A proposito di Prodi e della sua intemerata da Fazio

SDM contro l'ingrata corrente di quelli che senza Walter si sta molto bene

Stefano Di Michele

Senza Patricio, il protagonista del romanzo veltroniano stava parecchio male; senza Walter, nel Pd sembrano stare molto bene. E allora un po', sgraziatamente, sulla forzata assenza maramaldeggiano. Come se tutto ciò che era all'inizio merito di W, improvvisamente e per intero colpa di W. fosse diventato.

    Senza Patricio, il protagonista del romanzo veltroniano stava parecchio male; senza Walter, nel Pd sembrano stare molto bene. E allora un po', sgraziatamente, sulla forzata assenza maramaldeggiano. Come se tutto ciò che era all'inizio merito di W, improvvisamente e per intero colpa di W. fosse diventato. Il veltronismo è un continente di colpo inabissato – gente che senza il suo soccorso non avrebbe superato la soglia della notorietà condominiale, e ora scantona e fa finta di niente.

    Se W. finirà in uno sterrato in Africa o in tre camere a Manhattan (o semplicemente finirà il nuovo romanzo, con gran scorno di Fabrizio Rondolino, che dall'alto di personali vertigini letterarie ha inteso scarnificare l'opera veltroniana), ha ormai poca importanza: quel che resta di W. nessuno ora pare intenzionato a usarlo. Ma uscito di scena il leader, come un'ossessione non è uscito dai pensieri dei tanti avversari dentro il partito. Se fino all'altro giorno a lasciare il segno più profondo era stato il morso politico di D'Alema, “il partito è stato diretto in modo tale che ci ha portato a una serie di sconfitte” – morso deciso, dalemiano, certo non inatteso – adesso è la volta di Prodi. Che rispetto a D'Alema ha versato, sulle piaghe della sconfitta veltroniana, oltre alla dura critica, un'accurata scelta simbolica.

    Sprezzato il sogno, neanche W. pensava di doversi attendere considerazione inaspettate, ma neanche certe inaspettate durezze a cose fatte. In fondo, lui se ne stava comodo su in Campidoglio. Si è fatto pompiere, ché il centrosinistra bruciava, e poi architetto del Pd. Ha preso in pullman la strada del Lingotto, ha fatto una campagna elettorale che tutti a dire: ma che bravo! Ha perso avvertendo subito che per ripetere un risultato simile dovevano portare ceri in chiesa. Ha fatto fuori tutta la sinistra a sinistra. Ha rafforzato la tendenza bipolare. Ha tentato un vero approccio con il Cav. Ha portato a casa la legge sulle europee che forse salverà qualche seggio democratico. Ha messo fine al tormentone Villari – pure. Aveva imposto come suo vice quel Franceschini di cui adesso persino il premier dice bene. Pure troppo, col partito che si è ritrovato intorno. Errori ne ha fatti, sicuro, da Di Pietro a quello di “non prendere il toro per le corna”, come dice Realacci, inteso come corna del toro lo sfarinamento interno.

    E adesso ecco che arriva Prodi. Che ritira la tessera e poi va a dare il suo personale contributo alla totale dissoluzione di W. proprio in un luogo simbolo del veltronismo trionfante: il programma di Fazio, dove W, ai bei tempi, faceva ascolti record. Come se Fini, per dire, volesse comprarsi una multiproprietà in Costa Smeralda, vicino Villa Certosa. “Certamente la linea adottata non era la mia”. Con l'ulteriore sfizio – rende noto Marco Marozzi, cronista storico del prodismo su Repubblica – della cravatta: in trasmissione portava quella che gli regalarono quando lasciò Palazzo Chigi. Una cravatta molto elegante. E molto, ma molto stretta intorno al collo di W. (che saggiamente ora gira scravattato). A proposito: non sarebbe più elegante darsi una calmata?