La Special One
Tami ride ancora per quella storia. L'aveva scritta El Mundo deportivo, in una rubrica di gossip: “Avete visto Robson e il suo amico Mourinho? Sono sempre insieme, hanno casa uno accanto all'altro, arrivano e tornano con la stessa macchina allo stadio, Bobby ha portato con sé Mou dal Portogallo qui a Barcellona. Dicono di essere amici, ma siamo sicuri che sia solo questo?”.
Tami ride ancora per quella storia. L'aveva scritta El Mundo deportivo, in una rubrica di gossip: “Avete visto Robson e il suo amico Mourinho? Sono sempre insieme, hanno casa uno accanto all'altro, arrivano e tornano con la stessa macchina allo stadio, Bobby ha portato con sé Mou dal Portogallo qui a Barcellona. Dicono di essere amici, ma siamo sicuri che sia solo questo?”. Tami, prese il telefono e compose il numero di casa Robson: “Ciao Elsie, sono Matilde. Hai letto, dicono che i nostri mariti sono gay”. Lady Robson cominciò a ridere, Tami anche. Lo fa ogni volta che ci pensa, ogni volta che parla con Elsie. E' l'unica vera amica che la signora Mourinho s'è fatta nel mondo del pallone. Le altre, se ci sono, sono nascoste. Come lei, Tami. Che con un marito così avrebbe potuto essere celebre quanto altre mogli di allenatori. Invece è rimasta dietro, a casa, a tirare i figli di una famiglia normale e di una vita anormale. C'è una solo foto di loro insieme che scendono da un'auto a Londra prima di entrare in un ristorante. Poi ci sono quegli scatti un po' rubati e un po' no a Disneyland Paris, dove i Mourinho andavano per accompagnare i figli. Poi niente.
Tami non si vede. C'è. C'è nella voce di José che arrivato a Milano ebbe un elenco di proposte immobiliari da valutare: “Deciderà di prendere la casa che sarà più comoda per mia moglie. La deve scegliere lei”. Alla fine hanno preso quella dell'industriale della seta Antonio Ratti, tra Como e Cernobbio: si vede il lago, ci sono campi da tennis, piscina, serre ed eliporto. Va bene a Matilde, va bene a tutti. Ci sono regole non scritte nella vita di José che sono simili a quelle di tutte le altre famiglie del mondo. “A casa mia moglie gestisce tutto. Mi ha sempre detto: ‘Fuori di qui comandi tu. Dentro io'”. Mou lo dice ogni volta che gli chiedono di lei: la frase standard dà un titolo, allontana i curiosi e salvaguarda Tami che con questo mondo vuole averci a che fare lo stretto necessario.
Perché ora non è più come a Barcellona, quando usciva sul terrazzo sulla spiaggia e si faceva una chiacchierata con Elsie. A Sitges, in quella casa di fronte alle Baleari, Matilde ha aiutato José a costruirsi. “E' stata fondamentale, ha capito che l'ultimo anno ero in difficoltà, che non ero soddisfatto, che avevo voglia di cambiare ma non avevo nessuna certezza. Un giorno l'ho vista prendere la sua roba e sorridermi. Aveva capito senza dirmi niente che dovevamo andare via”. Lei aveva stretto i rapporti anche con i Mattas, una famiglia che col calcio non c'entra e che è stata molto vicina ai Mourinho nel periodo spagnolo. Ha lasciato loro e forse da allora non è riuscita più a crearsi una rete di amicizie solide nei posti dove ha lavorato il marito. Lei è il costante richiamo al Portogallo, dove invece il mondo Mourinho ha lanciato ami ovunque: ristoratori, amici d'infanzia, colleghi di lavoro, parenti. Normalità, perché Setúbal è un microcosmo e dentro quel microcosmo Tami ci sta benissimo.
Vive serena ovunque, ma in nessun posto come a casa. E' l'ancora che aggrappa José a se stesso, alla sua terra, alla sua origine. A Londra vivevano a Belgravia. Eaton Square, in una casa mastodontica e forse un po' esagerata, con dei rifacimenti di capitelli dorici nel salotto e con qualche colonna di troppo nei corridoi. Avevano vicini come Jeremy Irons, Sean Connery, Roman Abramovich e Roger Moore. Mou lo viveva con orgoglio, Tami con normalità. Non vuole riflettori, né telecamere. Non è facile, ma neanche difficile. E' riservata, a volte dura, sempre decisa. Se José è così, la moglie è simile e grazie al cielo diversa dall'icona della compagna di calcio. Antipatica? Arrogante? Altezzosa? Nessuno lo sa ed è meglio così. Tami è un mistero e va bene per questo. Non ha mai dato un'intervista vera, neanche poche battute. Dice che non ha niente da dire, che la sua vita e quella di suo marito c'entrano col calcio fino a quando lui è sul campo d'allenamento o allo stadio, poi quando torna a casa è diversa. Vera, forse. Lei è il ricovero, un porto sicuro, un sorriso che cambia una giornata. José ne parla poco di lei perché è lei che vuole così: è il rispetto che svela l'amore.
Quando ci fu la benedetta storia del cane che costò due ore di cella a Mou, qualche giornale inglese cercò di andare a scoprire un po' di più della vita di Matilde. Un fotografo cercò di entrare camuffandosi da personal shopper di Harrods arrivato a casa per far provare a lady Mourinho gli ultimi abiti. Lei, che aveva già una personal shopper nel negozio di Al Fayed, non abboccò: mise la testa fuori di casa e cacciò il paparazzo. Senza chiedere aiuto a José, senza neanche coinvolgerlo. Non ha bisogno di un marito che l'accudisca, Tami. Vuole un compagno. Si conoscono da una vita. Si videro la prima volta a Setúbal, al ristorante Caranguejus, dove il papà di Tami portava spesso la famiglia a pranzo nei weekend. Era un posto strano: ci andavano tanti adulti con figli adolescenti, poi i grandi se ne andavano e il locale diventava una discoteca pomeridiana. Quel sabato del 1980, José era lì: conobbe Matilde che aveva 14 anni e veniva da Lisbona quasi ogni fine settimana. Non si sono più lasciati.
Mourinho s'è trasferito a Lisbona per studiare all'Università prima e poi all'Isef, Tami invece s'è iscritta a Filosofia. Si sono raccontati le loro storie e non hanno mai voluto parlare dei loro inizi. Hanno preservato tutto: il ricordo e la battuta, la provocazione, le eventuali gelosie adolescenziali. Hanno detto poco, apposta. Si sa solo che lui da ragazzino era normalmente speciale: semplice, non atteggiato, non leader. Lei timida, unico aggettivo permesso e verificato negli aneddoti. Non c'è stato bisogno di caricare la vita di Tami perché è stata già carica abbastanza. Lei è portoghese per ius sanguinis e non per ius soli: è nata in Angola, che allora era colonia. Il padre era un marittimo, ma nel 1961 fu costretto ad arruolarsi nell'esercito per fermare il primo assalto indipendentista degli angolani. Fu ferito e rimase nell'esercito fino al 1975, quando le forze ribelli cominciarono a cacciare i portoghesi. Matilde e la sua famiglia partirono per tornare a Lisbona. “Retornados”, si chiamavano con il disprezzo che si deve agli sconfitti. Chi frequenta la famiglia di Tami adesso racconta la delusione di suo padre e di sua madre, tornati da “cacciati” con l'equivalente di 40 sterline in tasca. I genitori oggi vivono a Setúbal e ogni tanto parlano. L'hanno fatto con un cronista del Daily Mail che piombò in casa loro un paio di anni fa in un viaggio sulle orme di Mourinho: “Nostra figlia Tami ha studiato tantissimo, ha ottenuto sempre le borse di studio, fino a riuscire ad entrare all'Università Cattolica di Lisbona, la migliore del Portogallo e anche la più cara”.
Non l'ha mai finita e qui José c'entra. Lei l'ha mollata nel 1989 per sposarsi e seguire il marito col sogno di una panchina. All'epoca lui era solo un professore di educazione fisica, però. Quel professore che se parla di Tami, di quel periodo e di quello subito dopo, dice che in fondo è stato merito della moglie: “A un certo punto della mia vita non sapevo che cosa mi sarebbe capitato. Volevo provare a fare l'allenatore, non più il vice, ma l'allenatore vero. Solo che non avevo proposte. Lei mi ha preso e mi ha detto: ‘Hai paura? No, vero? Perché tanto tu lo sai che ce la farai. Lo sai tu e lo so anche io'”. Mou c'ha le spalle coperte da questa signora minuta e decisa, giudicata tosta da chi la conosce e così forte da resistere a tutto quello che il marito riesce a tirare su con le sue provocazioni. Non parla con nessuno, se non con Louis Lourenco, l'unico vero biografo della mourineide: “Ricordo che Tami ha espresso pareri ed emozioni sul calcio solo una volta. E' stato subito dopo la vittoria della Champions con il Porto. José stava festeggiando con lei e io ero lì, mi stavo allontanando e lei mi fermò: ‘Dove vai? Stai qui, questa è una vittoria nostra'”.
Non sapeva o forse sì. Non era ancora arrivato niente, non c'era ancora stato il Chelsea e tutto quello che ne sarebbe derivato. Il Portogallo non sarà mai l'Inghilterra e l'Inghilterra si sarebbe messa di traverso nella sua vita. La certezza Tami l'ha avuta in una mattina del 2007 aprendo il Sun: “La donna segreta di José”. Era spuntata lei, che prima o poi sarebbe arrivata. Lei, cioè una bionda e però portoghesissima signora leggermente più giovane di Tami. Lei, cioè l'amante di Mourinho. Cercata e trovata dai tabloid. Cercata e lasciata parlare senza freni: “José voleva lasciare sua moglie per me. Me l'aveva detto più volte. Non parlava mai di Matilde e quando ne parlava diceva che l'avrebbe lasciata, che aveva già cominciato ad avviare il divorzio”. Il canovaccio è già rodato: l'amante non ha niente da perdere e parla, dice, racconta. Certo che c'era qualche dettaglio che però conosceva bene: i movimenti di José, la sua macchina, alcuni suoi sfoghi. Il tradimento di Tami sarebbe arrivato a Leiria, dove José ha allenato dopo l'esperienza del Benfica e prima di quella del Porto. Ha funzionato per qualche giorno: la storia a puntate dell'amante di Mourinho ha scaldato i pomeriggi della Londra pettegola. Poi che ci voleva ad attaccare Matilde? Lei non parla, lei non si immischia, lei non si lascia trascinare.
Allora ogni giorno un dettaglio diverso raccontato da Elsa Sousa, una giovane donna che lavorava in una boutique di moda: “Entrò quest'uomo e mi disse di non aver mai visto una donna bella come te”. Il racconto è pieno di cose: che la chiamava “mia principessa”, che come due ragazzini si riempivano di coccole e baci al ristorante, che passavano le serate a sentire Phil Collins e Sting. Poi il sesso, ovvio. “Lunghe notti di passione, tenera e delicata”. Elsa dice che andava allo stadio, tribuna d'onore. Il Leiria su, quinto a fine stagione, mai tanto in alto in campionato. José allora al Porto, Elsa con lui. Anzi lei dice al Sun che se è andato al Porto, José lo deve a lei: era tifosa e l'aveva spinto lì. La loro casa sarebbe stata l'Hotel Tivoli. In tribuna, Elsa si sedeva accanto a Carolina Salgado, allora compagna del presidente Pinto da Costa. Elsa dice di essere stata lasciata perché José non voleva abbandonare i figli e perché Tami si sarebbe trasferita a Oporto dopo aver nasato il tradimento. Tutto con una logica, tutto già visto, perché non sarebbe potuto succedere a Mourinho? Perché forse Elsa s'è tradita alla fine dell'ultima puntata pubblicata dal Sun: “Ho problemi economici e spero che qualcuno pubblichi il libro della mia storia con José”. Mou e Tami l'hanno querelata e non potevano non farlo.
Tanto sapevano tutti e due che prima o poi sarebbe arrivato il momento di una confessione di qualcuno. E' per questo che forse non ha mai amato Londra. Non era per lei. Né la città, né il clima, se è vero che i genitori raccontano di una ex ragazzina ora donna, insofferente alle giornate grigie. “Vuole restare massimo tre anni in Inghilterra non di più”, raccontavano gli amici qualche tempo fa. Tre sono stati, alla fine. Lei non era contenta, non in quel mondo. Stava spesso a Setúbal anche per coordinare le attività della sua associazione benefica che ogni estate organizza raccolte fondi o iniziative di solidarietà. Coinvolge anche Josè, cooptato ogni volta per insegnare ai bimbi poveri o malati i segreti del pallone. Lo fa da Setúbal perché quella è la casa, quella e la terra. A un parente, qualche mese dopo essersi allontanata da Londra, confessò di non sopportare molte cose del calcio inglese. A cominciare dalle mogli dei giocatori: pensa che le signorine che accompagnano i giocatori siano ossessionate dai soldi e dall'idea di mettersi in mostra.
Non amava andare alle feste e agli appuntamenti mondani legati al calcio. “Tami non sa di che cosa parlare con quelle persone”, disse qualche anno fa una sua amica portoghese a un cronista del Mail. “Non le va di fingere di essere allegra. Preferisce essere se stessa e non andarci proprio, meglio stare con i familiari e con gli amici portoghesi con cui lei e José hanno condiviso la vita prima del successo”. Non si confonde, neanche ora. Perché l'Italia non è l'Inghilterra, Milano non è Londra, però i vizi e i difetti si assomigliano. Tami fa sapere a tutti la stessa cosa: lei non è la moglie di un calciatore, ma di un allenatore. Allora cambia: nella vita, nel lavoro, nella quotidianità. Al marito, che tornava dagli allenamenti nel pomeriggio, a Londra chiedeva di uscire come una coppia normale della loro età: cena e dopo la cena teatro o balletto. Ha voluto che José ci fosse con Matilde Junior e con José Junior, i loro due figli. Mou scherza quando glielo ricordano: “Mia moglie è il miglior allenatore del mondo. Il ruolo di una donna è fondamentale nella nostra vita. Lo è nella mia, spero lo sia anche in quella dei calciatori. Anche i miei figli ripetono sempre che tra le mura domestiche non ho nessuna autorità”.
Funzionano lei e lui. E' la famiglia, la tana, il rifugio. José qual è la priorità nella vita? “Tami e i miei figli”. Non ci sono ambizioni che reggano. Matilde è il cuscinetto, la camera di compensazione. Non ha bisogno di parlare con gli altri perché gli basta parlare con José e lasciare che lui, mediatico e comunicatore, racconti anche le cose che lei vuole si dicano: “Uno dei più grossi privilegi che mi regala questa professione è la possibilità di passare a prendere i miei figli a scuola e cenare quasi sempre assieme a loro. Questo mi ripaga delle volte in cui manco i grandi appuntamenti, come i compleanni, per ragioni professionali. Mia moglie e io non siamo due spendaccioni, i soldi andranno ai nostri figli e nipoti. L'unico lusso che ci siamo concessi è una baby-sitter, così possiamo uscire la sera senza preoccupazioni”. Balletto o teatro, dice lei. Lo diceva a Londra, lo dirà a Milano. Nessuno li ha ancora visti alla Scala, però.
Il Foglio sportivo - in corpore sano