Raccoglie firme, sciopera, s'impunta, sogna un posto nel pdl

Alessandra Mussolini, cuore ex-post-neo-fascista e metodi pannelliani

Marianna Rizzini

L'innesto, nel caso dell'onorevole Alessandra Mussolini, è ardito: cuore ex-post-neofascista e metodi para-pannelliani. Oggi l'onorevole Alessandra Mussolini è reduce da un'azione di lotta a tappeto contro la norma del ddl sicurezza che prevedeva la possibilità per un medico di denunciare un immigrato clandestino (norma cara alla Lega e approvata soltanto al Senato).

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    L'innesto, nel caso dell'onorevole Alessandra Mussolini, è ardito: cuore ex-post-neofascista e metodi para-pannelliani. Oggi l'onorevole Alessandra Mussolini è reduce da un'azione di lotta a tappeto – 101 e più firme raccolte a Montecitorio tra i colleghi del Pdl, una lettera di appello al premier e un emendamento annunciato – contro la norma del ddl sicurezza che prevedeva la possibilità per un medico di denunciare un immigrato clandestino (norma cara alla Lega e approvata soltanto al Senato). Oggi Alessandra Mussolini, ex medico ed ex attrice, mentre si scioglie Alleanza Nazionale, grida “vittoria” – il premier ha detto che la Lega non può volere tutto – e fa spallucce di fronte alle accuse di insurrezionismo strumentale (causa imminente congresso del Pdl) lanciatele dal leghista Federico Bricolo.

    Ieri, invece, Alessandra Mussolini era la pecora nera che fugge dall'ovile nero ma non più nero come lei avrebbe voluto. Ieri erano liti con Gianfranco Fini, nostalgia di destra pura, orgoglio nonnista (nel senso del nonno Benito), porte sbattute, scritte sulle magliette, fughe dai colonnelli (di An). Poi furono camper in piazza davanti al Tar, scioperi della fame a oltranza, richieste accorate di consigli a Emma Bonino e all'allora radicale Daniele Capezzone – per favore, insegnatemi a nutrirmi di soli cappuccini. Era tutto uno sgorgare di creatività situazionista contro quello che Alessandra la peste chiamava “Storax gate” – e lo diceva sbattendo le ciglia da pupa dei fumetti, con eloquio decontracté da mattina al mercato (e d'altronde lo dice: “Io giro per strada, girassero pure loro”, dove per “loro” s'intendono i colleghi parlamentari, e per “strada” un surrogato dell'autobus che tanto piaceva, come specchio di verità, allo sceneggiatore Cesare Zavattini). Trattavasi, allora, di riconquistare uno spazio alle amministrative del 2005 e di “vederci chiaro” – così diceva Alessandra, ma Massimo D'Alema usava più o meno le stesse parole – nella fosca storia di spie e firme false che aveva per protagonisti la stessa Mussolini e Francesco Storace, a quei tempi presidente della regione Lazio. Trattavasi di resistere fino alla decisione del Tar, appunto, e per resistere andava bene pure lo slogan “hic sunt leones” copiato dai centri sociali sulla scorta del citazionismo latino ma anche e soprattutto dell'omonima canzone di Caparezza.

    Dopodiché Alessandra c'ha preso gusto. Anche ora che è rientrata a casa tra gli ex compagni, anche ora che si lascia andare al pathos (“Fini è la mia malattia, torno sempre lì”, “tra me e Gianfranco è stalking, relazione epistolare, pace fatta”), anche ora che Ignazio La Russa la tratta da figliola prodiga (“voglio tanto bene a te a tuo nonno”, ha detto Ignazio, quasi commosso, quando Alessandra si è avvicinata al Pdl), anche ora Alessandra s'impunta finché non la spunta. “Cerca visibilità”, dicono i detrattori, fa così perché sono giorni di riunioni tra coordinatori berlusconiani e piccoli partiti che entrano nel Pdl, dicono nelle retrovie ex finiane.

    Ma lei, come direbbe lei, se ne frega. Fa la ragazza terribile che toglie il sonno a zia Sofia (Loren) – la quale non dormiva durante lo sciopero della fame della nipote, ché Sofia è pur sempre una zia napoletana, e a Napoli il digiuno è sacrilegio. Fa la paladina irriducibile delle donne senza difese –  nel 1999 si fece fotografare assieme a Stefania Prestigiacomo con un cartello che recitava: i jeans non sono un alibi per lo stupro – ma poi, in barba alle pari opportunità, è capace di prendere a male parole Vladimir Luxuria a Porta a Porta (“meglio fascisti che froci”, disse una sera, sotto gli occhi attoniti di Bruno Vespa). Ma tanto Alessandra ne aveva anche per Vespa, e scherzava sulla somiglianza di Bruno con il Duce (“E' mio zio, è del ramo con i nei della famiglia Mussolini, io sono di quello senza nei”). Fa l'insubordinatata non subordinabile, l'onorevole Mussolini. Scavalca i poli, incanta l'Unità, sperimenta trasversalismi. Un tempo i compagni la lasciavano fare, ché si trattava di diritti delle donne, ma oggi ne va dell'equilibrio nel trittico Bossi-Fini-Berlusconi, e dunque qualcuno ha sbraitato. E però Alessandra si sente intrepida e vittoriosa, baciata dalle parole concilianti del Cav, pronta ad aggirarsi per fiere congressuali (di An e del Pdl), fiera di aver messo un paletto tra i piedi di Roberto Maroni, forte dell'andatura da bella donna del sud che ama la maglietta fina e la giacca strutturata, e non tollera l'assenza di rimmel su palpebra d'ombretto.

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    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.