Una poltrona perfetta per Walter

Perché Veltroni starebbe meglio alla presidenza della Rai che in un loft

Stefano Di Michele

Se quelli del Secolo d'Italia hanno deciso di far morire di crepacuore (politico) Maurizio Gasparri, lo dicessero chiaramente. E perciò ieri, in prima pagina (brillante corsivo di Luciano Lanna), hanno lanciato questa idea: “Presidenza Rai: perché non a Veltroni?”. Onestamente, una gran bella pensata. Che risponde tanto alle competenze e alle passioni dell'uomo, quanto al contesto aziendal-politico.

    Se quelli del Secolo d'Italia hanno deciso di far morire di crepacuore (politico) Maurizio Gasparri, lo dicessero chiaramente. E perciò ieri, in prima pagina (brillante corsivo di Luciano Lanna), hanno lanciato questa idea: “Presidenza Rai: perché non a Veltroni?”. Onestamente, una gran bella pensata. Che risponde tanto alle competenze e alle passioni dell'uomo, quanto al contesto aziendal-politico. Per cominciare da questo: se Ferruccio de Bortoli ha rinunciato perché “il presidente Rai non ha potere di decisione”, avendo Walter fatto la triste esperienza di segretario del Pd, arriverebbe, come si dice, già imparato – se uno si è fatto le ossa cercando di tenere a bada la Binetti, mica sarà tanto più complicato fronteggiare “Cominciamo bene”…

    Ma le qualità stesse del candidato di gran lunga sorpassano le situazioni contingenti. Se per tutti gli altri politici la Rai è solo uno sfiancante ravanare intorno al cda, per Walter (s'intende, Van Straten a parte: e del resto, nessuno di noi sa quali saranno i Nobel di domani) è luce più che ombra, contemplazione più che canone. Nessun politico, né di qua né di là, ha mai usato per l'invasivo elettrodomestico parole così alate come Veltroni fece in epoca assolutamente non sospetta: “La televisione è magia, la televisione annulla il tempo e lo spazio: sto a casa mia e sto a Sarajevo” – e figurarsi se dentro il suo partito c'è chi non pensa che a Sarajevo, fuor di metafora, doveva appunto stare. Nessuno come lui ama la televisione (a parte il Cav., si capisce, ma si capisce pure che sono amori diversi), e il quotidiano di An, giustamente, ne mette in risalto il trasporto e la sapienza: “Nell'introduzione al suo bel libro ‘Il sogno degli anni Sessanta' ha riconosciuto la decisiva influenza sul proprio immaginario esistenziale e culturale di quelle prime immagini in bianco e nero che osservava bambino da un televisore in casa”.

    Gli scarsi di spirito – dalemiani, gasparriani, quelli che non amano il basket  (“come nel basket alzo la mano e mi assumo tutte le responsabilità”, ha avuto modo di dire l'ideale candidato) – faranno cinicamente spallucce, scambiando la memoria per la rimembranza di “Campanile sera”, ma sarebbe, soprattutto a sinistra, l'ennesimo errore culturale e di prospettiva: se questi son giorni in cui ritorna buona pure la messa in latino, è forse da sottovalutare una precisa conoscenza, per dire, di “Giovanna, la nonna del Corsaro Nero”? Alla televisione Walter, nel corso degli anni, ha dedicato opere e parole e intenzioni, libri e convegni, e ne è testimonianza quell'antico libretto – quando il Pci aveva appena finito di dibattere della perniciosità della televisione a colori – intitolato “Io e Berlusconi (e la Rai)”, scritto quantomeno preveggente, e infatti sono ancora qui (anzi, più che altro Berlusconi è lì), e la quadratura del cerchio decenni dopo potrebbe benissimo trovarsi.

    Nessuno più di Walter meriterebbe di andare a viale Mazzini, che dopo tanto dolente e continuo deambulare, svariati accasamenti e successivi scasamenti, da Botteghe Oscure all'Unità, da via Nazionale al Campidoglio, dal loft giù giù fino al Nazareno – e apri e chiudi una casa, e ogni massaia sa cosa significa: che stai per mesi con gli scatoloni tra i piedi – potrebbe rappresentare il definitivo e gratificante approdo. Nei momenti di suo personale splendore, Walter è stato sempre generoso di riconoscimenti verso gli altrui meriti, genere “agente unificatore di questo paese”, nello specifico per Mike Bongiorno, e “risorsa per la Repubblica”, per un più vasto pubblico di italiche eccellenze. Sarebbe il momento perfetto per ricambiare, che mica Walter può continuare a passare le serate con Bertinotti e Venditti – certo che ci vorrebbe un amico, ma pure stare tutto il giorno a rimirare Youdem non è modo di arrivare a fine giornata. Coraggiosamente, il Secolo si è incaricato della faccenda, perché tra tanti nomi circolanti per il vertice Rai – tutti competenti, tutti pensosi, tanti noiosi – quello più ovvio ancora non lo tirava fuori nessuno.
    Adesso dovrebbe parlare Franceschini, dire la sua D'Alema, farsi avanti Bersani.

    Sicuro che Veltroni arriva lì e tra una sorprendente citazione di “Orizzonti della scienza e della tecnica” e una dovuta sul “Processo alla tappa” (così che la Vigilanza zavoliana troverebbe immediato raccordo con la nuova dirigenza di viale Mazzini), in un paio d'ore sarebbe già padrone del campo. E tra il dover dare udienza quotidiana a Stefano Ceccanti e il dover prestare orecchio ai propositi di Milly Carlucci, fate un po' voi. Niente più patimenti in attesa di un numero monografico di Italianieuropei, piuttosto una scorsa alle nuove sceneggiature di Montalbano. Sarebbe un giusto rinascere a nuova vita, e soprattutto un valido utilizzo per il paese dalla gran risorsa veltroniana. E poi, Walter a suo tempo scrisse un (altro) libro: “I programmi che hanno cambiato l'Italia” – erano, ennesima preveggenza, quelli della televisione, mica quelli del Pd.