La banda larga suona il rock

Gianni Gambarotta

Stefano Parisi è dal 2004 amministratore delegato di Fastweb, la società di telecomunicazioni fondata a fine 1999 da Francesco Micheli e Silvio Scaglia che un paio di anni fa è stata rilevata da Swisscom. Gli svizzeri hanno confermato piena fiducia a lui e alla sua squadra: hanno mandato solo uno dei loro dalla casa madre con la carica di chief financial officer.

    Stefano Parisi è dal 2004 amministratore delegato di Fastweb, la società di telecomunicazioni fondata a fine 1999 da Francesco Micheli e Silvio Scaglia che un paio di anni fa è stata rilevata da Swisscom. Gli svizzeri hanno confermato piena fiducia a lui e alla sua squadra: hanno mandato solo uno dei loro dalla casa madre con la carica di chief financial officer. Questo signore si chiama Mario Rossi, è nato a Zurigo e malgrado il nome è svizzero al cento per cento, quando è arrivato non parlava una parola di italiano. Questo per dire che Parisi anche con i nuovi azionisti ha conservato la piena autonomia gestionale dell'azienda: gli svizzeri sanno che quello delle telecomunicazioni è un business complesso, intricato, dove la capacità manageriale di guidare un'impresa spesso non è tutto, perché importanti sono anche altre qualità, come sapersi orientare tra regolamenti, authority, legislatori, amministratori. Una volta comprato l'82 per cento di Fastweb (il restante 18 è ancora in Borsa come flottante) avevano bisogno di lasciare le redini a una persona capace di far crescere l'azienda e di sapersi muovere con intelligenza su questo terreno accidentato delle tlc che a volte in Italia assume addirittura le caratteristiche di un campo minato, dove sbagliare un passo può rivelarsi fatale. 

    E nessuno aveva un curriculum più rassicurante dello stesso Parisi. Romano, 52 anni, laureato in Economia alla Sapienza, ha trovato il primo lavoro nell'ufficio studi della Cgil. Poi un lungo passaggio nelle amministrazioni pubbliche: alla segreteria del ministero del Lavoro; agli Affari esteri con Gianni De Michelis; al ministero delle Poste e Telecomunicazioni come segretario generale proprio negli anni in cui iniziava in Italia l'avventura, fortunatissima, della telefonia mobile; alla guida del dipartimento per l'Informazione e l'editoria e nel collegio sindacale Rai; alla direzione del dipartimento Affari economici di Palazzo Chigi. Un commis d'Etat, come direbbero in Francia. Fino al 1997, quando Parisi ha lasciato Roma e la politica nazionale per venire a fare il city manager a Milano. Qui, con la qualifica di direttore generale di Palazzo Marino, ha partecipato alla nascita di quella che allora si chiamava e-Biscom, la società di tlc che per prima ha posato chilometri di fibra ottica in Italia (soprattutto nel capoluogo milanese) e che poi ha cambiato nome prendendo quello attuale di Fastweb. Il passo successivo è stato in viale dell'Astronomia a Roma, sede della Confindustria, dove è stato chiamato nel 2000 dal presidente Antonio D'Amato come direttore generale. Ultima tappa (finora) di nuovo a Milano, con la carica di amministratore delegato di Fastweb, nella quale gli svizzeri lo hanno appunto confermato perché un manager come lui che unisca alle competenze manageriali una consumata esperienza nell'amministrazione pubblica italiana è merce rara, un esemplare quasi unico.

    In questi giorni Parisi, come tutti i suoi colleghi a capo di aziende di telecomunicazioni, sta studiando (o meglio: aspetta di poter studiare, perché il testo ufficialmente non è stato ancora reso pubblico) il famoso rapporto Caio sull'introduzione della banda larga in Italia. Questo documento, molto atteso, era stato commissionato lo scorso ottobre dal sottosegretario alle Comunicazioni, Paolo Romani, a Francesco Caio, uno dei più autorevoli esperti del settore: è stato amministratore delegato di Omnitel  e di Cable & Wireless e l'anno scorso è stato chiamato dal governo inglese come responsabile del gruppo di studio per la realizzazione di una rete a banda larga nel paese. Caio ha analizzato il tema e la settimana scorsa ha consegnato il suo lavoro, un documento di un centinaio di pagine, al committente. Ora si aspetta che il testo arrivi nella mani del presidente del Consiglio per renderlo pubblico. Anche se, nella sostanza, il contenuto ormai è noto. Caio formula tre ipotesi: la più ambiziosa che risponde all'imperativo del think big, prevede di portare la fibra ottica nel 50 per cento delle case, dando all'Italia una posizione di leadership europea nel settore; la seconda ipotesi si accontenta di un obiettivo assai più modesto (25 per cento); l'opzione C è invece di piccolo cabotaggio e parla di una copertura limitata a 10-15 città principali.

    E Parisi quale preferisce fra questi tre scenari immaginati da Caio? Che domanda? Il primo, è ovvio. Però alla risposta arriva dopo un sogno personale e un lungo ragionamento. Il sogno è questo: che l'Italia esca da questa congiuntura mondiale avendo creato per le famiglie e per le imprese una rete a banda larga che la collochi al primo posto in Europa. La precondizione indispensabile perché ciò possa avvenire è che gli italiani non possano più fare a meno di usare Internet. Questo dipende molto dal ministro per la Pubblica amministrazione e per l'Innovazione, Renato Brunetta. “Brunetta sta facendo un lavoro eccezionale per portare efficienza e modernità nella pubblica amministrazione italiana – ha detto Parisi al Foglio – e il mio sogno è che questa sua opera, che contiene elementi rivoluzionari per un paese come il nostro, possa essere completata”. E non è solo il sogno generico di un buon cittadino desideroso di veder migliorare il proprio paese, ma è molto concreto e legato alle tlc e al loro futuro. Si basa su un preciso ragionamento. Eccolo: “Guardiamo la situazione della diffusione della banda larga in Italia così com'è oggi: è migliore rispetto a quella di altri paesi europei. Noi abbiamo circa il 10 per cento della popolazione raggiunto direttamente in fibra ottica, ed è quella che nei dieci anni della sua vita ha creato Fastweb. E' la più grande rete europea FTTH (Fiber To The Home, ndr). A questa va aggiunto che un'altra grandissima parte della popolazione è collegata a centrali con Adsl. Il che significa che grosso modo l'80 per cento della popolazione italiana può accedere alla banda larga. E questo è un dato positivo”.

    C'è un però. Questa struttura, questa ricchezza è sottoutilizzata. Per fare un esempio: è come una tubatura nella quale scorre meno acqua della sua portata potenziale perché pochi aprono i rubinetti. Spiega Parisi: “Da noi soltanto il 43 per cento delle famiglie ha un collegamento a Internet, contro una media europea del 50 per cento e solo il 50 per cento delle famiglie ha un computer. E questo ha una conseguenza immediata per gli operatori telefonici: c'è uno scarso uso di Internet. E qui entra in gioco Brunetta? “Esatto. Il ministro ha visto che la nostra amministrazione è organizzata con criteri ottocenteschi: tutte le pratiche sono cartacee, per qualsiasi operazione i cittadini devono presentarsi fisicamente allo sportello e fare ore di code e riempire una quantità incredibile di moduli. E questo non ha senso, nei paesi più avanzati simili sistemi sono stati abbandonati da tempo, la maggior parte dei servizi al pubblico lo stato li fornisce via Web. Brunetta vuole portare questa rivoluzione anche in Italia, vuole realizzare lo switch off dalla carta (che deve diventare l'eccezione) a Internet (che deve essere la norma)”.

    Quindi se Brunetta farà crescere la diffusione dei computer, se riuscirà a far diventare l'Italia un Internet country (o almeno qualcosa di simile), allora l'attuale struttura di banda larga sarà pienamente utilizzata e diventerà in prospettiva insufficiente. E questo rende necessario prendere in seria considerazione il piano appena presentato da Caio. Particolare importante: è necessario farlo adesso, perché anche tutti i paesi con i quali ci confrontiamo stanno studiando interventi simili e se noi restiamo fermi rischiamo di perdere quella posizione di relativo vantaggio che, per una volta, abbiamo in un settore importante come le telecomunicazioni.

    Questo è il momento giusto per realizzare una grande operazione keynesiana che assicuri all'Italia una leadership importante – commenta Parisi – C'è bisogno di creare occasioni di lavoro, e la posa della rete a banda larga lo farà. Terza considerazione, ma forse più importante: a differenza di tante altre infrastrutture, peraltro indispensabili, come autostrade e ponti, che portano vantaggi indiretti all'economia, il ritorno dell'investimento nella fibra ottica sarebbe invece immediato e subito misurabile. L'investimento si ripagherebbe quasi in tempo reale perché sulla rete passerebbero i servizi a più alto valore da Internet alla tv con, per esempio, il video on demand. Tutti servizi che generano un fatturato, che fanno crescere un business”. Questa operazione ha però un costo. Si calcola che per realizzare l'ipotesi A del progetto Caio occorrerà investire fra gli otto e i dieci miliardi di euro. Chi dovrebbe farsi carico di un  simile onere? Parisi non ha dubbi: “La rete attuale è di Telecom Italia che l'ha realizzata in decenni in regime di monopolio: oggi è di sua proprietà e tutti i discorsi che si sono fatti per portargliela via lasciano il tempo che trovano”.

    E questa può essere un'osservazione molto sensata e rispettosa della proprietà privata. Ma apre un altro interrogativo: Telecom Italia ha un indebitamento di circa 30 miliardi di euro ed è difficile pensare che possa fare ancora ricorso alle banche. Dove troverebbe i fondi per finanziare la banda larga? E come si ripagherebbe? “Credo che se il paese fa di questo progetto una sua priorità, non sarà impossibile trovare delle formule che risolvano la prima parte del problema, quella del finanziamento dell'investimento. Il governo potrebbe mettere nel grande piano delle infrastrutture anche la rete in fibra ottica. Per quanto riguarda invece i ritorni dell'investimento, da un lato sono realizzabili con la crescita della penetrazione Internet di cui abbiamo già parlato e dall'altra può essere definito un quadro regolatorio adeguato. Mi spiego: i vari operatori che, come Fastweb, utilizzano in parte la rete fissa Telecom pagano il pedaggio sulla base dei costi storici. Che sono molto bassi perché quella rete, realizzata da anni, è ormai ammortizzata. Bisognerebbe invece passare a un sistema diverso, basato sui costi di sostituzione. Chi utilizza la nuova rete fissa paga sulla base dei costi che si stanno sostenendo per realizzare quella stessa rete. E allora i ritorni sull'investimento sarebbero evidenti”. Sarà anche un sogno ma sembra realizzabile.