, in cui chi sbaglia paga con il fallimento e la perdita dei bonus. Ora questi si aggrappano alla dottrina “too big to fail”, troppo grande per (lasciarlo)  fallire.

    Questi interventi, per evitare i fallimenti dei colossi finanziari del settore bancario, assicurativo e della finanza immobiliare non soltanto costano molto al contribuente senza che ci sia un risultato positivo, costano anche a causa dei bonus elargiti ai manager delle compagnie oggetto del salvataggio. Si ha la sensazione che ci sia un cortocircuito fra salvatori e salvati, che appartengono alle stesse parrocchie. La tesi che da ciò emerge è “let them fail”, lasciateli fallire. Ci sarà la caduta delle Borse che comunque c'è già, ma si risparmieranno i soldi dei contribuenti gettati in operazioni di cui non si vede la fine. Così ci sarà minor sfiducia nel futuro dell'economia americana e nel dollaro.
    La diagnosi è, a grandi linee, giusta. Ma mancano qualche pezzo del mosaico e l'indicazione della terapia che si deve accompagnare al fallimento dei colossi che si meritano di scoppiare come rane di Esopo, perché troppo “grossi” ma non “grandi” in termini economici reali.

    Dall'ex segretario al Tesoro Paulson, che veniva da Goldman Sachs, all'attuale Geithner, che ha collaborato con lui e analoghi ambienti, si è oscillato di continuo tra l'acquisto da parte del Tesoro dei titoli tossici e l'acquisizione di quote di capitale azionario di banche e assicurazioni, con nazionalizzazioni striscianti. Entrambe le operazioni sono state decise caso per caso senza trasparenza, in modo discrezionale e senza fissare le regole del gioco per gli assetti futuri e i nuovi interventi. Non si tratta, dunque, né di nazionalizzazioni laburiste né di statalizzazioni di economia mista alla Beneduce, ma di operazioni di neomercantilismo. Ora che gli errori soni stati fatti, occorrerebbe cambiare indirizzo. E chiudere le parti malate di queste aziende con una politica di risanamento rigorosa.