Basta Patagonia
C'è molto vento in Patagonia. Anche in Abruzzo c'è molto vento, lassù sul Piano delle Cinque Miglia dove d'inverno si scatenano terribili bufere di neve, che oggi fanno paura e nel tempo antico facevano stragi (nel 1529 vi morirono di freddo seicento soldati tedeschi). Ci sono famosi ghiacciai in Patagonia. Proprio come in Abruzzo.
C'è molto vento in Patagonia. Anche in Abruzzo c'è molto vento, lassù sul Piano delle Cinque Miglia dove d'inverno si scatenano terribili bufere di neve, che oggi fanno paura e nel tempo antico facevano stragi (nel 1529 vi morirono di freddo seicento soldati tedeschi). Ci sono famosi ghiacciai in Patagonia. Proprio come in Abruzzo: il ghiacciaio del Calderone è il più meridionale d'Europa, per studiarlo salgono sul Gran Sasso geologi e glaciologi da tutto il mondo. Qualcuno si permette di snobbarlo considerandolo troppo piccolo, ma che piccolo e piccolo, è vasto più di quattro ettari ed è profondo venticinque metri, basta il distacco improvviso di un dieci per cento per fare bua abbastanza a chi si trovasse a passare da quelle parti. Ci sono interminati spazi in Patagonia, un po' come sulla Maiella. E sovrumani silenzi, quando cala la tramontana: la notte a meno decibel della mia vita, unico rumore il pulsare del mio cuore, l'ho passata nelle antiche stanze del palazzo baronale dei Cataldi Madonna, a Ofena, paese ormai quasi disabitato (gli abruzzesi di montagna sono semiestinti, esattamente come gli indios Patagoni scoperti da Magellano).
Decisamente meglio l'Abruzzo
E adesso Daniele Del Giudice, calviniano esangue, un tizio capace di vincere tre premi-ectoplasma come il Viareggio, il Bagutta, il Feltrinelli-Accademia dei Lincei, uno scrittore molto anni Ottanta e quindi non molto necessario (non è solo colpa sua, ha esordito all'epoca in cui si pensava che Gesualdo Bufalino e Pietro Citati fossero autori importanti), se ne esce con un libro ambientato fra pampe e pinguini, frigidità antartiche e malinconie dell'Argentina estrema. E' solo l'ultimo di una lunga serie di patagonici onorari. “Un vecchio alberghetto a Parigi senza telefono è esattamente la condizione che tutti i cattivi scrittori sognano” diceva Ennio Flaiano, credo negli anni Sessanta. Dopo la morte del grande pescarese la meta cambiò e ad attrarre grafomani a corto di ispirazione non fu più l'abusatissima Ville Lumière ma la vergine o presunta tale Patagonia. Il primo della serie fu Bruce Chatwin, inglese di incerte abitudini e incompreso (da me) talento di cui lessi “Che ci faccio qui?”, il cui titolo segnalava comunque una qualche consapevolezza. Lo sbolognai a un'amica, meritava solo per la grafica Adelphi e la foto leggendaria in copertina, con gli scarponi appesi al collo, una foto che avrebbe reso immortale chiunque. Dopo Chatwin si aprirono le cateratte e la regione venne invasa dai turisti del sublime: Paul Theroux, Claudio Magris, Luis Sepúlveda, Erri De Luca, Jovanotti… Quella Argentina lì è divenuta talmente ovvia che potrebbe essere per il romanziere Franceschini quello che è stata l'Africa per il romanziere Veltroni, pretesto per blande riflessioni letterario-morali. Del Giudice è proprio scarso a fantasia geografica: non solo scrive di Patagonia, abita a Roma e a Venezia, e non si possono immaginare due città più consumate. Perché non si trasferisce a Pescara? Certo, nonostante il raffreddamento globale, i pinguini sull'Adriatico ancora non si sono visti. E allora Pescocostanzo, millequattrocento metri sul mare, uno dei borghi più belli d'Italia, con accesso alla montagna segreta dove al posto dei condor volano le aquile reali, sopra nevai e cascate di ghiaccio e sentieri mai calpestati dalla motocicletta del giovane Che Guevara, vuoi mettere.
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