Esperti a bocca aperta

Primi spiragli di luce in fondo al tunnel dell'apocalisse finanziaria

Stefano Cingolani

Gli esperti, ancora una volta, sono rimasti a bocca aperta. Gli ordinativi nell'industria dei beni durevoli crescono a febbraio del 3,4 per cento mentre tutti si aspettavano un tonfo. Arrivano segnali positivi anche dall'edilizia: aumenta sia la vendita sia la costruzione di nuove case. A questo punto, il grande gioco diventa indovinare il punto di svolta positivo.

    Gli esperti, ancora una volta, sono rimasti a bocca aperta. Gli ordinativi nell'industria dei beni durevoli crescono a febbraio del 3,4 per cento mentre tutti si aspettavano un tonfo. Arrivano segnali positivi anche dall'edilizia: aumenta sia la vendita sia la costruzione di nuove case. A questo punto, il grande gioco diventa indovinare il punto di svolta positivo. A Nouriel Roubini è quasi riuscito con quello negativo e ora ci riprova. Dr. Doom, come è stato soprannominato, vede “la luce in fondo al tunnel”. Lo ha rivelato venerdì a Milano in una conferenza a porte chiuse, riportata dal Sole 24 Ore e ripubblicata in inglese sul blog del più celebre profeta di sventure economiche.

    Anche Sergio Marchionne getta il cuore oltre l'ostacolo: “Il peggio è passato”, e lo dice lui che ha sempre rifiutato di divinare sull'uscita dalla crisi. L'amministratore delegato della Fiat prevede una ripresa negli Stati Uniti dopo l'estate, poi toccherà all'Asia, infine all'Europa, che è entrata in recessione con almeno sei mesi di ritardo. I congiunturalisti italiani hanno inviato nei giorni scorsi al ministro Tremonti una nota interna che sposta al 2010 l'inversione di tendenza. Sul vecchio continente, del resto, regna un clima cupo: l'indice Ifo, che misura la fiducia degli uomini d'affari tedeschi, fa segnare il livello più basso dalla sua introduzione nel 1991.

    Ma leggendo con le lenti giuste il documento interno del Tesoro, si vede qualche spiraglio anche in Italia. La produzione industriale mostra un leggero rialzo a febbraio che sarà seguito da una nuova riduzione a marzo e un leggero recupero in aprile. Nel suo insieme, il primo trimestre chiuderà con una produzione inferiore di quattro punti e mezzo rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Tuttavia, “la minore caduta di alcuni indicatori ciclici, induce a delineare una leggera attenuazione dell'intensità della fase recessiva”. Sfumature di grigio, per ora. Eppure, se prendiamo le materie prime, la tavolozza si arricchisce di colori. Mentre molti continuano a lanciare l'allarme deflazione, i prezzi (sia in dollari sia in euro) tornano a salire in modo netto per greggio, gasolio, benzina. I cereali sono ai massimi da settembre. Il rame, che funziona da punto di riferimento per tutti i materiali, sta rincarando fin dal novembre scorso.

    E' un esercizio, il nostro, che assomiglia a quello degli aruspici sopra i colli di Veio. Ma il cambio di stagione si vede dalla rotta dei primi uccelli migratori. Se riparte l'edilizia, per esempio, siamo davvero fuori dalla crisi. E allora giù tutti a scrutare i movimenti del mattone. Negli States gli indici sono tutti incoraggianti. Le case in costruzione aumentano del 22 per cento a febbraio, la percentuale più alta degli ultimi 19 anni, spinta da un'impennata dell'82 per cento nei palazzi destinati ad appartamenti. La vendita di nuove abitazioni è cresciuta del 4,7 per cento, dato in controtendenza rispetto alle attese. Potrebbe essere solo un rimbalzo stagionale, però giunge qualche indicazione positiva anche dal mercato dei mutui. Barry Ritholz, investitore istituzionale che ha lanciato il popolarissimo blog The Big Picture, ha elaborato un semplice indice per testare il mercato immobiliare: ammettiamo che una giovane coppia dai redditi modesti voglia comprare un appartamento di due o tre camere in un quartiere di classi medie e vada in banca per accendere un mutuo. Se lo ottiene, vuol dire che il mercato è ripartito.

    Nella settimana conclusa con il 13 marzo, le domande sono aumentate del 21,2 per cento rispetto alla settimana precedente e del 31,2 sullo stesso periodo del 2008. La Mortgage banking association è prudente, però il drastico abbassamento dei tassi (siamo al 4,89 per cento) spinge le famiglie a rinegoziare i vecchi mutui e dà coraggio a chi vuole accenderne di nuovi. E la finanza, alfa e omega della crisi? Una delle paure maggiori è lo scoppio della “bolla di tutte le bolle”, le carte di credito. American Express dice che il suo giro d'affari è sceso dell'11 per cento nell'ultimo trimestre 2008. Incrociamo le dita, ma non siamo alla catastrofe. I dati migliori vengono dalle banche. Citigroup, Deutsche Bank, Unicredit, Intesa, Crédit Suisse, tutte mostrano profitti per svariati miliardi di euro o di dollari. I vertici del gruppo svizzero, che non ha avuto bisogno di soldi del governo (a differenza dal concorrente Ubs), hanno scritto una lettera agli azionisti annunciando “una forte partenza” nel 2009. Il titolo ha fatto un balzo del 29 per cento. Prendiamo un settore bollente come gli hedge funds.

    Il survey condotto da Deutsche bank nel febbraio scorso mostra che i fondi hanno continuato ad attrarre investitori e le performance superano nettamente l'anno precedente. Vanno meglio negli Stati Uniti, là dove c'era maggior bisogno di protezione, ma un po' ovunque nel mondo, i gestori si aspettano utili tra il 5 e il 10 per cento quest'anno. Strano, non doveva venire da qui il prossimo grande crack? Allargando lo sguardo alla produzione di merci a mezzo di merci, colpisce l'impennata di ordinativi per nuove macchine (+13,5 per cento, il guadagno più forte in cinque anni). Sarà un “fumo statistico”, come minimizza l'economista Josh Shapiro. Però non ci sono solo sfracelli. General Motors ha spiegato al Tesoro americano che non ha bisogno degli altri due miliardi promessi, mentre Chrysler continua a calcolare i vantaggi di un matrimonio con Fiat. Se togliamo l'auto, l'industria manifatturiera cresce a febbraio del 3,9 per cento. Gruppi importanti vanno meglio, come quelli che hanno puntato sul nuovo paradigma economico, il customer value, con il quale si tende a sostituire lo shareholder value che ci ha tormentato per quasi vent'anni. E' il caso di Apple o di Starbucks: entrambi mostrano una ripresa formidabile. Interi settori sono stati toccati solo in modo marginale dalla recessione, per esempio il comparto dotcom, o i telefonini dove si intrecciano grandi affari negli Stati Uniti e in Europa, come l'accordo tra Vodafone e Telefonica su una rete unica.

    La liquidità non manca a chi abbia il fegato di comprare. Sul mercato monetario i fondi disponibili ammontano a 3.800 miliardi di dollari, 1.400 in più rispetto a due anni fa, quando è cominciata la crisi. Il pronto cassa a disposizione delle banche nei loro caveau o presso la Fed è più che raddoppiato negli ultimi nove mesi. In questo mare di denaro si naviga a vista, però la Borsa comincia a manifestare segnali di recupero. E' vero, Wall Street è ancora del 50 per cento sotto rispetto a un anno e mezzo fa. Ma ha recuperato in pochi giorni oltre il 15. L'ultimo rally è partito la settimana scorsa grazie ai buoni conti delle banche. E si è rafforzato quando il mercato ha capito la svolta di Obama.

    L'Amministrazione si è resa conto – racconta il Wall Street Journal – che senza la Borsa non c'è ripresa. Lo ha detto David Axelrod, principale consigliere del presidente, lo stesso che un mese fa aveva trattato con sufficienza i capi delle grandi banche d'affari: “Tutti tranne Wall Street sanno che i tempi di Gordon Gekko sono finiti”, aveva sbattuto loro in faccia. Adesso “la Casa Bianca capisce che per avere una sana Wall Street ci vuole una Wall Street in piena salute”, spiega con un gioco di parole Thomas Nides, top manager di Morgan Stanley. Il nuovo piano Geithner per i titoli tossici è una conseguenza di questa conversione realista, dopo il bagno radical-populista (nel quale sembra ancora immerso il Congresso). In primo luogo c'è la partnership tra pubblico e privato. “Un gran favore alle banche”, secondo un economista liberale come Luigi Zingales, italiano trapiantato a Chicago, che vuol “salvare il capitalismo dai capitalisti”. Forse, ma “almeno è un tentativo di ripulire i loro bilanci”, ammette il Wall Street Journal. Senza espropri né nazionalizzazioni. “Facciamo come in Svezia”, scrive Paul Krugman; ma quel modello non è applicabile agli Stati Uniti né ai colossi finanziari globali (nel 1991-93 fallirono due banche grandi per la Scandinavia, ma sostanzialmente locali).

    Lo spiega Stefan Ingves, governatore della Banca centrale svedese, in un'analisi pubblicata dal Fmi. Ci sono molte analogie, eppure le differenze (di scala innanzitutto) sono maggiori. L'approccio Old Labour di Gordon Brown ha stressato il bilancio pubblico britannico fino al punto che non c'è più spazio per nuovi stimoli, avverte Mervyn King, governatore della Banca d'Inghilterra. Dunque, bisogna cercare soluzioni nell'armamentario dell'economia mista, inventandosi nuovi consorzi di salvataggio simili a quello nato nel 1922 all'indomani del collasso della Banca di Sconto e del Banco di Roma, per aiutarle a smobilizzare i loro patrimoni. A volte ritornano, e non sempre come farsa. I titoli marci non sono tutti carta straccia. Rivisti nei loro valori, collegati a strumenti sottostanti non vacui, possono rimettere in moto il ballo della finanza. Con più regole e meno follie, ma ancora un gran ballo.