Il Papa, la massoneria e il circo mediatico
Cosa c'è di diverso fra gli attacchi a B-XVI e quelli ai suoi predecessori
Per l'Economist, quelle pronunciate da Benedetto XVI sull'aereo che lo portava in Africa a proposito dell'Aids sono parole “fuori dal mondo nella migliore delle ipotesi”. Per il New York Times “the Pope is wrong”. Mentre da tutti gli altri sono piovute critiche tanto astiose e pesanti come raramente se ne erano ascoltate, rivolte al romano Pontefice. Il sospetto di una regìa, o quanto meno di un tacito ordine d'attacco ha sfiorato più d'uno.
Per l'Economist, quelle pronunciate da Benedetto XVI sull'aereo che lo portava in Africa a proposito dell'Aids sono parole “fuori dal mondo nella migliore delle ipotesi”. Per il New York Times, semplicemente, “the Pope is wrong”. Mentre da tutti gli altri – governi, poteri forti, lobby dei diritti civili, dal Fmi in giù – sono piovute critiche tanto astiose e pesanti come raramente se ne erano ascoltate, rivolte al romano Pontefice. Il sospetto di una regìa, o quanto meno di un tacito ordine d'attacco ha sfiorato più d'uno. Tanto che Avvenire ha parlato di “attacchi concentrici” in cui “la volgarità non è più un tabù, è anzi un must”. Più esplicito ancora era stato Pier Ferdinando Casini, che dietro quelle bordate a palle incatenate ci aveva visto “la manina della massoneria internazionale”. Una di quelle affermazioni che di solito adoperano solo i pm De Magistris, e che condannano chi le pronuncia alla marginalità nel mondo del bon ton politico.
Persino la chiesa ha da tempo rinunciato a pronunciare la parolina magica e in generale ad atteggiarsi a vittima di oscuri complotti. Ugualmente però, era stato proprio il direttore di Avvenire Dino Boffo, in un'intervista al Foglio, a mettere a tema, a proposito del caso Englaro, un ragionamento su “una cupola di indole massonica, che ha messo in campo una solidarietà formidabile, cementata in modo trasversale, capace di superare qualsiasi appartenenza politica, di categoria, di professione”. Il caso Englaro, quello che per qualcuno rappresenta una “Porta Pia” bioetica. Un piccolo segnale che ultimamente nelle gerarchie cattoliche, se non una sindrome da complotto, si sta facendo strada la consapevolezza di essere nel mirino di molti e potenti nemici. Pier Ferdinando Casini, comunque, non ha intenzione di fare marcia indietro. Anzi, parlando al Foglio rincara la dose con generosità: “Ovviamente non mi occupo di intelligence, quindi non posso dire quale lobby o potentato ci sia eventualmente dietro, o se ci sia. Parlo di uno stile, di un modo di condurre il gioco”.
E come le sembra, il gioco condotto sul Papa? “Quello che è evidente è che è un modo indecente, premeditato. Sulla questione del preservativo e dell'Aids, Benedetto XVI non ha fatto altro che essere fedele al pensiero e al magistero dei suoi predecessori. Lo ha fatto con rigore morale. E in Africa ha parlato di tanti e gravi problemi. Ma tutto è stato ridotto a una battuta, usata per attaccarlo personalmente, in modo volgare, insistito. Che poi dietro a questo ci siano delle logge massoniche, dei potentati internazionali o delle multinazionali colpite negli affetti, cioè gli affari, non so. Ma il risultato è evidente”. Allo stesso tempo, per il leader dell'Udc, è assai anormale che ogni volta accada la stessa cosa, impedendo di fatto al Papa di far sentire le sue parole: “La verità è che in occidente stanno saltando i presupposti di quello che chiamiamo laicità e stato laico: che è la libertà di espressione per tutti. Perché a tutti è permesso parlare, tranne che al Papa? Perché governanti e istituzioni devono prendersi la briga di dargli sulla voce in modo simile?”.
Situazione tanto grave per Casini da indurlo ad invitare tutti, cattolici e laici, a partecipare alla processione della Domenica delle palme in San Pietro, “in segno di solidarietà col Papa”. Un'idea che riporta indietro la memoria storica, alla Domenica delle palme del 1975 in cui Paolo VI, nel pieno di una violenta campagna di contestazione interna ed esterna – che era iniziata dopo la promulgazione della Humanae Vitae – chiese ai giovani di stringersi attorno a lui. Ma, con rare seppur significative eccezioni, fu lasciato solo.
L'attuale stato d'assedio cui sembra stretto Papa Ratzinger porta però, quasi istintivamente, al confronto con il suo predecessore. I primi anni di pontificato di Giovanni Paolo II non furono da meno, quanto ad “attacchi concentrici”. Anche se allora ad attaccare erano il blocco comunista (esterno) e quello progressista (interno). La storia racconta che il Papa polacco riuscì – almeno da metà anni Ottanta, in pratica da dopo l'attentato – ad avere ragione dei suoi nemici. Politici, ecclesiali, mediatici. La storia racconta di un Papa geopolitico e tutto proiettato all'esterno. Sempre in anticipo, in vantaggio strategico nel confronto con il mondo. La storia racconta anche della trasformazione di un Papa, per la prima volta nella storia, in un'icona mediatica planetaria. Ma tutto questo non fa parte della biografia, del carisma, né forse della stessa missione di Benedetto XVI.
La sua evidente difficoltà di comunicazione, allora, va letta anche in questa chiave: “Wojtyla era l'uomo dei media, era il dominatore assoluto della televisione”, riflette il critico televisivo Aldo Grasso. “Ratzinger invece no, il suo disagio e impaccio è evidente ogni volta che esce dalla sua dimensione di teologo, di sacerdote. Non c'è, credo, un complotto mediatico dietro al modo in cui viene trattato. Ma c'è una forza d'inerzia dei media che trovano un bersaglio comodo da colpire. E quando i media costruiscono uno schema di rappresentazione, poi è difficilissimo ribaltarlo”. E se per Casini l'atteggiamento mediatico di Ratzinger dovrebbe invece colpire per la sua “commovente umiltà, per la trasparenza dell'uomo”, per Grasso occorrerebbe forse maggior protezione: “Parlare a braccio con i giornalisti non è il suo mestiere, non è Wojtyla. Ma anche i suoi testi, splendidi ma pure difficili, dovrebbero forse essere meglio accompagnati, presentati a una stampa quasi sempre troppo grossolana. Questo è il delicato lavoro che dovrebbe fare uno staff presidenziale. Ma il Papa non è un presidente”.
Per il sociologo delle religioni Massimo Introvigne, c'è però un aspetto fondamentale in più: “Sono contrario alle teorie del complotto, eppure stavolta non riesco a togliermi la fastidiosa impressione che ci sia stato un gioco per mettere a tacere il Papa. Soprattutto per togliere l'attenzione da quelle cento pagine pesantissime dell'‘Istrumentum laboris' per il Sinodo dell'Africa, un documento chiave, frutto di vent'anni di lavoro della chiesa, che dà giudizi duri su fatti e istituzioni. I giornali africani ne hanno parlato come di un testo fondamentale. Invece in occidente si parla solo del condom…”.
Ma chi avrebbe interesse a una manovra simile? “Non certo la massoneria, o una Spectre, non sono un complottista. Sono invece realista: il Papa è andato in Africa, un continente che la chiesa ritiene centrale, con un documento in cui finiscono sotto accusa per le loro scelte politiche e per i loro affari l'Onu, la Ue, molte istituzioni internazionali nonché molti governi e anche parecchie multinazionali. Mi creda, c'è molta gente che preferisce che non si parli di questo. E il modo migliore è attaccare il Papa spostando il discorso”. C'è qualcosa di inedito, in tutto questo? “Le lobby gay, omosessuali, abortiste ci sono sempre state e attaccheranno sempre: Wojtyla non fu trattato meglio di Ratzinger. E neppure Montini. La novità di oggi è che la chiesa, su molti fronti, dice cose importanti e che danno fastidio a molti. Se fosse irrilevante, nessuno se ne occuperebbe. Il Papa sotto attacco non è un segno di debolezza, è il contrario”.
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